Testo descrittivo
27 Gennaio 2019Dipinti di Antonello da Messina
27 Gennaio 2019L’epistolario di Plinio il giovane
“Lettere ed epistole nell’antichità classica” tesina interdisciplinare di Alissa Peron – a.s. 2007-2008
Introduzione
In questo lavoro ho dapprima cercato di evidenziare qual è stata la genesi della lettera come mezzo di comunicazione presso gli antichi e quali erano le sue caratteristiche originarie; poi ho scelto alcune tra le più celebri raccolte di lettere di autori sia greci sia latini con contenuti, stile e finalità diverse da quelle che la lettera aveva in origine, e mi sono chiesta quale fosse il motivo di questa apparente contraddizione. Per rispondere a questa domanda ho letto varie lettere in lingua originale e ne ho analizzato gli argomenti e le forme espressive con cui sono scritte, e mi sono accorta che la risposta non è univoca, ma ogni autore ha avuto un rapporto differente e personale con questo mezzo. Perciò ho trattato singolarmente gli epistolografi non in successione diacronica ma in una sorta di sviluppo concettuale, inserendo per ciascuno l’analisi completa di almeno un testo, in modo da dimostrare le mie affermazioni sui motivi per cui ha scelto di utilizzare proprio la lettera.
Indice dei contenuti:
- La nascita della lettera
– la prima lettera dell’antichità, libro VI dell’Iliade;
– caratteri della lettera privata in Grecia: mezzo usato sporadicamente per occasioni eccezionali, argomenti gravi ed impegnativi;
– caratteri della lettera privata a Roma: molto diffusa, argomenti anche leggeri, stile non coeso e vicino al quotidiano, secondo la teorizzazione di Cicerone.
- Tipi di lettere non private, analisi di testi esemplificativi
– distinzione tra lettere ed epistole: l’una riservata e legata ad una particolare circostanza, l’altra un prodotto di arte letteraria;
– la lettera in Isocrate: lettera aperta destinata a personaggi eminenti, contenuti universali e stile elaborato vicini a quelli dei discorsi; analisi dell’Epistola V ad Alessandro;
– la lettera in Platone: lettera aperta destinata a personaggi politici del suo tempo, contenuti personali ma utili alla comunità, stile medio; analisi della lettera VII ad Archita;
– lettere aperte in Cicerone: non molto numerose, contenuti personali ma osservazioni di interesse comune, stile curato; analisi della lettera a Lucceio (ad familiares, libro V 12);
– lettere private in Cicerone: destinate ad amici, contenuti pienamente comprensibili solo dal destinatario, stile frammentario e colloquiale; analisi della lettera II del libro I ad Attico;
– la lettera in Plinio il giovane: destinata ad amici e personaggi illustri, contenuti vari raccolti a formare un’opera letteraria, stile fiorito sul modello ciceroniano; analisi della lettera sull’eruzione del Vesuvio (Libro VI, 16);
– la lettera in Seneca: destinata all’intera umanità, contenuti vari di carattere etico e filosofico, stile colloquiale e non coeso che instaura un rapporto diretto con il lettore;
Conclusioni
Bibliografia:
Saggio sull’epistolografia antica: Giuseppe Scarpat “L’epistolografia antica” , Marzorati.
Testi delle lettere in lingua greca e in traduzione: Cardinale-Turtur “Antologia della letteratura greca”
Testi delle lettere in lingua latina: biblioteca digitale www.intratext.com.
