Seconda guerra mondiale
27 Gennaio 2019Paul Verlaine di Carlo Zacco
27 Gennaio 2019di Carlo Zacco
Generalità
Con il termine retorica classica si intende tutto il corpus risultato da una bimillenaria tradizione fatta di aggiunte, tagli, ampliamenti dell’antica materia greca, ripresa dai romani e codificata esemplarmente da Quintiliano nella sua summa. E dunque il risultato di una lunga sedimentazione fatta di apporti di età diverse. Punto di riferimento per qualunque trattazione teorica della retorica sono:
– il De Inventione di Cicerone (DI);
– la Retthorica ad Herennium di Cornificio (Retthorica ad Herennium);
– l’Institutio Oratoria di Quintiliano (IO);
In Retthorica ad Herennium vengono elencate le 5 sezioni dell’arte del dire, presentate come le 5 abilità dell’oratore e sia DI che IO considerano questi 5 come le parti della retorica:
1) inventio: l’invenzione, cioè labilità di trovare gli argomenti veri o verosimili che rendano la causa convincente; questo aspetto venne, e viene tutt’oggi, sviluppato soprattutto in ambito giuridico.
2) dispositio: la disposizione, cioè l’ordinamento e la distribuzione degli argomenti; indica il luogo che ciascun argomento deve occupare; è mutata parecchio con le epoche ed in base ai generi; con diversa nomenclatura è ancora il fondamento della moderna precettistica della scrittura, letteraria e scientifica;
3) elocutio: l’eloquio, cioè l’uso delle parole e delle frasi opportune che si adattino all’invenzione; anticamente fondamento dell’eloquenza politica e giudiziaria, in seguito ha esteso il suo dominio prima alla poetica, poi a tutti gli altri tipi di discorso divenendo quasi sineddoche della retorica stessa.
Queste prime tre sono le parti che nelle varie epoche sono state più soggette a rielaborazione.
4) memoria: tenace presenza degli argomenti, del loro ordine, e delle parole nella mente dell’oratore; oggi ripresa nei manuali di mnemotecniche e del parlare in pubblico;
5) pronuntiatio: capacità di regolare in modo gradito la voce, l’aspetto, il gesto; oggi ripresi negli studi sulla cinesica.
1) L’inventio
In Greco Eá½oÏεÏ?ιÏ,, da εὠÏá½·Ï?κÏ?, in latino inventio, da inven?o, è la ricerca e il ritrovamento degli argomenti idonei a rendere attendibile una tesi.
La trattazione dell’inventio costituisce la parte più corposa dei trattati antichi. Il IO era ricalcato sulla Retthorica ad Herennium, ed era un trattato scolastico rivolto a futuri giuristi; vi vengono utilizzati molti esempi tratti dalle tragedie greche per illustrare casi giuridici;
Le parti del discorso persuasivo
Il modello per l’organizzazione delle parti del discorso in quattro parti fu mutuato dal genere giudiziale ed applicato, non senza forzature, anche a quello deliberativo ed epidittico. La maggior parte dei parte dei trattatisti antichi e medievali divide il discorso in quattro parti. Data la sua provenienza dall’ambito giuridico queste quattro parti sono incluse dalla maggior parte dei trattati nell’inventio, poiché contemporaneamente questi trattati procedevano con l’esposizione della stessa materia giuridica, anche se Aristotele, giustamente, le collocava nella dispositio.
1) exordium/prooemium/principium
2) narratio
a) digressio/egressio
b) propositio/expositio
c) partitio/enumeratio
3) argumentatio
a) confirmatio/probatio
b) refusatio/confutatio/reprehensio
4) epilogus/peroratio/conclusio
1.1) Exordium / pooemium / principium
Definizione. Quintiliano sostiene, a ragione, che la parola greca poòimion, (lett: preludio) proemio, serve di più di quella latina exordium a descrivere la funzione di questa parte, che sta prima dell’argomentazione vera e propria. Sia che il termine poòimion si riferisca a òim? (canto), cioè gli accordi dei suonatori prima di cominciare, sia che si riferisca a òmion (cammino), l’inizio dell’argomentazione. Di fatto è una premessa, un preambolo.
Aristotele asserisce che il poòoimion sia indispensabile al discorso come il prologo lo è per la poesia e il preludio per la musica.
La pròtasis è l’esposizione dell’argomento, ed insieme all’invocazione alle muse costituisce il proemio nei poemi antichi e moderni;
nelle tragedie, che obbedivano alla legge di unità di luogo, tempo e azione, il prologo serviva a narrare l’antefatto.
Nell’oratoria politica e giudiziaria l’exordium serviva a rendere il giudice o il pubblico benevolo, attento, arrendevole.
Il proemio poteva essere di due tipi:
a) principium: l’inizio, dove si richiedeva apertamente all’uditorio di essere benevolo e attento;
b) insinuatio: l’insinuazione, dove l’oratore sorvolava sulle questioni principali dell’argomento spostando l’attenzione sui punti deboli delle tesi avverse; avveniva quando l’argomento apparteneva al genus turpe, ovvero infamante, oppure l’avversario era tale da attirare simpatia o pietà .
