
Turno irrompe nel campo troiano, Eneide, IX 672-761
28 Dicembre 2019
Il ricordo di Marcel Proust
28 Dicembre 2019Il brano L’ambiente bancario tra alienazione e rivalità, tratto dal capitolo V di Una Vita di Italo Svevo, offre uno spaccato significativo dell’ambiente di lavoro in cui si muove il protagonista, Alfonso Nitti.
Attraverso pochi ma incisivi dettagli, Svevo delinea un luogo di lavoro che è al contempo fonte di alienazione, teatro di sottili rivalità e specchio della condizione psicologica dei suoi impiegati.
1. La Partenza di Sanneo: Alienazione e Giudizio Sociale
Il primo punto del brano si concentra sulla figura di Sanneo, un impiegato che si prende un permesso inferiore a quello a cui avrebbe diritto. Questo dettaglio, apparentemente minore, è carico di significato:
- Alienazione dal Lavoro: Sanneo non è in grado di staccarsi completamente dal suo ruolo. Il fatto che non sappia “restare per troppo lungo tempo privo del suo pane quotidiano, la posta e la polemica” rivela una dipendenza patologica dall’ambiente lavorativo. Il lavoro non è solo un mezzo di sostentamento, ma una componente essenziale della sua identità e della sua routine, al punto da non poterne fare a meno. Questa dipendenza suggerisce una forma di alienazione, dove l’individuo si identifica talmente con la sua funzione da perdere la capacità di esistere al di fuori di essa.
- La Pressione del Giudizio Altrui: La frase “fra gl’impiegati si asseriva che il signor Sanneo non sapesse restare…” indica una forte pressione sociale e un giudizio costante da parte dei colleghi. L’ambiente è permeato da una mentalità che valorizza l’asservimento al lavoro e che critica chiunque mostri segni di distacco o autonomia. Questa “polemica” è un sintomo della rivalità e del conformismo interno.
2. L’Ufficio di Alfonso: Spazio Fisico e Condizione Esistenziale
Il secondo punto sposta l’attenzione sull’ufficio di Alfonso Nitti, descrivendo l’ambiente fisico in relazione alla sua condizione interiore:
- Subalternità e Povertà Ambientale: Alfonso riceve le istruzioni da Miceni, il che lo pone in una posizione di subalternità. La sua stanza è “accanto a quella del signor Cellani, più buia di questa perché un palazzo di faccia le toglieva la luce”. La mancanza di luce naturale è una potente metafora della mancanza di prospettive, della chiusura e dell’oppressione che Alfonso percepisce nel suo lavoro e nella sua vita. L’ambiente è privo di attrattive, quasi soffocante.
- Omologazione e Mancanza di Individualità: I mobili dell’ufficio di Alfonso sono “identici a quelli degli altri impiegati”. Questa uniformità degli arredi simboleggia l’omologazione e la perdita di individualità che il sistema bancario impone. Non c’è spazio per l’espressione personale, tutto è standardizzato.
- Dettagli Rivelatori:
- “due armadi di legno dipinti rozzamente in giallo”: Il “giallo” può evocare un senso di malessere o di falsità, mentre la “rozzezza” della pittura suggerisce una superficialità e una scarsa attenzione alla qualità della vita lavorativa.
- “una sedia di paglia”: Un elemento di povertà e scomodità, che contrasta con l’immagine di prestigio che una banca dovrebbe trasmettere.
- “l’unica finestra, un altro tavolo da cui era stato levato il palchetto”: L’unica fonte di luce è parzialmente ostruita, e il “palchetto levato” può suggerire un senso di privazione o di qualcosa di incompiuto, di un potenziale non realizzato.
3. Alienazione e Rivalità: Temi Sveviani
Il brano condensa alcuni dei temi centrali della poetica di Svevo:
- Alienazione del Lavoro: Il lavoro in banca è descritto come un’attività ripetitiva e priva di significato profondo, che assorbe l’individuo e lo allontana dalla sua vera essenza. L’impiegato diventa un ingranaggio di un meccanismo più grande, perdendo la propria autonomia e la capacità di godere della vita al di fuori dell’ufficio.
- Inettitudine e Inadeguatezza: Sebbene non esplicitato in questo frammento, l’ambiente bancario è il luogo dove l’inettitudine di Alfonso Nitti si manifesta pienamente. La sua incapacità di adattarsi alle dinamiche di competizione e conformismo lo rende un “diverso”, un alieno in un mondo che non gli appartiene.