- La nascita della lettera
La lettera è antica quanto la scrittura, o meglio si può immaginare che la scrittura, una volta inventata, fosse usata non solo per fissare concetti o dati, ma anche per comunicare pensieri e desideri a persone lontane. Infatti abbiamo la prima testimonianza di lettera già nel VI libro dell’Iliade: Omero racconta che la moglie di Proito, la divina Anteia, desiderava unirsi in clandestino amore con il giovane Bellerofonte, al quale gli dei avevano donato forza virile e bellezza, ma Bellerofonte non si lasciò sedurre. Proito, al quale la moglie, mentendo, confessa di essere stata sedotta dal giovane, preso d’ira ma non potendo uccidere il giovane suo ospite in quanto persona sacra, lo manda dal suocero, re della Licia, con tavolette ripiegate con cura su cui era scritto che Bellerofonte doveva essere ucciso; il mittente dava dettagliate istruzioni al suocero, e probabilmente gli spiegava anche il motivo di una tale richiesta. La prima lettera dell’antichità ha dunque il carattere dell’assoluta riservatezza ed il messaggio che contiene è di estrema gravità. Del resto in Grecia solo in casi eccezionali e gravi si usava scrivere lettere private, perché gli strumenti necessari erano costosi e la scrittura era scarsamente diffusa; si preferiva in genere un messo che riferisse oralmente le comunicazioni. Fu la regina Atossa, moglie di Dario, durante il regno di quest’ultimo ad organizzare la posta, quindi da allora la trasmissione di messaggi via lettera ebbe diffusione più capillare. A Roma invece, soprattutto nell’epoca ciceroniana, si scrissero lettere private in maggior numero e di argomento anche leggero. Le notizie che possediamo sulle abitudini epistolari dei romani ed osservazioni teoriche su argomenti e stile della lettera sono ricavate dal ricco epistolario di Cicerone, secondo il quale essa fu inventata con lo scopo primario di informare gli assenti su determinati fatti ed avvenimenti, rendere partecipi gli amici della propria gioia nella buona sorte, consolarli nelle avversità, esprimere liberamente i propri pensieri; erano di solito evitati gli argomenti impegnativi, adatti ad altri generi letterari come il dialogo o il trattato. Inoltre la lettera si configura come “la metà di un dialogo” , tanto che chi scrive si rivolge all’amico come se gli parlasse, e il destinatario, leggendo, ha l’impressione di ascoltare la voce del mittente. Per queste ragioni lo stile usato è quello del parlare quotidiano: la prosa, come afferma Quintiliano, ha il ritmo del parlato e questo costringe all’attenzione alla quantità, ma è slegata, senza coesione fissa, non scorrevole; il tono è perlopiù familiare e sono abbondanti le battute scherzose e gli aneddoti, insomma lo “iocum” ; la pubblicazione di una lettera con queste caratteristiche divenne ancora più pericolosa in seguito alla nascita dell’impero e sotto un regime autoritario. Cicerone afferma di poter riconoscere l’autore della lettera che riceve non dalla calligrafia, perché stendere una lettera sulle tavolette risultava faticoso e quindi spesso si ricorreva ad uno schiavo amanuense al quale o si dettava il messaggio parola per parola o se ne affidava la stesura dandogli alcune indicazioni di massima; non dalla firma che in alcuni casi era persino omessa, bensì dallo stile e dal tono con cui era scritta. Queste osservazioni ciceroniane sono riferite a quelle che considerava lettere veramente private, destinate alla lettura di una sola persona, ed afferma che devono rimanere private e che è un grave tradimento da parte di chi le riceve renderle di pubblico dominio; tuttavia nel suo epistolario distingue queste lettere da quelle che, già nell’idea di chi le stende, sono indirizzate a molti, profondamente diverse per contenuto e stile; ne sono un esempio quelle che trattano di politica o filosofia.
Ma per quali motivi autori sia greci sia romani per trasmettere tali messaggi ad una comunità o all’intera umanità hanno scelto di utilizzare un genere che per sua natura ha il carattere della riservatezza?