Quando il discorso era breve o la situazione urgente l’oratore poteva attaccare anche in medias res, omettendo qualunque proemio. La precettistica è inoltre piena di suggerimenti ed accorgimenti pratici per attirare l’attenzione dell’uditorio.
L’affettazione di modestia. Uno di questi prevedeva per l’oratore di dichiarare la propria inadeguatezza di fronte all’avversario: è il topos dell’affettazione di modestia che, come afferma Quintiliano, porta l’ascoltatore a provare simpatia per chi si trova in difficoltà. Poteva essere inserito all’inizio, ma anche alla fine o in qualunque punto di picco emotivo.
L’apostrofe. Altro punto discusso nei trattati; l’apostrofe era intesa come non rivolta al naturale destinatario, ma all’oggetto del discorso (Catilina).
Anche se la normativa degli esordi è stata trattata sempre in modo puntiglioso non doveva essere presa come vincolante. Già Quintiliano si lamentava che più nessuno strutturasse un esordio ragionato, ma procedesse quasi ad improvvisarlo.
Oggi ad occuparsi degli esordi è più che altro la semiotica che studia le fasi pre- e para-testuali, le cosiddette Soglie (Genette).
1.2) La narrazione o Esposizione dei fatti
E l’esposizione dei fatti. Nell’ambito del genere giudiziario era la parte riservata ad esporre i termini della questione sulla quale il giudice doveva pronunciarsi; la narrazione deve in primo luogo doc?re (informare) e soprattutto delectare (piacere). Per questo le virtù che la narratio deve possedere sono tre:
a) brevis: breve. Non deve dire né troppo, né troppo poco; non deve avere nulla da togliere e nulla da aggiungere; si deve esporre il necessario (quantum opus est) e il sufficiente (quantum satis est).
b) dilucida / aperta / perspiqua: chiara. Virtù che deve essere tipica ti tutte le altre parti dell’inventio.
c) verisimilis / probabilis: verosimile. Attiene soprattutto all’intento di mov?re, suscitare partecipazione emotiva. Il vero di fondo è necessario, ma il cattivo oratore può non rendere credibili fatti veri, e viceversa.
Paul Griece cerca di definire i requisiti ideali di una comunicazione efficace identificando, con le celebri massime della conversazione, quattro categorie:
1) della quantità: a) Dà un contributo tanto informativo quanto è richiesto b) non dare un contributo più informativo di quanto è richiesto;
2) della qualità: a) non dire ciò che credi essere falso b) non dire ciò per cui non hai le prove;
3) della relazione: Sii pertinente;
4) del modo: Evita l’oscurità d’espressione b) evita l’ambiguità c) dii breve d) sii ordinato nell’espressione.
Le circostanze. La trattatistica medievale ricavò dal De Inventione di Cicerone un elenco di elementi detti circostanze e codificati nelle due serie degli attributi e delle domande a loro relativi:
1) persona – quis?
2) factum – quid?
3) causa – cur?
4) locus – ubi?
5) tempus – quando?
6) modus – quemadmodum?
7) facultas – quibus adminiculis?
– E del giudce Albertano da Brescia, XIII secolo, l’esametro:
quis, quid, cui dicas, cur, quomodo, quando requiras
La narratio si divide in tre sezioni: a) digressio o egressus; b) propositio o expositio; c) partitio o enumeratio.
a) La digressione. In greco parèkbasis, è una parte facoltativa della narratio. Quintiliano scrive che tutto ciò che non è narratio vera e propria è digressione. Ogni elemento estraneo alla narrazione e che punti ad obiettivi diversi da quello di informare si può definire digressione. Miseratio (patetico), vituperatio (invettiva), ingiuria, scusa ecc.
b) La proposizione. Altro elemento della narratio, è la presentazione dei termini essenziali del fatto che viene esposto. Anche nel proemio è contenuta una proposizione.
c) La partizione. E una forma di proposizione; è l’enumerazione dei punti da trattare. E utile alla chiarezza ma non è sempre necessaria. Quintiliano addirittura avverte che non sempre va usata poiché «le cose riescono più gradite se danno l’impressione di essere improvvisate sul momento, e non portate da casa propria» .
1.3) L’argomentazione: Topoi e Topiche
E il cuore del discorso persuasivo. E costituita da due parti distinte:
a) confirmatio o probatio: dove si adducono le prove a favore della propria tesi;
b) refusatio o reprehentio: dove si confutano quelle dell’avversario;
Le prove possono essere di due tipi:
1) prove non tecniche, àtechnoi o inartificiales: sono le prove prese dall’esterno e indipendenti dall’arte retorica. Per esempio le leggi a proposito di un determinato fatto; le dicerie; le confessioni estorte con la forza; giuramenti; testimonianze. In pratica prove che non possono essere prodotte tramite l’arte della retorica.
