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28 Dicembre 2019Riassunto, Analisi e Testo del Brano dall’Iliade “Odisseo e Tersite”
Il brano che narra l’episodio di Odisseo e Tersite è tratto dal Libro II dell’Iliade di Omero. Questo passaggio è di fondamentale importanza non solo per la caratterizzazione dei personaggi, ma anche per la sua profonda riflessione sull’ordine sociale, l’autorità e il ruolo dell’individuo all’interno della collettività in un contesto militare.
Riassunto del Brano
Il passo si apre con una descrizione vivida e impietosa di Tersite, presentato come “l’uomo più brutto venuto all’assedio di Troia”: sbilenco, zoppo, con le spalle curve, la testa aguzza e una rada peluria. Questa bruttezza fisica è specchio della sua indole: egli è inviso ad Achille e Ulisse, che insulta costantemente.
In questa occasione, Tersite si scaglia con “acute grida” contro Agamennone, il capo supremo degli Achei. Lo accusa di avidità, di essere insaziabile nonostante le sue tende siano piene di bronzo e di donne, frutto dei bottini di guerra. Tersite rimprovera Agamennone di spingere gli Achei in mali profondi per il suo egoismo e lo esorta a lasciare che gli Achei tornino a casa, abbandonando il capo a digerire i suoi doni. Lo accusa inoltre di aver disonorato Achille, un guerriero di gran lunga superiore a lui, sottraendogli il suo dono (Briseide), e conclude affermando che se Achille avesse avuto “fegato”, quello sarebbe stato l’ultimo giorno di Agamennone.
Mentre Tersite continua a inveire, Ulisse (Odisseo) si avvicina con uno sguardo bieco e lo rimprovera duramente. Lo definisce l’uomo più “tristo” tra tutti gli Achei e gli ordina di tacere, di non “sciacquarsi la bocca” parlando dei principi e di non incitare l’esercito a tornare a casa, poiché nessuno sa quale sarà l’esito della guerra. Ulisse minaccia Tersite con veemenza: se lo sorprenderà ancora a fare lo “stolto”, gli strapperà le vesti e lo rimanderà alle navi “segnato di sconce percosse”.
Detto questo, Ulisse colpisce Tersite con il suo scettro sulle spalle e sulla schiena. Tersite si curva per il dolore, gli sgorgano lacrime e sul dorso gli appare un livido. Siede sgomento, nicchiando, con l’occhio smarrito, tergendosi il pianto.
La reazione degli Achei è significativa: sebbene fossero già “crucciati” con Tersite, ora “risero di cuore” e si congratularono tra loro, affermando che questa era la “gesta più insigne” compiuta da Ulisse, poiché aveva messo a posto il “maledico senza vergogna”. Sottolineano che Tersite non oserà più inveire contro i re.
Il brano si conclude con Ulisse che, impugnando lo scettro, è affiancato da Atena (sotto forma di araldo) che impone il silenzio alle schiere, affinché possano ascoltare il suo saggio consiglio.
Analisi del Brano
Questo episodio, pur breve, è un microcosmo di temi e dinamiche fondamentali dell’Iliade e della cultura greca antica.
- Tersite: L’Antieroe e la Voce del Dissenso (Sbagliato): Tersite è l’incarnazione dell’antitesi dell’eroe omerico. La sua bruttezza fisica è un correlativo oggettivo della sua bruttezza morale: è invidioso, maligno, irriverente e vile. Rappresenta la voce del dissenso popolare, la protesta della massa stanca della guerra e delle ingiustizie dei capi. Le sue accuse ad Agamennone, pur contenendo un fondo di verità (l’avidità del capo, la sofferenza dell’esercito), sono espresse in modo volgare e distruttivo, senza alcuna proposta costruttiva. Tersite è il simbolo di una ribellione inaccettabile perché priva di dignità e di una visione alternativa. La sua figura serve a legittimare l’ordine gerarchico esistente, mostrando cosa accade a chi lo sfida senza autorità o virtù.
