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27 Gennaio 2019
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27 Gennaio 2019Il perdono come atto civile: la testimonianza di Margherita Coletta
In un’Italia spesso ferita da conflitti, tensioni e scontri ideologici, la voce di Margherita Coletta – vedova del brigadiere dei carabinieri Giuseppe Coletta, ucciso nell’attentato di Nasiriyah nel 2003 – si leva come testimonianza di pace, speranza e umanità.
Nel dicembre 2009, in un momento di forti tensioni politiche segnato dall’aggressione a Silvio Berlusconi, Margherita Coletta ha parlato dal carcere Due Palazzi di Padova, rivolgendosi ai detenuti con parole che superano ogni schieramento e toccano il cuore della questione: la possibilità del perdono.
“Solo il bene spezza la catena del male”, ha detto Coletta. Un’affermazione che potrebbe sembrare astratta o ingenua, se non provenisse da chi ha vissuto il dolore estremo della perdita: il marito ucciso in missione, e prima ancora il figlioletto malato.
La sua forza non è quella della vendetta o della durezza, ma quella del riconoscere nel dolore altrui qualcosa di proprio. “Tra noi non ci sono differenze”, ha detto ai carcerati, “anche voi vivete come me la lontananza dai vostri cari”.
Parole potenti in un’Italia dove il dibattito pubblico spesso si arrocca su posizioni rigide, incapace di accogliere l’altro, soprattutto quando ha sbagliato. Invece, Margherita Coletta propone una rivoluzione silenziosa ma profonda: guardare l’altro non per ciò che ha fatto, ma per ciò che è e può diventare. Una persona, non un errore.
Il punto centrale non è ignorare il male – il male va riconosciuto, giudicato e condannato – ma non lasciargli l’ultima parola. Odiare chi ci ha fatto del male, dice Coletta, ci rende simili a loro. Il vero cambiamento nasce quando si interrompe il ciclo dell’odio.
In un tempo in cui la politica sembra incapace di fermare l’escalation verbale e simbolica della violenza, questa donna propone un altro sguardo, quello del perdono. Non un perdono facile, non un atto di superiorità morale, ma una possibilità donata. E ricevuta, prima di tutto.
“È solo se un Altro ci perdona che possiamo accettare gli altri e, prima ancora, noi stessi.” In questa frase c’è tutto: la consapevolezza del limite, la gratuità della misericordia, la responsabilità del ricominciare.
“Il seme di Nasiriyah” è un libro scritto da Margherita Coletta, moglie di Giuseppe Coletta, un carabiniere morto nell’attentato di Nasiriyah del 2003.
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