2) prove tecniche, èntechnoi o artificiales: cioè quelle prodotte mediante l’uso dell’arte retorica. Le prove tecniche sono divise in tre specie: a) di fatto, b) per induzione, c) per deduzione.
a) Le prove di fatto: sono basate sui signa e a loro volta possono essere divise in:
– prove necessarie: sono le prove incontrovertibili, necessariamente vere. Per esempio in IO si dice: «non può essere che ci sia messe dove non si è seminato oppure che un uomo sia a Roma e contemporaneamente ad Atene».
– Prove non necessarie: sono prove congetturali, verosimili. Per esempio, sempre in IO: «non necessariamente chi si è macchiato l’abito di sangue ha commesso un omicidio». Sono costituite da indizi.
Nei moderni sistemi giudiziari sia in diritto civile, dove si deve accertare se sia fondata la pretesa di una delle parti, sia in diritto penale, dove si deve accertare che si sia verificata un azione considerata reato, ci si basa su due tipi di prove:
– prove rappresentative: che riproducono immediatamente il fatto (filmati, foto).
– prove indiziarie: strumenti attraverso i quali si giunge alla certezza del fatto.
b) Le prove per induzione: sono basate su exempla: paràdeigma o exemplum è la narrazione di un avvenimento o la descrizione di un fenomeno volte a dare fondamento ad una regola. Mentre l’entimema è un ragionamento deduttivo, l’exemplum è un fatto particolare che può essere generalizzato.
Perelman e Olbrechts-Tyteca dividono gli argomenti basati su ‘casi particolari in tre tipi:
– l’esempio: deve essere incontestabile e serve a dare fondamento ad una regola;
– l’illustrazione: non è per forza verosimile, ma rafforza l’adesione ad un regola ben accettata, colpendo l’immaginazione (es: un’illustrazione di elefanti impazziti);
– il modello: è l’insieme dei comportamenti, dell’agire comune, su cui si può fondare una regola generale. In ambito cristiano l’exemplum è alla base della predicazione; in ambito giuridico l’exemplum può essere anche il precedente, sentenze precedenti su casi non ancora regolamentati; l’argomento di autorità, l’opinione di un esperto; le citazioni, garanti delle opinioni dell’oratore.
c) Le prove per deduzione: sono basate sugli argumenta. Sono il cuore del discorso persuasivo, ed oggetto per eccellenza dell’inventio. Sono formate dagli entimemi.
Aristotele aveva definito gli entimemi come sillogismi basati su premesse non vere, ma verosimili. L’entimema viene anche definito sillogismo ellittico poiché una delle sue premesse viene in genere omessa per esigenze di brevità e concisione. Può essere omessa una premessa ovvia; oppure non del tutto convincente: come nel caso di «vinceremo perché siamo i più forti» dove la premessa taciuta «i più forti vincono» è falsa.
Le premesse degli entimemi sono fondate su idee condivise, depositate nella memoria collettiva. L’inventio prevede che queste premesse vadano cercate nelle sedi in cui tali idee si trovano: i topoi.
Il ΤoοÏ,
C’è chi ha preferito tradurre la denominazione data da Aristotele a questo concetto con la parola Ï?κá¿+μα, più aderente al senso che Aristotele voleva dargli. Noi continuiamo a usare il termine consolidato nella tradizione filosofica, giuridica e letteraria basata sulla traduzione latina di locus.
I luoghi si dividono in:
– luoghi comuni: cioè opinioni diffuse ed unanimemente accettabili, adattabili a più discipline diverse fra loro;
– luoghi propri: specifici di una disciplina e non adattabili ad altre.
Gli studi di Perelman e Olbrechts-Tyteca hanno sottolineato alcuni fattori:
– su premesse implicite, basate sui luoghi comuni, spesso fondiamo gran parte delle nostre scelte;
– un gruppo sociale può distinguersi proprio per l’adesione a determinati valori piuttosto che ad altri;
La classificazione di Perlman e Olbrechts-Tyteca. Sarebbe impossibile fare un campionario dei luoghi comuni. Perelman e Olbrechts-Tyteca tentano tuttavia una suddivisione in sei macro categorie cui alcuni luoghi possono fare riferimento. E distinguono:
– luoghi della quantità: stabiliscono che una cosa vale più di un’altra per ragioni quantitative. Per esempio il fatto che l’opinione della maggioranza sia quella da seguire. Senso comune, democrazia.
– luoghi della qualità: stabiliscono che la qualità sta nell’unicità. Sono tipici di chi combatte l’opinione della maggioranza; di chi esalta l’unico come incomparabile; esalta ciò che è effimero, carpe diem.
– luoghi dell’ordine: dà importanza a ciò che viene prima rispetto a ciò che viene dopo; preferisce il principio all’applicazione concreta; le leggi rispetto ai fatti; il rispetto delle precedenze; lo sforzarsi di arrivare primi.
– luoghi dell’esistente: propone la preminenza del reale sul possibile; empirismo; il risultato osservabile al progetto non attuato; meglio un uovo oggi che una gallina domani;
– luoghi dell’essenza: riconosce l’eccellenza agli individui che presentano tutte le caratteristiche del tipo da loro impersonato.
– luoghi della persona: si appoggiano sui valori di dignità del merito, di autosufficienza.