- Tipi di lettere non private, analisi di testi esemplificativi
Lo studioso Deissmann ha proposto una distinzione tra “lettera” ed “epistola” : il primo termine è riferito alle vere lettere, realmente destinate ad una persona o ad un ente, il secondo a quelle scritte per essere diffuse ed indirizzate solo fittiziamente ad un singolo. L’epistola diventa così un vero e proprio genere letterario, un prodotto di arte letteraria; ha in comune con la lettera alcune formule, ma quanto a contenuto e stile, paradossalmente risulta quasi esserne l’opposto: la lettera è riservata ad una persona sola e mira al segreto, l’epistola è destinata al maggior numero possibile di lettori ed aspira alla divulgazione; mittente e destinatario della lettera sono in rapporto di conoscenza, quindi alcuni dettagli possono essere sottintesi, l’epistola invece richiede chiarezza e precisione; nella lettera il mittente, il destinatario, la situazione, l’occasione che l’ha provocata sono elementi indispensabili per la comprensione del contenuto, nell’epistola questi stessi elementi sono finzione letteraria o semplice ornamento esterno. Tuttavia questa distinzione non è sempre così netta, perché ci sono giunte raccolte di lettere di vario argomento che non erano state concepite per essere pubblicate, ma non potevano definirsi del tutto private. Anche in questo caso quelle tramandateci dai Greci sono in numero molto minore rispetto a quelle lasciateci dai Romani.
Di Isocrate ci sono pervenute nove lettere di argomento politico, tutte indirizzate a sovrani o principi della sua epoca e successivamente pubblicate. Tra queste l’epistola V è indirizzata al giovane Alessandro: in essa Isocrate loda la sua condotta ed i suoi interessi filosofici e lo esorta a restare fedele ai principi di equità ed assennatezza che sembra già aver interiorizzato e che lo aiuteranno ad agire sempre secondo giustizia e ad emergere in saggezza. Questa può essere considerata un’epistola perché per molti aspetti si avvicina ad un’orazione: l’argomento è di ampio respiro, le affermazioni sono cardini del pensiero politico di Isocrate e contengono la sua idea di sovrano presente in vari discorsi, lo stile è elaborato e ricco di parallelismi ed antitesi, adatto al contenuto, e l’autore mostra la sua tipica attitudine ad istruire ed a fornire precetti non solo politici ma anche etici ed universali, validi sempre e non soltanto in quella contingenza. Tuttavia questi tratti sono dovuti soprattutto all’alto rango del destinatario, ed Isocrate trasmette il suo messaggio in una forma più limitata rispetto all’orazione a quello specifico destinatario in quelle precise e favorevoli circostanze; per questi motivi siamo in realtà di fronte ad una lettera vera e propria, anche se così distante dal contenuto e dallo stile delle lettere private.
Sotto il nome di Platone ci sono state tramandate tredici lettere, anch’esse politiche e con destinatari di un certo spessore; si nutrono però dei dubbi sull’autenticità della maggior parte di esse per ragioni stilistiche e contraddizioni storiche e cronologiche. Tra quelle ritenute autentiche la VII ad Archita di Taranto è considerata la più significativa perché offre informazioni preziose sul personaggio di Platone e sulla genesi della sua attività filosofica. Il destinatario è parente di Dione, tiranno di Siracusa sul quale il filosofo aveva puntato per la realizzazione del suo progetto istituzionale; Platone racconta che il suo interesse politico era già vivo in giovane età, ma ben presto si ritirò dagli affari perché non condivideva le iniquità commesse dai Trenta Tiranni allora al potere; dopo la caduta del regime, notando che il nuovo governo democratico si mostrava più moderato, tentò di riaccostarsi agli affari pubblici, ma rimase deluso dall’ingiusta condanna di Socrate. Da allora si dedicò alla riflessione sulla politica e concluse che sua indispensabile guida è la retta filosofia e suo avversario il malcostume, diffuso in molte città; così dunque avrebbe avuto inizio l’attività di ricerca gnoseologica di Platone e si sarebbe delineato il suo progetto di avvicinare alla filosofia i tiranni di Siracusa, anche se fallirono tutti i tentativi di realizzarlo. Il contenuto è quindi personale ma nello stesso tempo di portata universale, e lo stile, commisurato a contenuto e destinatario, è elevato e, nonostante sia più immediato di quello dei dialoghi, conserva tratti di solennità come perifrasi e litoti che enfatizzano i concetti. Questo testo è considerato una lettera e non un’epistola, ma la sua importanza letteraria è notevole perché, come nel caso di Isocrate, vi sono contenute le più profonde convinzioni politiche dell’autore espresse più liberamente che in altri scritti, ed è anzi definita il suo testamento politico e filosofico; si tratta certamente di una vera lettera, ma è probabile che non fosse indirizzata solo ad Archita, perché non abbondano e non sono fondamentali per la sua comprensione riferimenti precisi al destinatario ed alla situazione in cui Platone la stese.
