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28 Dicembre 2019📘 La coscienza di Zeno: il romanzo dell’inconscio
Pubblicato nel 1923, La coscienza di Zeno è il capolavoro di Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz. Un libro che all’inizio passò quasi inosservato, ma che oggi è considerato uno dei vertici del romanzo europeo del primo Novecento. Perché? Perché racconta qualcosa che fino ad allora era rimasto ai margini della letteratura: l’inconscio, le autoillusioni, i conflitti interiori. E lo fa con una voce narrativa nuova, ironica, ambigua, moderna.
Zeno Cosini: un uomo qualunque, un uomo qualunque?
Zeno è un borghese triestino che decide di scrivere la propria autobiografia su consiglio del suo psicoanalista. E proprio questo espediente dà al romanzo una struttura profondamente originale: La coscienza di Zeno è il diario di un uomo che si guarda dentro, ma lo fa in modo distorto, involontariamente comico, spesso autoassolutorio.
Zeno non è un eroe, né un malvagio: è un uomo contraddittorio, pieno di buone intenzioni e pessime scuse. Prova a smettere di fumare ma fallisce, si sposa quasi per caso, tradisce la moglie con poca convinzione, fa affari senza troppo talento. È insomma un uomo “malato”, ma di una malattia molto diffusa: quella di chi non sa davvero conoscersi, e finisce per vivere nella nebbia delle proprie illusioni.
Svevo e Freud: il romanzo dell’inconscio
Nel 1923, parlare di psicoanalisi in un romanzo italiano era qualcosa di rivoluzionario. Svevo, che aveva letto e conosciuto le teorie di Sigmund Freud, costruisce La coscienza di Zeno come una lunga seduta psicoanalitica, ma con un tono ironico e paradossale.
Il lettore capisce presto che Zeno non è un narratore affidabile: dice di scrivere per guarire, ma in realtà usa la scrittura per giustificarsi, deformare, dimenticare. La sua “coscienza” non è mai limpida, è un groviglio di ricordi, rimozioni, autoinganni. E il romanzo gioca su questa ambiguità, lasciando il lettore sempre sospeso tra verità e menzogna.
Una struttura frammentata e moderna
Il romanzo è diviso in sei capitoli tematici, ognuno dei quali affronta un aspetto della vita di Zeno:
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Il fumo,
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La morte di mio padre,
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La storia del mio matrimonio,
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La moglie e l’amante,
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Storia di un’associazione commerciale,
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Psico-analisi.
Ma non aspettarti un racconto lineare: il tempo è continuamente spezzato, interrotto, deformato. Il passato e il presente si mescolano, i fatti vengono raccontati, smentiti, riletti. È come entrare davvero nella mente di un uomo, dove i ricordi non sono mai oggettivi, ma sempre vissuti, manipolati, rivisitati.
Un finale profetico
Il romanzo si chiude con una riflessione che oggi appare quasi profetica. Zeno immagina che l’uomo, attraverso la scienza e la tecnica, possa creare una bomba così potente da distruggere il mondo intero. Non c’è redenzione, né guarigione: l’unica vera “coscienza” possibile, sembra dirci Svevo, è accettare il caos, l’incongruenza, la follia del vivere.
Perché leggere La coscienza di Zeno oggi?
Perché ci parla ancora.
Zeno siamo noi, con le nostre dipendenze, le nostre paure, i nostri sogni falliti e le nostre maschere quotidiane.
E Svevo, con uno stile asciutto, ironico e penetrante, ci invita a guardarci dentro. Non per giudicarci, ma per capire che siamo fatti anche (e soprattutto) di ciò che non capiamo.
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