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28 Dicembre 2019📚 Analisi della Novella Quinta della Giornata Quarta del Decameron di Giovanni Boccaccio
La novella racconta una storia di amore tragico e vendetta, esplorando temi come la passione, la gelosia, la crudeltà familiare e il dolore. Protagonista è Lisabetta (o Isabetta), una giovane donna di Messina i cui fratelli uccidono il suo amante Lorenzo per preservare l’onore familiare. La narrazione si concentra sulle conseguenze emotive e fisiche dell’atto violento, culminando nella morte di Lisabetta per dolore.
Riassunto della Novella
Lisabetta, figlia di mercanti fiorentini trasferitisi a Messina, vive con i suoi tre fratelli. I fratelli impiegano un giovane pisano, Lorenzo, che gestisce gli affari della famiglia. Tra Lisabetta e Lorenzo nasce un amore segreto, ma i fratelli scoprono la relazione. Per proteggere l’onore familiare, decidono di uccidere Lorenzo e nascondere il corpo in un luogo remoto.
Dopo la scomparsa di Lorenzo, Lisabetta, inconsapevole della sua morte, lo cerca disperatamente. Una notte, Lorenzo le appare in sogno, rivelando il luogo in cui è stato sepolto. Lisabetta, credendo alla visione, si reca sul posto e dissotterra la testa del suo amante, che porta a casa avvolta in un panno. Nasconde la testa in un vaso di basilico, che cura con amore estremo, innaffiandolo con lacrime e acqua profumata. Il basilico diventa rigoglioso e profumato, simbolo del suo amore e del suo dolore.
I fratelli, accorgendosi del comportamento ossessivo di Lisabetta, rubano il vaso. Privata del suo unico conforto, Lisabetta cade in una profonda disperazione e muore poco dopo. La storia si conclude con la diffusione di una canzone popolare che ricorda la tragedia.
Temi Principali
- Amore e Passione
- L’amore tra Lisabetta e Lorenzo è intenso e genuino, ma condannato dalle convenzioni sociali. La loro relazione rappresenta la forza dell’amore umano, ma anche la sua fragilità di fronte alle pressioni esterne.
- Onore Familiare e CrudeltÃ
- I fratelli agiscono spinti dal desiderio di proteggere l’onore familiare, un valore centrale nel contesto medievale. Tuttavia, la loro decisione di uccidere Lorenzo rivela una crudeltà e una mancanza di empatia verso i sentimenti della sorella.
- Morte e Dolore
- La morte di Lorenzo segna l’inizio di una spirale di sofferenza per Lisabetta. Il suo dolore è tanto intenso da consumarla fisicamente ed emotivamente, fino a portarla alla morte. Il tema del lutto è centrale nella novella.
- Simbolismo del Basilico
- Il basilico, piantato sopra la testa di Lorenzo, diventa un simbolo dell’amore eterno e del dolore di Lisabetta. La sua crescita rigogliosa riflette l’intensità delle emozioni della protagonista, mentre il profumo rappresenta la memoria del suo amante.
- Visioni e Sogni
- Il sogno di Lisabetta, in cui Lorenzo le rivela il luogo della sua sepoltura, è un elemento narrativo che aggiunge un tono surreale e mistico alla storia. I sogni sono spesso usati nel Decameron come mezzi di comunicazione tra il mondo terreno e quello ultraterreno.
Personaggi Principali
- Lisabetta/Isabetta
- Protagonista della novella, rappresenta l’amore puro e la devozione assoluta. La sua fragilità emotiva e la sua incapacità di superare la perdita di Lorenzo evidenziano la profondità del suo sentimento.
- Lorenzo
- Giovane pisano bello e leggiadro, amante di Lisabetta. La sua morte ingiusta e brutale è il fulcro della tragedia.
- I Fratelli
- Rappresentano la durezza delle convenzioni sociali e la violenza maschile. La loro azione è motivata dall’onore, ma rivela anche una totale mancanza di compassione.
Simbolismo
- Il Testo di Basilico
- Simboleggia l’amore eterno di Lisabetta per Lorenzo. Il basilico, pianta associata all’amore e al lutto, diventa un monumento vivente alla memoria del suo amante.
- Le Lacrime
- Le lacrime di Lisabetta sono un simbolo del suo dolore infinito. Innaffiare il basilico con le sue lacrime sottolinea il legame tra il suo cuore infranto e la pianta che cresce grazie al suo sacrificio.
- La Testa di Lorenzo
- La testa rappresenta il persistere della memoria e dell’amore anche dopo la morte. È un oggetto sacro per Lisabetta, che lo custodisce come un tesoro.
Stile e Tono
Boccaccio adotta uno stile elegante e descrittivo, alternando momenti di pathos a dettagli realistici. La narrazione è intrisa di compassione per Lisabetta, mentre i fratelli sono dipinti come figure oppressive e crudeli. Il tono è malinconico, ma anche poetico, soprattutto nelle scene in cui Lisabetta interagisce con il basilico.