Entrambi questi autori dunque scrissero vere lettere ma non riservate, delle lettere aperte indirizzate alla loro comunità, che a Roma trovarono svariati imitatori, dei quali il primo ed il principale fu Cicerone.
Nel nutrito epistolario ciceroniano, il più numeroso tra quelli a noi giunti, non sono ancora presenti lettere concepite per essere divulgate, ma di alcune Cicerone desiderò la pubblicazione dopo che furono scritte; ne è un esempio la lettera a Lucceio (ad Familiares V 12), che ha l’obiettivo di comunicare un messaggio personale ad un amico, ma la richiesta che contiene è di notevole portata: Cicerone invita Lucceio a racchiudere in un libro le glorie del suo consolato, in particolare l’aver scoperto e sventato la congiura di Catilina, e di farne un’opera encomiastica che indulgesse in parte all’affetto e spingesse le sue lodi oltre la verità, trascurando le leggi della storia; per dare forza alla sua preghiera argomenta che sarà facile per lo scrittore creare un’opera dilettevole perché la materia è varia e suscita nel lettore stati d’animo alterni ma sempre piacevoli; inoltre vuole evitare di narrare egli stesso le sue imprese per non essere costretto al pudore nelle lodi ed a tralasciare i momenti in cui merita biasimo. Non mancano considerazioni positive anche se non adulatrici sulla persona che ha destinato a questo compito così gravoso ed importante. Dalle parole di Cicerone traspare l’insistenza con cui prega Lucceio e al contempo il suo imbarazzo per l’audacia che dimostra chiedendo all’amico di interrompere le opere già intraprese per accingersi ad una tale fatica; è tipico di una lettera personale lasciar intravedere gli stati d’animo di chi scrive. Ma la scelta e la disposizione delle parole sono molto accurate, sono numerosi gli iperbati, le allitterazioni e le figure chiastiche, espedienti con cui l’autore induce il destinatario a soffermare la sua attenzione sulle richieste e sulle argomentazioni; queste ultime sono collegate tra loro, i passaggi logici sono ben chiari e vi è quindi una coerenza complessiva nel discorso. Dopo un esordio verecondo aumenta l’insistenza della preghiera, la sintassi diventa più complessa ed il tono più enfatico tanto da riecheggiare quello delle orazioni, ed elevato per la presenza di riferimenti dotti alla letteratura greca. Questa lettera è dunque un testo letterario e si avvicina ai discorsi di portata pubblica, con i quali ha in comune lo scopo di persuadere l’ascoltatore: Cicerone sembra servirsi della sua perizia retorica per sostenere una causa personale ed inserisce considerazioni sull’arte della scrittura non strettamente legate alla situazione contingente ma di più ampio respiro, utili a dare spessore alle sue tesi. Per tali motivi questa non si può definire un’epistola, ma si allontana dalle lettere veramente private e Cicerone ne è consapevole: infatti poco tempo dopo scrive all’amico Attico di farsi consegnare da Lucceio questa lettera, che egli stesso ritiene scritta con tanta grazia e sapienza, e di renderla pubblica.