La classificazione di Quintiliano. Nel latino classico e medievale locus e argomento sono usati come sinonimi. Sempre Quintiliano fornisce il catalogo dei loci entrato nella tradizione fino in epoca moderna. Egli distingue in argomenti tratti dalla persona – loci a person? – e in argomenti tratti dalle cose – loci a re, l’ambito di utilizzo di questi luoghi è sempre quello giudiziario.
Loci a persona
1) genus: la famiglia. Si dà infatti che il figlio sia simile ai suoi antenati, e da qui la tendenza a commettere reati o a comportarsi onestamente.
2) natio: la nazionalità. Si considera la provenienza di una persona per valutare le sue abitudini: un barbaro, un romano, un greco.
3) patria: la patria. Si considerano le leggi della città di provenienza.
4) sexus: il sesso. Si considerano reati più probabilmente commessi da un uomo o da una donna: uomo reati di violenza, donna reati di lussuria.
5) aetas: l’età. Ad ogni età infatti si conviene qualcosa di diverso.
6) educatio et disciplina: educazione e disciplina. Si considera l’educazione ricevuta da un uomo.
7) habitus corporis: l’aspetto fisico. Si considera per esempio la forza come prova di prepotenza.
8) fortuna: la sortuna. Si dà che il ricco e il povero non agiscano allo stesso modo.
9) condicionis distancia: la condizione sociale. Conta se un uomo per esempio è personaggio pubblico, magistrato o privato cittadino.
10) animi natura: l’indole. Ci si fa guidare dal carattere irascibile, invidioso, misericordioso di una persona per valutarne i comportamenti.
11) studia: la professione.
12) quid affectet: come si mostra. Si valuta qui il modo in cui una persona vuole apparire.
13) ante acta et dicta: atti e detti precedenti. Si valuta che cosa una persona in precedenza ha fatto e detto.
14) temporarium animi motum: moto temporaneo dell’animo. Come lira, lo sbigottimento.
15) nomen: il nome. Il nome conta.
Loci a re
Sono dieci. I primi cinque presuppongono altrettante domande:
1) a causa: quaere? Perché? Si cerca di capire il movente indagando su:
– i motivi psicologici: i vantaggi acquisiti; gli svantaggi evitati;
– le cause generali, fisiche, da cui si deducono gli effetti: necessarie o non necessarie.
2) a loco: ubi? Dove? Si valuta il luogo in cui è avvenuto un fatto: un furto in un tempio è sacrilegio rispetto ad un furto semplice commesso altrove.
3) a tempore: quando? Quando? Le circostanze temporali.
4) a modo: quomodo? come?
5) a facultate: per quae? mediante cosa?
Gli altri cinque comprendono i seguenti luoghi:
1) a finitione: definizione. E l’esplicitazione dell’etimologia come spiegazione del vero significato delle cose. E anche figura di pensiero nell’elocutio.
2) a simili: somiglianza. E l’esempio, dove si effettua un paragone in un ragionamento per analogia. Gli argomenti a contrario: es. la salute è bene, la malattia è male.
3) a comparatione: confronto. Sono i luoghi a majore ad minus: dal più al meno: es. «se c’è omicidio, per forza ci sono lesioni»; a minore ad majus: dal meno al più: es. «se il furto è reato, tanto più lo è la rapina.
4) a fictione: supposizione. E il ragionamento epr ipotesi. Si propone una ipotesi che se fosse vera, risolverebbe tutto. Sono gli exempla ficta: «se questi potessero parlare, direbbero»
5) a circumstantia: circostanza. Si entra nel capo dei luoghi propri, relativi alla materia trattata.
Si tratta luoghi legati alla cultura dell’epoca, specialmente quelli a persona.
Luoghi passati all’ambito letterario
Durante il medioevo molti di questi luoghi sono slittati verso l’ambito letterario, dove ogni modello aveva i suoi programmi. Per esempio:
L’esordio aveva i suoi quattro luoghi principali:
1) l’affettazione di modestia, che serviva per la captatio benevolentiae.
2) il ricorso a massime, proverbi, modi di dire.
3) la causa scribendi: la dichiarazione del motivo per cui si scriverà. Qui si inserisce il gruppo dei topoi della dedica, lode, invocazione alle muse ecc..
4) brevitas: il topos del dover dire poco tra le molte cose che si potrebbero dire.
L’inventio è dunque per la maggior parte una topica. A livello didattico questo si traduce nella redazione di formulari e topiche ad usum degli scrittori ed oratori. La formularità, la ripetitività on riguarda dunque solo le forme, ma anche i contenuti.