- Rivalità e Meschinità: La “polemica” tra gli impiegati e il giudizio su Sanneo rivelano un ambiente di lavoro caratterizzato da invidie, meschinità e una competizione sotterranea. La mancanza di solidarietà e la tendenza a giudicare gli altri per la loro adesione (o meno) alle norme non scritte del sistema contribuiscono a creare un’atmosfera opprimente.
- La Prigione Sociale: L’ufficio, con la sua buia e omologata struttura, diventa una metafora della prigione sociale in cui i personaggi sono intrappolati. Non è una prigione fisica, ma una gabbia di convenzioni, aspettative e ruoli che limitano la libertà individuale.
Conclusione
Questo breve estratto da Una Vita di Italo Svevo è un esempio magistrale di come l’autore utilizzi la descrizione dell’ambiente per riflettere la condizione interiore dei personaggi e per criticare le dinamiche sociali. L’ambiente bancario è dipinto come un luogo di alienazione e rivalità, dove l’individuo è schiacciato dalle logiche del lavoro e del conformismo, e dove la luce della vita sembra faticare a penetrare. È un preludio alla tragica traiettoria di Alfonso Nitti, un “inetto” che non riesce a trovare il suo posto in un mondo che lo respinge e lo soffoca.
Testo del brano su “L’ambiente bancario tra alienazione e rivalità” tratto dal capitolo V di Una Vita di Italo Svevo
L’ambiente bancario tra alienazione e rivalità
Il primo a partire fu Sanneo il quale si prese quindici giorni di permesso mentre ne avrebbe avuto diritto a trenta. Fra gl’impiegati si asseriva che il signor Sanneo non sapesse restare per troppo lungo tempo privo del suo pane quotidiano, la posta e la polemica.
Alfonso, per caso, presente, Sanneo diede le istruzioni a Miceni, il quale nella sua assenza doveva fungere da capo. La stanza di Sanneo era posta accanto a quella del signor Cellani, più buia di questa perché un palazzo di faccia le toglieva la luce. Anche questa stanza, d’inverno aveva i tappeti, ma, salvo il tavolo di legno nero, largo e comodo, cedutogli dal procuratore che ne aveva preso un altro, i mobili erano identici a quelli degli altri impiegati: due armadi di legno dipinti rozzamente in giallo, una sedia di paglia e, di fianco all’unica finestra, un altro tavolo da cui era stato levato il palchetto.
Sanneo, seduto, andava consegnando a Miceni che stava alla sua destra in piedi, lettera per lettera, un grosso pacco, indicandogli esattamente quanto avesse da fare a un dato giorno o dopo ricevuto altro scritto. Riponeva qualche lettera anche dopo data tutta la spiegazione osservando con una smorfia che c’era tempo per rispondere e che voleva farlo lui a suo tempo. Si capiva che gli seccava di abbandonare a Miceni tutta la sua gestione.
Miceni ritornò nella sua stanza col capo ritto, la figurina tesa, il passo rigido. Si sedette e con un sorriso sprezzante mormorò:
— Tante spiegazioni come se fossi da ieri alla banca. […]
Miceni occupò la stanza di Sanneo per essere alla mano dei direttori. Riceveva gli ordini direttamente dal signor Maller o dal signor Cellani e Alfonso gl’invidiava la disinvoltura con la quale trattava con tali alti personaggi.
Per Alfonso fu questo un intervallo di riposo a quel lavorio di copiatura a cui veniva costretto da Sanneo ed ebbe poscia spesso a rimpiangere questi quindici giorni. Non importava gran fatto a Miceni che venissero spedite molte offerte; per corrispondere all’impegno preso gli bastava che il lavoro d’obbligo venisse fatto intero e senza errori. Ebbe l’intelligenza di abbandonare subito il sistema seguito da Sanneo. Costui non dava da fare la posta corrente che a Miceni e a due altri impiegati; gli altri tutti facevano un lavoro basso di copiatura e di revisione di conteggi: «È preferibile un impiegato che comprenda a dieci imbecilli» soleva dire Sanneo. Miceni chiamò tutti ad aiutarlo e ad Alfonso toccò scrivere piccole lettere italiane di scritturazione, lavoro più variato e più piccolo di quello avuto sino ad allora. […]
Al suo ritorno, Sanneo salutò gl’impiegati più freddamente che alla partenza. Rientrato alla banca ridiveniva immediatamente il capo, mentre partendo aveva avuto il tempo di salutarli da collega.