- Odisseo: L’Ordine, la Ragione e l’Autorità: Ulisse si contrappone nettamente a Tersite. Egli è l’eroe della ragione, della saggezza e dell’ordine. La sua reazione non è impulsiva come quella di Achille, ma calcolata: agisce per ristabilire la disciplina e l’autorità nel campo acheo, che era sul punto di crollare a causa delle parole di Tersite. Il suo intervento è legittimato non solo dalla sua posizione di capo, ma anche dalla sua riconosciuta saggezza (“Ulisse divino”). Il colpo di scettro non è solo una punizione fisica, ma un atto simbolico che riafferma il potere e la gerarchia. Lo scettro, simbolo di autorità regale e militare, viene usato per colpire chi quella stessa autorità ha osato sfidare.
- Il Contrasto e la Necessità della Gerarchia: Il confronto tra Tersite e Ulisse è un chiaro messaggio sull’importanza della gerarchia e della disciplina in un contesto militare e sociale. In un esercito, la coesione è fondamentale, e la critica distruttiva e la ribellione non possono essere tollerate, soprattutto se provengono da un individuo privo di virtù e prestigio. Omero, attraverso questo episodio, legittima il potere dei capi e la necessità di un ordine stabilito per il bene comune (la vittoria della guerra).
- La Reazione degli Achei e la Conferma dell’Autorità: La reazione dell’esercito è cruciale. Inizialmente “crucciati” con Tersite, gli Achei ridono e si rallegrano per la sua punizione. Questo dimostra che, nonostante il loro malcontento verso Agamennone, la figura di Tersite era ancora più invisa e la sua ribellione percepita come un’ulteriore minaccia all’ordine. Il loro applauso a Ulisse rafforza la sua autorità e la validità del suo intervento, mostrando che l’esercito preferisce la stabilità e la disciplina, anche se imposte con la forza.
- Il Ruolo del Divino (Atena): L’intervento di Atena, la dea della saggezza e della guerra, che assume la forma di un araldo per imporre il silenzio e permettere a Ulisse di parlare, sottolinea che l’azione di Ulisse non è solo umana, ma ha un’approvazione divina. La sua saggezza e la sua capacità di ristabilire l’ordine sono benedette dagli dei, confermando la giustezza della sua posizione.
- Stile e Linguaggio Omerico: Il brano è ricco di elementi stilistici tipici di Omero:
- Epiteti formulari: “Ulisse divino”, “Atride”, “Atena occhi glauca”.
- Descrizioni fisiche dettagliate: La descrizione di Tersite è un esempio di come Omero utilizzi il fisico per riflettere l’interiorità.
- Discorso diretto: I dialoghi tra i personaggi rendono la scena vivida e drammatica.
- Ripetizioni: La ripetizione delle accuse di Tersite o delle minacce di Ulisse rafforza l’impatto emotivo.
In conclusione, l’episodio di Odisseo e Tersite è molto più di una semplice scaramuccia. È una lezione sull’ordine sociale, sulla necessità dell’autorità e sulla condanna del dissenso distruttivo. Omero, attraverso il contrasto tra il vile e deforme Tersite e il saggio e autorevole Ulisse, ribadisce i valori di disciplina, gerarchia e coesione, essenziali per la sopravvivenza e il successo di una comunità in guerra.
Testo del brano Omero – Iliade (Antichità) Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1923) Canto II — vv. 211-277
Era l’uomo più brutto venuto all’assedio di Troia: 211
era sbilenco, storto d’un piede, le spalle curvate
indentro, verso il petto: di sopra a le spalle, la testa
sorgeva aguzza, e sopra spuntava una rada peluria.
Inviso era costui su tutti ad Achille e ad Ulisse, 215
ch’egli insultava sempre. Ma contro Agamennone allora
ei con acute grida l’ingiuria avventava; e gli Achivi
erano contro lui già pieni di cruccio e di sdegno.