Cristallizzata era la topica d’esordio, della narrazione, di epilogo, come scrive Curtius. Alcuni luoghi letterari tipici possono essere i seguenti topoi:
– il locus amoenus: Da Omero alle bucoliche, fino all’Arcadia. Qui la descrizione del paesaggio ospita idee di piacevolezza, evasione dalla realtà, bellezza ristoratrice;
– il puer senex: è il topos dell’uomo che fin da ragazzo mostrava saggezza di uomo maturo che si esplica con l’altro topos della fortitudo et sapientia, finalizzati a caratterizzare un personaggio
– il laudatio temporis acti: è il topos del rammarico per la nequizia del tempo presente unita alla lode del tempo passato;
Il Dilemma
Il Dilemma. Oltre all’entimema, un altro importante modello di ragionamento sillogistico è il dilemma o altrimenti detto, da San Gerolamo, argomento cornuto. I due corni sono le due alternative che si offrono al ragionamento; la scelta di una qualsiasi di queste alternative porterà ad una stessa conclusione. Se le alternative sono più di due si parlerà di trilemma, tetralemma ecc
Celebre è l’esempio di Tisia, allievo di Corace, quando, dopo aver appreso l’arte della retorica si rifiuta di pagare il maestro, e si difende dicendo:
«che cosa ha promesso Corace di insegnare a Tisia? L’arte di persuadere. Ebbene, o Corace gli ha davvero fatto imparare quell’arte, ed allora deve accettare che l’allievo lo persuada a non pretendere compenso; o non gli ha insegnato l’arte, e in tal caso la paga non gli spetta»
A questo Corace risponde con un altro dilemma:
«Tisia dovrà pagare se riuscirà a persuadere il maestro a non ricevere alcun compenso, perché questo vuol dire che quest’ultimo ha mantenuto la sua promessa; ugualmente dovrà pagare, e a maggior ragione, come perdente della causa se non riuscirà a persuadere l’avversario»
Pare che i giudici abbiano infine risposto: «a malvagio corvo, malvagia covata»
La classificazione Perelmaniana degli argomenti
Perelman e Olbrechts-Tyteca suddividono le varie tipologia di argomenti in sei categorie. Non si tratta chiaramente di categorie univoche ma ogni argomento è sempre passibile di una doppia interpretazione e di una collocazione nell’una o nell’altra categoria o in più duna.
In tutte le categorie agiscono procedimenti di associazione, per aggiunta di elementi che si sostengono a vicenda, e di dissociazione, per cancellazione di elementi vecchi ed aggiunta di elementi nuovi.
Nelle categorie introdotte gli argomenti possono essere:
a) quasi-logici, che ricorrono ad associazioni di:
i) contraddizione
ii) identità parziale o totale
iii) transitività
iv) parte/tutto
v) uguaglianza e differenza
vi) frequenza
b) basati sulla struttura del reale, che dipendono da legami di:
i) successione
ii) coesistenza
c) miranti a fondare la struttura del reale:
i) sul caso particolare” (esempio, illustrazione, modello)
ii) sull’analogia (analogia, metafora)
a) Argomenti quasi-logici.
Tramite una semplificazione questi argomenti possono essere ricondotti a modelli di ragionamento logico e matematico, ed a questa somiglianza devono la loro forza persuasiva.
Quelli che ricorrono a relazioni logiche sono:
i) La contraddizione: se A allora non B: che consiste nell’asserire e negare una proposizione in un medesimo sistema. Una contraddizione è tali per ragioni formali indipendentemente dal contesto in cui si trova. Per esempio «vietato vietare» o «mai dire mai» sono asserzioni contraddittorie. Un caso di contraddizione è l’incompatibilità tra due o più elementi oggetto di argomentazione. L’incompatibilità è spesso fondata su massime d’esperienza e non è tale per ragioni formali.
ii) L’identità totale o parziale. L’argomentazione può ricorrere a rendere espliciti rapporti di identità totale o parziale tra elementi.
– Un caso di identità totale è la definizione: A = B
– Un caso di identità parziale: A simile a B; è il criterio del precedente, basato sulla regola di giustizia, che esige lo stesso trattamento per elementi appartenenti alla stessa categoria; un altro è il criterio di simmetria: per esempio «se pre voi non è turpe vendere, non lo è per noi comprare» (Arist.)
iii) La proprietà transitiva. E il caso del se A = B e B = C allora A = C. Un caso di argomento basato sulla proprietà transitiva è l’implicazione: il ragionamento sillogistico è fondato sull’implicazione. Le sorite sono catene di sillogismo dove l’ultimo termine coincide col primo.
iv) L’inclusione della parte nel tutto. A > B. E un’applicazione del luogo della quantità dove il tutto è considerato più importante della parte. Per esempio si biasima «chi perde il carro per salvare la corda».
v) L’uguaglianza e differenza: se A allora B: è alla base gli argomenti di paragone, che valutano gli oggetto attraverso il confronto reciproco. E l’argomento del tantoquanto; oppure le argomentazione «del sacrificio che si è disposti a compiere per un determinato risultato»
vi) La frequenza è un tipo di relazione su cui si basano gli argomenti di probabilità.
b) Gli argomenti basati sulla struttura della realtà
Non sono assimilabili ad argomenti formalizzati o formalizzabili, come i quasi-logici, e sono fondati sulla solidarietà che si può creare tra giudizi ammessi e quelli che si cerca di far accettare.
E possono essere:
i) Dipendenti da legami di successione: sono stabiliti da nessi causali di tre specie: a) si mettono due eventi in relazione di causa/effetto: post hoc, ergo propter hoc. b) dato un evento si cerca di inferirne la causa; c) dato un fatto si cerca di prevederne le conseguenze. Perelman e Olbrechts-Tyteca fanno quattro esempi di questo tipo di argomento.