Il primo giorno Miceni lo passò nella stanza di Sanneo per consegnargli i sospesi. Poi tutto riprese le vie usate e solo Miceni non seppe trovare la sua. Camminava per la banca più stecchito del solito, in ozio perché essendo assuefatto al lavoro di Sanneo non era occupato abbastanza dal suo. Rimpiangeva quei quindici giorni di quasi sovranità, lodava il contegno che avevano avuto con lui i direttori ma più di tutto esaltava il genere di lavoro di Sanneo.
— Questo è tutt’altra cosa! — esclamava con disprezzo accennando alle sue carte, — niente varietà e niente d’iniziativa!
Nella stanza era ora l’unico a lagnarsi della vita da travetto. Alfonso era ozioso perché Sanneo non gli aveva dato ancora da fare delle offerte e si godeva le poesie del de Musset.
Ben presto tutti alla banca seppero che i rapporti fra Miceni e Sanneo erano divenuti difficili e da tutti ne veniva attribuita la colpa a Miceni. […]
Quest’inimicizia avrebbe potuto restare latente per molto tempo se Miceni in un momento d’ira non avesse chiaramente spiegato a Sanneo tutto il suo malvolere.
Erano le ore di maggior furia di lavoro, alla sera, e Sanneo trovò una lettera di Miceni fatta del tutto diversamente dal modo ch’egli avrebbe voluto; si rammentò anche che per quella lettera Miceni non s’era notabenato.
Venne da Miceni a passo di corsa, agitatissimo perché sospettava che l’errore fosse stato fatto scientemente.
— Questa lettera non può partire — e la scuoteva con la mano nervosa; — io voleva che si scrivesse altrimenti, non ha visto il notabene? Mi faccia vedere la lettera originale!
Visto che Miceni, che voleva guadagnare tempo, si moveva con troppa lentezza, prese lui il pacco di lettere, le sparse sul tavolo e ne trasse il corpo del delitto.
— Non vide questo notabene? — gridò furibondo.
Infatti era difficile non vederlo. Era fatto con una matita rossa; la prima gamba della N correva larga diagonalmente attraverso la facciata, la seconda era più breve ma soltanto perché dopo essersene staccata rimaneva parallela alla prima e lo spazio più non bastava; il B si spingeva più piccolo sin fuori della facciata e gli mancava una gobba.
— L’ho visto — gridò Miceni stizzitosi perché la predica gli era fatta dinanzi ad Alfonso e a White, — avevo però già domandato le istruzioni per le altre lettere, e quando mi capitò questa trovai troppo faticoso di correre fino da lei per chiederle delle spiegazioni che supponevo avessero ad essere, come al solito, superflue.
La sua voce aveva dei suoni acuti; una volta scoppiata, l’ira lungamente covata gli faceva dire tutto quanto pensava.
— Ah! così! — urlò Sanneo dopo un istante di sorpresa a tanta petulanza, e stracciò la lettera, — crede che io faccia i notabene per mio piacere? Rifaccia subito questa lettera!
Con voce tremante, interrotta dalla commozione, gli diede le istruzioni.
— Ma poiché non posso più fidarmi di lei, — aggiunse di nuovo gridando, — mi darà sempre, con la sua lettera, la lettera arrivata e si rammenti che se ne fa ancora di queste, mi rivolgerò al signor Maller per farle dire per suo mezzo le mie ragioni.
Miceni s’era già messo a scrivere, ma qui alzò le spalle con movimento quasi impercettibile ma completato da un sorriso ad aperta provocazione.
Asserivasi di Sanneo che gridava finché non trovava opposizioni e certo era che non amava le questioni e che per quanto stava in lui le evitava. Finse di non aver visto il gesto di Miceni e se ne andò.
Miceni era rosso in modo che sotto ai baffetti neri brillava la pelle colorata; si sentiva stridere più fortemente del solito la sua penna sulla carta. Terminata la lettera, gettò con violenza la penna sul tavolo e gridò:
— Vuole che faccia anch’io come ha fatto White!