Le lettere ad Attico invece rispondono a tutti i requisiti delle lettere private teorizzati da Cicerone stesso. Ad esempio nella II del libro I, molto breve, egli informa l’amico della nascita di suo figlio e della sua intenzione di assumere la difesa di Catilina, e lo esorta inoltre a recarsi al più presto a Roma perché persone a lui vicine sono contrarie all’elezione di Cicerone al consolato; fa riferimento anche all’ultima lettera che ha scritto ad Attico, la I del libro I, nella quale l’aveva ragguagliato con dovizia di particolari sulla campagna elettorale in cui era impegnato in quell’anno 65 a. C. I periodi spesso contengono un unico concetto, Cicerone si esprime concisamente ed in tono confidenziale, come se stesse parlando all’amico; tuttavia si nota anche la sua reticenza, poiché egli cita “personaggi ragguardevoli vicini ad Attico” senza dirne il nome, ed Attico non poteva esserne a conoscenza perché, come si apprende da questa stessa lettera, si trovava lontano da Roma: probabilmente Cicerone, non avendo ricevuto risposta al messaggio precedente in cui gli aveva invece confidato ciò che sapeva o sospettava di personaggi politici eminenti citandoli con i loro nomi, temeva che non fosse arrivato a destinazione e che quindi anche questa lettera potesse essere intercettata, quindi evita di inserire informazioni che possano compromettere lui o Attico. In realtà in tutte le lettere private non mancavano omissioni di particolari non indispensabili: nella I lettera Cicerone non specifica l’identità dei personaggi che nomina, perché allora erano noti in ambito politico ed Attico doveva ben conoscerli. Ma c’erano situazioni in cui questi dialoghi immaginari con gli amici, solitamente liberi e spontanei, erano volutamente reticenti e composti in modo che nessuno all’infuori del destinatario potesse intuire i dettagli lasciati impliciti dal mittente.
Un altro autore di lettere aperte è Plinio il giovane, ma le sue finalità erano profondamente diverse da quelle di Cicerone, anche se come lui riteneva che requisito primo di una lettera pubblica fosse l’accuratezza dello stile.
Plinio il giovane scrisse numerosissime lettere, la maggior parte delle quali appartengono al periodo di Nerva e Traiano, dopo la morte di Domiziano; erano destinate a personaggi di diversa posizione politica ed estrazione sociale, poiché egli era ben integrato nella società del suo tempo. Queste lettere ci sono giunte in dieci libri, dei quali i primi nove contengono le “epistulae ad familiares” , scritte a parenti ed amici anche illustri come Marziale e Tacito, che perlopiù ritraggono momenti di vita mondana della classe medio-alta e squarci autobiografici, mentre il decimo raccoglie il carteggio ufficiale con l’imperatore Traiano e fu pubblicato postumo. Fu Plinio stesso a curare la raccolta e la pubblicazione delle lettere dei primi nove libri, su consiglio dell’amico Setticio Claro: nella I lettera del libro I a lui indirizzata, che ha funzione introduttiva e programmatica, l’autore spiega di aver scelto le lettere da lui scritte con uno stile più accurato e limato (paulo curatius) e di averle disposte non in rigoroso ordine cronologico, ma “come gli capitavano tra le mani” , in modo da conservare la varietà degli argomenti. Si è discusso sul fatto che in realtà queste lettere siano fittizie e non siano mai state spedite, perché ciascun testo sembra avere una propria autonomia e lo stile appare colto e fiorito, ispirato al modello ciceroniano com’era intento dichiarato dell’autore stesso; tuttavia è solitamente accettata la tesi secondo cui sarebbero vere lettere, ma sottoposte ad un lavoro di revisione prima di essere divulgate. Una tra le più celebri dell’intero epistolario è la XVI del libro VI scritta all’amico Tacito nella quale, su richiesta del