1) L’argomento pragmatico. Con esso si valuta un atto o un evento in funzione delle sue conseguenze favorevoli o sfavorevoli.
2) L’argomento dello spreco. E quello con cui si persuade un individuo a proseguire un azione che se interrotta provocherebbe delle energie impiegate. L’opposto è quello della svalutazione del superfluo, con cui si svalutano le azioni il cui risultato si prevede nullo.
3) L’argomento di direzione. Con questo si tiene presente il punto d’arrivo per evitare dispersioni superflue o cambi di direzione. Sono attinenti a questo argomento: a) la propagazione, con cui si contrasta la diffusione per piccole tappe di qualcosa che si considera negativo; b) il volgarizzamento, con cui si evita la svalutazione di qualcosa a causa della sua diffusione eccessiva; c) il consolidamento, con cui si cerca di evitare che certi manierismi o abitudini negative si consolidino;
4) L’argomento di superamento. E l’opposto di quello di direzione, e con esso ci si propone un continuo cambiamento di significato. E sostanzialmente il progresso: l’eresia di oggi è il dogma di domani.
ii) Dipendenti da legami di coesistenza: qui Perelman e Olbrechts-Tyteca riformulano i loci a persona di Quintiliano. Persona e azioni sono legate da un vincolo pari a quello che lega l’essenza con le sue manifestazioni. Se la concezione di persona cambia a seconda delle culture, costante è il carattere di stabilità che ovunque le viene attribuito, in contrasto con la mutevolezza delle azioni contingenti: si presuppone stabilità quando si interpreta l’atto in funzione della persona. Alcuni tra gli argomenti fondati su legami di coesistenza sono:
1) L’argomento di autorità. Fondato sulla caratteristica del prestigio, secondo cui si stabilisce se una persona è ‘buona o ‘cattiva.
2) L’argomento della doppia gerarchia. Consiste in una correlazione tra i termini della gerarchia discussa e i termini di una gerarchia ammessa (anche implicita). Un esempio è l’evangelico: “se Dio veste i gigli”.
c) Gli argomenti miranti a fondare la struttura del reale:
i) sul caso particolare. Equivale all’esempio.
ii) Sull’analogia. Non è mai stata messa in dubbio la sua importanza conoscitiva.
– E strutturata secondo una proporzione sul modello A : B = C : D. Non è solo un rapporto di somiglianza bensì una somiglianza di rapporti dove i termini A e B oggetto di argomentazione sono detti Tema, e C e D su cui si poggia il ragionamento sono detti Foro. Nell’analogia tema e foto devono appartenere a campi diversi.
– Può anche essere di tre termini quando un è comune agli altri due secondo lo schema A : B = C : B, per esempio: l’uomo nei confronti della divinità è altrettanto puerile quanto il bambino nei confronti dell’uomo”.
Le analogie tanto efficaci quanto pericolose poiché facilmente confutabili. La metafora può essere concepita come un analogia condensata.
1.4. L’Epilogo o Perorazione
Consiste nella conclusione del discorso e si divide in Ricapitolazione e mozione degli affetti.
La Ricapitolazione. Si riprendono schematicamente gli argomenti trattati e le soluzioni proposte. Serve a riportare alla memoria le cose dette.
La mozione degli affetti. E’ la parte più rispondente al nome perorazione. Consta di due loci principali:
a) l’indignatio. E’ un’enunciazione mediante la quale si cerca di suscitare odio verso una persona o un’azione.
b) la conquestio. Tramite questo luogo si cerca di captare la pietà degli ascoltatori; appartengono alla sfera dei casi ‘di fortuna, sorte avversa, circostanze penose.
2) La dispositio
In greco oikonomìa, ovvero amministrazione, ordinamento. Quintiliano la definisce come l’utile distribuzione degli argomenti e delle parti nei luoghi opportuni. La dispositio consiste nelle seguenti operazioni:
– partizione dell’intero discorso in singole parti;
– ordinamento dei contenuti in ciascuna parte;
– ordine delle parole nella formulazione delle idee;
Ognuna di queste operazioni può essere impostata secondo due diverse metodologie:
1) La prima è lordo naturalis, dove gli eventi si susseguono nel tempo o nella loro concatenazione logica; lordo naturalis è basato sui principii della retorica; esso prevede dunque la divisione del discorso in esordio, narrazione, argomentazione, epilogo.