Messaggio Finale
La novella di Lisabetta e Lorenzo è una storia di amore e dolore che riflette le tensioni tra passione individuale e norme sociali. Attraverso la figura di Lisabetta, Boccaccio esplora il tema del sacrificio personale e della devozione assoluta, mostrando come l’amore possa essere sia una fonte di gioia che di distruzione. La conclusione tragica della storia sottolinea la fragilità della vita e l’ineluttabilità del destino.
Conclusione
Riassumendo: La novella di Lisabetta e Lorenzo è una storia struggente che combina elementi di amore, morte e simbolismo. Attraverso il testo di basilico e le lacrime di Lisabetta, Boccaccio celebra la forza dell’amore umano, pur rivelando le conseguenze devastanti della crudeltà e dell’onore familiare. La narrazione ci invita a riflettere sulla natura dell’amore, sul peso delle convenzioni sociali e sulla capacità del dolore di trasformare la vita in tragedia.
📖 Testo della novella “Lisabetta da Messina”
Giovanni Boccaccio – Decameron – Giornata quarta – Novella quinta
📘[V]
I fratelli dell’Isabetta uccidon l’amante di lei; egli l’apparisce in sogno e mostrale dove sia sotterrato; ella occultamente dissotterra la testa e mettela in un testo di basilico, e quivi sú piagnendo ognidà per una grande ora, i fratelli gliele tolgono, ed ella se ne muore di dolor poco appresso.
Finita la novella d’Elissa ed alquanto dal re commendata, a Filomena fu imposto che ragionasse; la quale, tutta piena di compassione del misero Gerbino e della sua donna, dopo un pietoso sospiro incominciò:
La mia novella, graziose donne, non sará di genti di sà alta condizione come costor furono de’ quali Elissa ha raccontato, ma ella per avventura non sará men pietosa: ed a ricordarmi di quella mi tira Messina poco innanzi ricordata, dove l’accidente avvenne.
Erano adunque in Messina tre giovani fratelli e mercatanti, ed assai ricchi uomini rimasi dopo la morte del padre loro, il quale fu da San Gimignano, ed avevano una loro sorella chiamata Lisabetta, giovane assai bella e costumata, la quale, che che se ne fosse cagione, ancora maritata non aveano.
Ed avevano oltre a ciò questi tre fratelli in un lor fondaco un giovanetto pisano chiamato Lorenzo, che tutti i lor fatti guidava e faceva, il quale, essendo assai bello della persona e leggiadro molto, avendolo piú volte l’Isabetta guatato, avvenne che egli le ’ncominciò stranamente a piacere; di che Lorenzo accortosi ed una volta ed altra, similmente, lasciati suoi altri innamoramentii di fuori, incominciò a porre l’animo a lei: e si andò la bisogna, che, piacendo l’uno all’altro igualmente, non passò gran tempo che, assicuratisi, fecero di quello che piú disiderava ciascuno.
Ed in questo continuando ed avendo insieme assai di buon tempo e di piacere, non seppero sà segretamente fare, che una notte, andando l’Isabetta lá dove Lorenzo dormiva, che il maggior de’ fratelli, senza accorgersene ella, non se n’accorgesse; il quale, per ciò che savio giovane era, quantunque molto noioso gli fosse a ciò sapere, pur mosso da piú onesto consiglio, senza far motto o dir cosa alcuna, varie cose tra sé rivolgendo intorno a questo fatto, infino alla mattina seguente trapassò.
Poi, venuto il giorno, a’ suoi fratelli ciò che veduto aveva la passata notte dell’Isabetta e di Lorenzo raccontò, e con loro insieme, dopo lungo consiglio, diliberò di questa cosa, acciò che né a loro né alla sirocchia alcuna infamia ne seguisse, di passarsene tacitamente e d’infignersi del tutto d’averne alcuna cosa veduta o saputa infino a tanto che tempo venisse nel quale essi, senza danno o sconcio di loro, questa vergogna, avanti che piú andasse innanzi, si potessero tôrre dal viso.
Ed in tal disposizion dimorando, cosà cianciando e ridendo con Lorenzo come usati erano, avvenne che, sembianti faccendo d’andare fuori della cittá a diletto tutti e tre, seco menaron Lorenzo, e pervenuti in un luogo molto solitario e rimoto, veggendosi il destro, Lorenzo, che di ciò niuna guardia prendeva, uccisono e sotterrarono in guisa che niuna persona se n’accorse: ed in Messina tornatisi, dieder voce d’averlo per loro bisogne mandato in alcun luogo, il che leggermente creduto fu, per ciò che spesse volte eran di mandarlo da torno usati.