destinatario stesso, racconta la morte dello zio Plinio il Vecchio durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d. C. Tacito aveva espresso il desiderio di rendere immortale attraverso i suoi scritti la morte onorevole di un personaggio così illustre, e Plinio il giovane era molto legato allo zio ed è quindi felice di fornire a Tacito la sua testimonianza; racconta perciò i fatti con esattezza e veridicità, perché per il grande scrittore fosse più facile farne una pagina di storia, e cerca di evidenziare il più possibile l’amore per la scienza, la forza d’animo, la generosità che lo zio dimostrò in quell’occasione e che considerava degne delle lodi dei posteri: racconta che egli, dopo aver notato l’insolita nube proveniente dal Vesuvio, ordinò subito che gli si preparasse una nave per avvicinarsi al luogo e studiarla più attentamente, ma poco dopo gli giunge da Stabia un messaggio da parte degli amici terrorizzati perché già cenere e lapilli cadevano copiosi, e parte in tutta fretta per metterli in salvo ed allontanarli dal pericolo con la nave. É deciso a raggiungere la meta nonostante sia ormai consapevole della gravità della situazione, e per tutto il giorno e la notte che trascorre nella villa dell’amico Pomponiano mantiene un contegno sereno e razionale, pronto a qualunque sacrificio per portare aiuto alle persone affollate sulla spiaggia in attesa che cessi la burrasca ed il mare torni accessibile; muore il mattino seguente su quella stessa spiaggia, soffocato dall’aria troppo densa di zolfo. Una delle caratteristiche che hanno reso celebre questa lettera è la vivacità della narrazione, avvincente grazie all’andamento fluido dei periodi, al lessico chiaro, immediato e non troppo solenne, al ritmo ora lento ora incalzante del racconto. La figura di Plinio il vecchio sembra stagliarsi altera a dominare lo scenario, e Plinio il giovane ottiene quest’effetto concentrando sempre l’attenzione su di lui e soffermandosi su quei dettagli che, pur verosimili, lo fanno però rassomigliare ad un eroe ed hanno quindi maggior interesse letterario perché risvegliano l’ammirazione dei lettori: per esempio la sua frase coraggiosa in risposta all’ordine del timoniere di invertire la rotta “la fortuna aiuta i forti” , il suo sonno tranquillo e profondo tanto che gli altri, svegli e pieni di paura, potevano udirne il respiro ampio e regolare; il suo atteggiamento è antitetico a quello di tutti gli altri personaggi, egli si affretta dove altri fuggono, è ragionevole nell’agitazione generale, insomma il nipote ne dà un’immagine nitida e molto positiva. In questa lettera l’autore accenna solo brevemente a se stesso e si pone in secondo piano rispetto al vero protagonista, ma ci tiene ad affermare il suo amore per la cultura ed il suo zelo nello studio.
Queste lettere sono quindi indirizzate specialmente alla società colta del tempo, e Plinio aveva l’obbiettivo di ottenerne un giudizio sia sulla sua personalità, che cerca di far emergere sotto la migliore luce, sia sulla sua abilità di letterato; è uno scopo che vuole raggiungere anche con le altre sue opere, ma ci riesce con il maggior successo con le lettere, alcune delle quali, come quella analizzata, sono considerate i suoi capolavori.
Un autore che non segue la tradizione ma rielabora il mezzo della lettera in modo del tutto personale è Seneca. Ci sono giunte 124 lettere da lui scritte ed organizzate in venti libri, indirizzate a Lucilio, un giovane che deve intraprendere un percorso di formazione. Nel caso di Seneca si può parlare di “epistole” per molte ragioni: gli argomenti in esse trattati sono i più vari e, pur prendendo spunto da fatti occasionali, sono di carattere etico e universale: utili precetti per una vita virtuosa, molti dei quali in accordo con la dottrina stoica.