Dopo di aver consegnata la lettera a Sanneo spiegò ad Alfonso che anche a lui era possibile di emanciparsi da Sanneo, perché a costui bastava la corrispondenza con Vienna e l’Italia, e poteva lasciare a lui esclusivamente la corrispondenza con la Germania!
— Il signor Maller sa quanto io valga! […]
Ma Miceni non volle udire ragione. Nell’impazienza di fare la sua brava ribellione, non fu capace di attendere l’occasione propizia, pur sapendo che non poteva tardare di molto a presentarsi, perché Sanneo aveva periodicamente delle giornate di forte irritabilità nelle quali facilmente si lasciava andare a parole che anche in direzione sarebbero stati costretti a biasimare. Fu sua la colpa se Sanneo con tanta facilità ottenne la vittoria.
Una domenica, un impiegato della stessa corrispondenza gli diede l’incarico, in iscritto come al solito, di scrivere subito a un cliente per invitarlo con energia di rimettere la copertura per differenze risultate in affari di borsa. Quantunque sapesse che l’ordine era stato dato da Sanneo, avendo il desiderio di andarsene, Miceni non lo eseguì e dichiarò che domenica non lavorava. L’impiegato riferì la risposta a Sanneo il quale andò su tutte le furie. Corse da Miceni e senza chiedere spiegazioni, con la schiuma alla bocca, gridò:
— Scriva immediatamente questa lettera! — e gettò l’avviso sul tavolo.
— Oggi è domenica, — rispose Miceni livido e tremante; il suo coraggio era voluto e la sua natura era da vile. — Di domenica io non lavoro.
Era stato Sanneo che aveva imposto alla corrispondenza di lavorare anche alla domenica mattina, ma cose di premura si eran fatte anche prima che egli divenisse capo; certi lavori non ammettevano dilazioni.
— Ah! così! — chiese Sanneo con voce pacata. Da un momento all’altro era ridivenuto calmo e se ne andò col suo passo rapido quasi non avesse voluto lasciar tempo a Miceni di modificare la sua risposta. […]
Alle nove della mattina del lunedì, Miceni venne chiamato dal signor Maller. In parte White, in parte Miceni stesso riferirono ad Alfonso la scena che ebbe luogo in direzione.
Miceni era entrato con un saluto fragoroso e un inchino diretto anche a Cellani ch’era presente. White che stava per uscire si fermò ad ascoltare.
— Il signor Sanneo si lagnò di lei, signor Miceni, — disse Maller molto serio; — perché si è rifiutato ieri di scrivere quella letterina?
— Ritenevo fossero cose che si potessero fare anche al lunedì, — rispose Miceni; all’ultimo momento s’era deciso di dare una forma dubitativa alla sua risposta.
— Ma se il signor Sanneo ordina che si devono fare alla domenica, — e Maller alzò la voce — son cose che si devono fare alla domenica.
La parziale ripetizione della frase di Miceni rendeva più dura la sua risposta.
— Ad ogni modo — obbiettò Miceni con un tono che chiedeva alla bontà del suo avversario di accettare per buono il suo argomento — è mal fatto da parte del signor Sanneo di obbligarmi a lavorare in giorno festivo.
— Avevo dato ordine io di fare e di spedire ieri stesso quella lettera, — rispose severamente il signor Maller.
Miceni ebbe dei suoni inarticolati; non c’era più nulla da rispondere.
[…]
White spiegò poscia ad Alfonso la gravità del caso toccato a Miceni. Veniva relegato alla contabilità e ad un posto inferiore perché la pratica del corrispondente non bastava a fare il buon contabile.
La parziale ripetizione della frase di Miceni rendeva più dura la sua risposta.
— Ad ogni modo — obbiettò Miceni con un tono che chiedeva alla bontà del suo avversario di accettare per buono il suo argomento — è mal fatto da parte del signor Sanneo di obbligarmi a lavorare in giorno festivo.
— Avevo dato ordine io di fare e di spedire ieri stesso quella lettera, — rispose severamente il signor Maller.
Miceni ebbe dei suoni inarticolati; non c’era più nulla da rispondere.
[…] White spiegò poscia ad Alfonso la gravità del caso toccato a Miceni. Veniva relegato alla contabilità e ad un posto inferiore perché la pratica del corrispondente non bastava a fare il buon contabile.
— Poi la noia per chi è abituato ad un lavoro più variato! Lì non avrà da fare tutto il giorno che cifre, cifre e cifre.