Esso, con alti strilli, copriva d’ingiurie l’Atride:
«Atride, e di che altro ti lagni? Che altro ti manca? 220
Son le tue tende piene di bronzo, son piene di donne,
tante, le più vezzose, che a te date abbiamo per primo
noialtri Achivi, quando cadea qualche rocca nemica.
Forse hai bisogno ancora dell’oro che alcun dei Troiani
ti porti dalla rocca di Troia, a riscatto del figlio 225
che io t’avrò condotto legato, o qual sia degli Achivi?
O d’una giovinetta, che tu te la goda in amore,
che te la tenga in disparte per te? Non dovrebbe un sovrano
spingere in tanto abisso di mali i figliuoli d’Acaia!
Bordaglia, gente frolla, Achivi non più, bensì Achive, 230
sopra le navi a casa torniamo, e lasciamo costui
che digerisca in Troia i doni ch’egli ebbe; e che veda
se noi di qualche aiuto gli siamo, oppur no. Ché pur ora
Achille egli privò d’onore, che tanto migliore
era di lui, per forza gli tolse il suo dono, e lo tenne. 235
Ma pure Achille, no, non ha fegato, è un cuore infingardo;
se no, questo era, figlio d’Atrèo, per te l’ultimo giorno».
Queste parole Tersite diceva, a insultare l’Atride.
Ma presto a lui vicino Ulisse divino si fece,
e bieco lo guardò, lo investì con amare parole: 240
«Tersite, ch’hai pur voce squillante, ma sciocca parola,
chétati, e non volere, tu solo, rissare coi prenci.
Io dico che di te non c’è verun uomo più tristo
fra quanti son venuti sotto Ilio, col figlio d’Atrèo.
Perciò non ti sciacquare la bocca, parlando dei prenci, 245
non li coprire d’ingiurie, cercando che a casa si torni.
Noi non sappiamo bene che fine avrà questa ventura,
se bene oppure è male che tornino i figli d’Acaia.
Ma questo ora ti dico, che certo compiuto vedrai:
se ancor ti troverò, che tu faccia, come ora, lo stolto, 250
più rimanere non debba sul tronco ad Ulisse la testa,
niuno mi debba più chiamar di Telemaco padre,
se io non ti ghermisco, ti strappo di dosso le vesti,
la tunica e il mantello, con cui le vergogne nascondi,
e ti rimando così, piangente, alle rapide navi, 255
lungi dall’assemblea, segnato di sconce percosse».
Detto così, gli vibrò sulle spalle e la schiena lo scettro.
E quegli si curvò, gli sgorgarono lagrime fitte,
e un livido sanguigno gli apparve sul dorso, pel colpo
dell’aureo scettro; e giù sedette sgomento, nicchiando, 260
volgendo attorno l’occhio smarrito, tergendosi il pianto.
Ma risero di cuore, sebbene crucciati, gli Achivi:
e si guardavano, e andavano l’uno con l’altro dicendo:
«Càspita, mille gesta mirabili Ulisse ha compiute,
vuoi nei consigli, vuoi guidando le schiere a battaglia; 265
ma questo è certo il fatto più insigne ch’egli abbia compiuto,
ché mise a posto questo maledico senza vergogna.
Più non lo spingerà davvero il cuor suo temerario
ad inveir contro i re, con tante parole d’obbrobrio».
Così dicea la folla. E Ulisse, di rocche eversore, 270
stette impugnando lo scettro. E Atena occhi glauca, a lui presso,
forma d’araldo assunta, silenzio imponeva alle turbe,
perché le prime file e l’ultime insiem degli Achivi
le sue parole udite, ponessero mente al consiglio.
Ed ei, pensando al bene, parlò, disse queste parole: 275
«Atríde, ora davvero, signore, ti voglion gli Achivi
rendere il piú biasimato fra quanti sono uomini al mondo, 277