Prendendo in esame l’Epistola VIII del libro I si notano il numero e la portata degli insegnamenti che contiene: condurre una vita appartata e dedita allo studio ed alla filosofia, disprezzando ogni bene fortuito o superfluo in modo da mantenersi veramente liberi. Ma in essa sono indicati gli intenti programmatici dell’intera opera: Seneca dichiara apertamente di aver scelto di ritirarsi e dedicarsi allo studio per curare l’interesse dei posteri ed immagina di tenere loro un discorso ricco di salvifiche esortazioni: dunque il destinatario delle sue lettere non è soltanto Lucilio, ma esse sono concepite con l’obiettivo di essere lette dal maggior numero di persone possibile e contengono salutari ammonizioni per ogni lettore di qualunque epoca; l’occasione che ne è stata all’origine non solo non è indispensabile per la comprensione del contenuto, ma perde quasi tutta la sua importanza perché in una stessa lettera possono esserci osservazioni di carattere molto generale che si staccano dall’evento che l’aveva ispirata. Tuttavia Seneca sceglie proprio la lettera per trasmettere questi messaggi, ma qui essa diventa un vero e proprio genere letterario: egli ne riproduce la forma e l’essenza originaria, quella di essere la metà di un dialogo in cui l’interlocutore è assente ma condiziona l’atteggiamento e il registro di chi scrive ed a cui Seneca dà voce facendogli pronunciare richieste ed obiezioni dirette; si identifica con Lucilio, ma potrebbe essere un qualunque uomo che ragiona e riflette sulle parole di Seneca, vi si dedica con attenzione e mostra di apprenderne il senso e di progredire nella loro comprensione. Il registro è molto colloquiale, come testimonia la presenza dell’imperativo e di continui espedienti per coinvolgere il lettore: l’autore dichiara di parlare (loquor) ai posteri e comunicare in tono familiare i rimedi che lui stesso ha sperimentato su di sé. Il lessico è sorvegliato ed è frequente il ricorso ad immagini quotidiane: quando Seneca invita ad occuparsi del corpo solo quanto è necessario perché sia al servizio dell’anima, afferma che “un tetto di foglie copre bene quanto uno d’oro” . La lettera è il mezzo che gli è più adatto perché gli consente di instaurare un rapporto intenso con chi leggerà i suoi testi, ed egli ne sente il bisogno anche nelle opere d’altro genere. In questa lettera come in altre Seneca tratta diversi argomenti, ma il filo che li lega è sottile, spesso è un’associazione di pensieri dell’autore che non appare chiara, quindi i passaggi da un tema all’altro sembrano improvvisi e quasi bruschi: Seneca consiglia di condurre una vita appartata ed operosa, poi di evitare ogni bene fortuito, poi di fuggire ogni bene superfluo, infine, prendendo spunto da una massima di Epicuro, di conquistare la libertà affidandosi alla filosofia, senza che ci siano collegamenti se non labili tra i vari argomenti. Questa caratteristica è tipica non solo delle Epistole, ma anche delle opere più simili a trattati, in cui Seneca ricerca una maggiore sistematicità, ma si nota una certa mancanza di coesione dovuta alle sue intime convinzioni, alla sua visione di un mondo fratturato e complesso; ma la lettera è per sua natura un testo non coeso, quindi anche da questo punto di vista è la forma che più si addice a Seneca.
Conclusioni
Ciascuno di questi autori utilizza la lettera in modo coerente con il suo stile ed il suo atteggiamento, ma ciò che si avverte chiaramente leggendo tutti questi testi è la forte ricerca di comunicazione ed il desiderio di un riscontro da parte dei destinatari. La volontà di comunicare è tipica di chiunque scriva un testo letterario, in questi casi assume un rilievo sconosciuto ad altre opere, per la stretta relazione che si crea tra lo scrittore e i lettori. Gli autori di lettere aperte come Isocrate e Platone si ponevano come guide politiche e morali della loro comunità ed era da essa che attendevano un riscontro in termini di comportamento e di scelte di amministrazione dello stato. Plinio il giovane si rivolgeva ad una parte della sua comunità che avesse competenze in campo letterario, e non ambiva ad influenzarla, ma il riscontro che desiderava era soltanto un giudizio il più possibile favorevole sul valore dei suoi scritti. L’unicità di Seneca consiste nel fatto che si pone come guida morale dei posteri e quello che si aspetta è che siano seguite le sue indicazioni di comportamento, anche da lettori di molti secoli dopo.