Figure. Nella formulazione delle idee uno dei modi in cui l’ordine naturale si esprime è l’ordine dell’incremento, secondo il quale le idee si dispongono secondo un progressivo aumento delle parti: per esempio breve-lungo: baracca e burattini; Scilla e Cariddi; o climax ascendente:
2) La seconda è lordo artificialis, dove l’ordine naturale viene sovvertito ai fini dell’efficacia argomentativa; è basato sul caso particolare. Esso prevede che la divisione del discorso avvenga secondo tre ordini: crescente, decrescente, nestoriano.
a) Ordine crescente. Si parte dagli argomenti più deboli e si finisce coi più forti secondo il principio che l’ultima impressione sia quella che rimane nella memoria. Inconveniente: l’uditorio può portarsi fino alla fine un giudizio sfavorevole.
b) Ordine decrescente. Si parte dagli argomenti più convincenti lasciando per ultimi quelli più deboli. Inconveniente: le ultime cose ascoltate possono essere le sole a rimanere nella memoria.
c) Ordine omerico o nestoriano. Il nome deriva dall’ordinamento che nestore fece prendere alle truppe greche nel IV libro dell’Iliade di omero ponendo i soldati più forti all’inizio e alla fine e lasciando i più deboli in mezzo. L’ordine stesso degli argomenti può suggerire la loro importanza all’interno di un discorso.
Figure. Qui rientrano tutte le figure di ordine attuate secondo la procedura di permutazione.
Lausberg indica come funzioni basilari della dispositio due forze opposte e complementari che corrispondono alle organizzazioni binaria e ternaria. Nella prima la polarità avviene tra tesi e antitesi: nelle frasi composte da protasi e apodosi; nelle figure di parola a schema bipartito come lo zeugma il chiasmo l’antitesi. Nella seconda il discorso è scandito in un inizio, arké o initium, in un mezzo, mèsos o medium, e fine, teleutè o finis.
3) L’elocutio
Elocutio è l’atto di dare forma linguistica alle idee. Questo presuppone la divisione tra res e verba, cioè tra contenuto e suo rivestimento verbale. Questa distinzione diede adito agli antichi di considerare il discorso come veste o abbellimento di un contenuto. In questo modo il dominio dell’elocutio è stato luogo di incontro tra retorica e poetica. E da qui che viene il disprezzo romantico per la retorica; oggi sappiamo che uno contenuto non è uguale a sé stesso se proposto sotto nuova forma, e ciò ha consentito una rinascita della retorica. Questo studio si basa sulla sistemazione fatta da Lausberg.
Le virtù dell’espressione
Secondo Cicerone le virtù dell’elocutio sono quattro: aptum, puritas, perspiquitas e ornatus.
1. Aptum. E la più generale, è punto di partenza e di arrivo delle altre tre, prevede che il discorso si addica a quanto è richiesto dalle circostanze e dagli scopi del parlare; è l’appropriatezza ai fattori esterni ed interni del discorso.
2. Puritas. Ovvero la correttezza lessicale e grammaticale della lingua e il suo aderire ad un modello di purezza; per i greci era Hellenismos, grecità, per il romani era latinitas, per l’italiano era il toscano del trecento e così via.
3. Perspiquitas. Ovvero la chiarezza, necessaria perché il discorso sia comprensibile.
4. Ornatus. E la bellezza derivante da un uso sapiente degli ornamenti.
Vitium e Licentia. Tutte queste proprietà si esercitano tanto su parole singole (verba singula) quanto su gruppi di parole (verba conjuncta). Il venir meno di una di essere è vitium, se è ingiustificato; è licentia se giustificato da un dovere più forte. Per l’oratore il dovere di persuadere il giudice è più forte del dovere di mantenere la precisione linguistico idiomatica: il dovere retorico supera il dovere grammaticale. Alle virtutes elocutionis si poteva contravvenire in questo modo:
Virtù |
Errori |
Licenze |
||
Verba singula |
Verba conjuncta |
Verba singula |
Verba conjuncta |
|
Puritas |
1) Barbarismi 2) Arcaismi |
3) Solecismi |
4) Metaplasmi |
5) Figure grammaticali |
Perspiquitas |
6) Oscurità totale 7) Ambiguità di senso |
8) Sinchisi 9) Ambiguità sintattica |
10)Oscurità totale 11) Ambiguità di senso |
12) Sinchisi 13)Ambiguità sintattica |
Ornatus |
Oratio inornata Mala affectatio |
Sinonimi Tropi |
Figure di parola Figure di pensiero |
Rispetto all’ornatus l’oratio inornata è il vizio per difetto, la mala affectatio è il vizio per eccesso.
Il dominio della puritas
Errori su Verba singula: Barbarismi e arcaismi
1) Barbarismi. E il vizio per difetto; in greco barbarismo voleva dire forestierismo. Era l’uso dei vocaboli non appartenenti alla lingua greca; per i romani naturalmente erano per parole fuori dalla latinitas. Tradizionalmente erano considerati barbarismi:
i. parole che non rispettano la morfologia di una data lingua;
ii. i forestierismi, cioè i prestiti lessicali da lingue straniere;
iii. i dialettismi, cioè parole usate in altre zone della stessa area linguistica;
iv. i neologismo, le parole nuove.
2) Arcaismi. E il vizio per eccesso; vocaboli antiquati apparivano ai retori come ostentazione di un purismo ingiustificato.