Non tornando Lorenzo, e Lisabetta molto spesso e sollecitamente i fratei domandandone, sà come colei a cui la dimora lunga gravava, avvenne un giorno che, domandandone ella molto istantemente, che l’un de’ fratelli disse: — Che vuol dir questo? Che hai tu a far di Lorenzo, che tu ne domandi cosà spesso? Se tu ne domanderai piú, noi ti faremo quella risposta che ti si conviene. — Per che la giovane dolente e trista, temendo e non sappiendo che, senza piú domandarne si stava, ed assai volte la notte pietosamente il chiamava e pregava che ne venisse, ed alcuna volta con molte lagrime della sua lunga dimora si doleva e senza punto rallegrarsi, sempre aspettando, si stava.
Avvenne una notte che, avendo costei molto pianto Lorenzo che non tornava ed essendosi alla fine piagnendo addormentata, Lorenzo l’apparve nel sonno, pallido e tutto rabbuffato e co’ panni tutti stracciati e fracidi, e parvele che egli dicesse: — O Lisabetta, tu non mi fai altro che chiamare e della mia lunga dimora t’attristi e me con le tue lagrime fieramente accusi: e per ciò sappi che io non posso piú ritornarci, per ciò che l’ultimo dà che tu mi vedesti i tuoi fratelli m’uccisono. — E disegnatole il luogo dove sotterrato l’aveano, le disse che piú nol chiamasse né l’aspettasse, e disparve.
La giovane, destatasi e dando fede alla visione, amaramente pianse; poi la mattina levata, non avendo ardire di dire alcuna cosa a’ fratelli, propose di volere andare al mostrato luogo e di vedere se ciò fosse vero che nel sonno l’era paruto. Ed avuta la licenza d’andare alquanto fuor della terra a diporto in compagnia d’una fante che altra volta con loro era stata e tutti i suoi fatti sapeva, quanto piú tosto poté lá se n’andò, e tolte via foglie secche che nel luogo erano, dove men dura le parve la terra, quivi cavò: né ebbe guari cavato, che ella trovò il corpo del suo misero amante in niuna cosa ancora guasto né corrotto; per che manifestamente conobbe essere stata vera la sua visione.
Di che piú che altra femina dolorosa, conoscendo che quivi non era da piagnere, se avesse potuto, volentier tutto il corpo n’avrebbe portato per dargli piú convenevole sepoltura: ma veggendo che ciò esser non poteva, con un coltello il meglio che poté gli spiccò dallo ’mbusto la testa, e quella in uno asciugatoio inviluppata e la terra sopra l’altro corpo gittata, messala in grembo alla fante, senza essere stata da alcun veduta, quindi si dipartà e tornossene a casa sua.
Quivi con questa testa nella sua camera rinchiusasi, sopra essa lungamente ed amaramente pianse, tanto che tutta con le sue lagrime la lavò, mille basci dandole in ogni parte. Poi prese un grande ed un bel testo, di questi ne’ quali si pianta la persa o il basilico, e dentro la vi mise fasciata in un bel drappo, e poi, messavi sú la terra, sú vi piantò parecchi piedi di bellissimo basilico salernetano, e quegli di niuna altra acqua che o rosata o di fior d’aranci o delle sue lagrime non innaffiava giá mai; e per usanza aveva preso di sedersi sempre a questo testo vicina, e quello con tutto il suo disidèro vagheggiare, sà come quello che il suo Lorenzo teneva nascoso: e poi che molto vagheggiato l’avea, sopra esso andatasene, cominciava a piagnere, e per lungo spazio, tanto che tutto il basilico bagnava, piagnea. Il basilico, sà per lo lungo e continuo studio, sà per la grassezza della terra procedente dalla testa corrotta che dentro v’era, divenne bellissimo ed odorifero molto.
E servando la giovane questa maniera del continuo, piú volte da’ suoi vicin fu veduta; li quali, maravigliandosi i fratelli della sua guasta bellezza e di ciò che gli occhi le parevano della testa fuggiti, il disser loro: — Noi ci siamo accorti che ella ogni dà tiene la cotal maniera. — Il che udendo i fratelli ed accorgendosene, avendonela alcuna volta ripresa e non giovando, nascosamente da lei fecero portar via questo testo. Il quale, non ritrovandolo ella, con grandissima istanza molte volte richiese, e non essendole renduto, non cessando il pianto e le lagrime, infermò, né altro che il testo suo nella ’nfermitá domandava. I giovani si maravigliavan forte di questo addomandare, e per ciò vollero vedere che dentro vi fosse: e versata la terra, videro il drappo ed in quello la testa non ancora sà consumata, che essi alla capellatura crespa non conoscessero lei esser quella di Lorenzo.
Di che essi si maravigliaron forte e temettero non questa cosa si risapesse: e sotterrata quella, senza altro dire, cautamente di Messina uscitisi ed ordinato come di quindi si ritraessono, se n’andarono a Napoli. La giovane non ristando di piagnere e pure il suo testo addomandando, piagnendo si morÃ, e cosà il suo disavventurato amore ebbe termine; ma poi a certo tempo, divenuta questa cosa manifesta a molti, fu alcun che compose quella canzone la quale ancora oggi si canta, cioè:
    Qual esso fu lo malo cristiano,
che mi furò la grasta, etc.