Errori su Verba conjuncta: Solecismi
3) Solecismo. Col termine soloikismòs i greci alludevano al «modo di parlare degli abitanti di Soli», città della Cilicia dove si parlava il greco scorrettamente. Attualmente significa «sgrammaticatura». Nel catalogo delle figure verranno registrati solecismi per aggiunzione, soppressione, permutazione e sostituzione; quelli per aggiunzione sono: pleonasmo, perissologia e macrologia.
Pleonasmo. Quintiliano: «quando la frase viene sovraccaricata di parole inutili».
Perissologia. Aggiunta sovrabbondante e superflua di informazioni già espresse; forma di ridondanza che disturba e appesantisce la comunicazione più che favorirla. Nella sua versione positiva corrisponde alla sinonimia e all’accumulazione.
Macrologia. E il parlare più a lungo del necessario, ovvero la prolissità. Nella sua accezione positiva corrisponde alla perifrasi.
Licenze su verba singula: metaplasmi
4) Metaplasmi. Si tratta di quei mutamenti della forma di una parola che «per dovere più forte» sono entrati nell’uso in forza dell’abitudine, consuetudo, o dell’autorità di uno scrittore, auctoritas, o per necessità di parole nuove, necessitas. Possono esserci metaplasmi per sostituzione, permutazione, aggiunzione e soppressione.
i. Sostituzione: sono gli stessi barbarismi e arcaismi entrati nell’uso per esigenze letterarie o per arricchire i linguaggi speciali;
ii. Aggiunzione: prostesi, epentesi ed epitesi; e nella metrica dialefe e sinalefe;
iii. Soppressione: aferesi, sincope e apocope; e nella metrica sineresi e sinalefe;
iv. Permutazione: metatesi (areoplano > aeroplano; storpiare > stroppiare), anagramma, palindrono, metagrafi (okkupato > occupato), onomatopee, antistrofe;
Licenze su verba conjuncta: figure grmmaticali
5) Figure grammaticali. Rappresentano un deviazione consentita alla correttezza linguistica, contrariamente ai solecismi; sono classificate anche come ipàllagi o enàllagi nelle figure di parola relative all’ornatus. Si tratta di fenomeni di scambio tra elementi grammaticali.
i) aggettivo pro avverbio: es. camminare lento;
ii) singolare pro plurale: es. la maggior parte di noi ritengono;
iii) antiptòsi o scambio di casi: es. sparsa le trecce morbide
iv) presente pro passato (presente storico); presente pro futuro;
v) indicativo pro congiuntivo;
La classificazione delle forme grammaticali e degli schemi sintattici secondo il secondo il loro ruolo argomentativo è attinente al discorso sulle figure grammaticali. Perelman e Olbrechts-Tyteca compiono una generale classificazione:
? negazione: ha natura dialettica; è una reazione ad un’affermazione reale o virtuale altrui;
? ipotassi: forma argomentativa per eccellenza; obbliga il ricevente a prendere delle posizioni ed a vedere alcune relazioni; limita le sue interpretazioni;
? paratassi: lascia maggior libertà; non impone alcun punto di vista particolare;
? interrogazione: la domanda retorica invita a scartare tutte le eventuali risposte discordanti da quella implicita nella domanda.
Il dominio della Perspiquitas
Nell’oratoria. Per definire se un discorso fosse chiaro e comprensibile i retori non disponevano, come per la puritas, di una base grammaticale obiettiva e ci si basava sul principio dell’adattamento all’uditorio. Il massimo errore per difetto era costituito dall’oscurita totale, data da elementi contingenti: lingua estranea, volume della voce troppo basso, dizione confusa ecc.
Licenze su verba singula: oscurità e ambiguità
Nella poesia l’oscurità parziale di un testo era ammessa per ragioni letterarie e stilistiche. Si possono avere le seguenti figure:
? la sìnchisi: o mixtura verborum, mescolanza di parole; era il mutamento dell’ordine regolare delle parole; biasimata nella prosa; determinante nella poesia;
? la anfibologìa: rende il discorso ambiguo quando al suo interno si trovano termini o costrutti grammaticali che si possono interpretare in modi diversi. Parole polisemiche o omonimi: es. la vecchia porta la sbarra; come picchiavano quei ragazzi;
Licenze su verba conjuncta: ambiguità sintattica
Causa ed effetto di oscurità è l’ambiguità. Tipico è l’esempio di quei responsi oracolari dove il doppio accusativo nelle frasi infinitive consentiva una doppia lettura con significati opposti: es. aio te Romanos vincere posse può voler dire «dico che tu vincerai i romani» o «dico che te vinceranno i romani».
Rapporti univoci: si avrebbe l’assoluta chiarezza se tra entità nominata e nomi esistessero solo rapporti univoci. Il principio di economia che regola ogni lingua non può che avere un basso grado di univocità, e solo tra i nomi propri.
Rapporti non univoci: in questo ambito opera l’attività classificatoria della retorica. Attualmente i rapporti non univoci sono: omonimia; sinonimia; antinomia; iper/iponimia.
Errori per eccesso: la pedanteria
Un eccesso di ricerca in direzione della chiarezza può essere a sua volta un errore e portare alla pedanteria con ripetizioni e spiegazioni inutili; può anche precludere ad un discorso il potere evocativo dato dal non-detto.