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Il primo furto non si scorda mai di Enzo Jannacci

latino
Declinazioni particolari, antecedente pronominale e prolessi del relativo latino
28 Dicembre 2019
eneide
La morte di Palinuro Eneide, V, vv. 816-871
28 Dicembre 2019
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28 Dicembre 2019
eneide
La morte di Palinuro Eneide, V, vv. 816-871
28 Dicembre 2019
Pubblicato da Luigi Gaudio su 28 Dicembre 2019
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  • Luigi Gaudio
Il primo furto non si scorda mai cover

Analisi del Brano “Il primo furto non si scorda mai” di Enzo Jannacci

“Il primo furto non si scorda mai” è un brano iconico di Enzo Jannacci, pubblicato nel 1964. La canzone è un esempio brillante dello stile unico del cantautore milanese, che fonde umorismo surreale, satira sociale e una vena di malinconia, raccontando storie di personaggi ai margini, spesso perdenti o antieroi. In questo brano, Jannacci narra con ironia le disavventure di un giovane “Avanguardista” alle prese con il suo primo, disastroso, tentativo di furto, trasformando un aneddoto personale in una sottile critica e in una riflessione sulla memoria e sul destino.

Analisi Strofa per Strofa

Strofa 1: L’Apprendistato Fallito

Un vecchio ergastolano me l’ha detto
Si comincia quasi sempre dai pollai
Fuggendo con il pollo stretto al petto
Ero appena Avanguardista
Giovane, incensurato
Giovane e incensurato
Ero appena Avanguardista
Io giravo per i pollai
Per addestrarmi sul pollo
Volevo farci un po’ il callo
Io, i pollai, non li ho visti mai
Ma che ro… ma che rogna disastrosa
C’era anche l’oscuramento
La pioggia, la neve e anche il vento
Ed in bianco venni a casa

La canzone si apre con un’introduzione quasi didascalica, un consiglio ricevuto da un “vecchio ergastolano”, che stabilisce il tono ironico e picaresco. Il protagonista è un “Avanguardista”, termine che colloca la vicenda in un contesto storico preciso (il fascismo, con i giovani inquadrati nelle organizzazioni paramilitari, qui usati in chiave grottesca). La sua ingenuità è sottolineata dalla ripetizione “Giovane, incensurato”. Il suo intento è “addestrarsi sul pollo”, “farci un po’ il callo”, un’espressione colloquiale che rende comica la serietà del suo proposito criminale. La prima parte della strofa descrive i tentativi falliti di trovare un pollaio, ostacolati da condizioni avverse (“oscuramento”, “pioggia, neve e vento”), che culminano con un ritorno a casa “in bianco”, a mani vuote. La frase “Ma che ro… ma che rogna disastrosa” è un’esclamazione tipica di Jannacci, che esprime frustrazione con un tocco di comicità.

 

Ritornello: L’Indelebilità della Prima Esperienza

Ai, aiaiai, ai, aiaiai
Il primo furto non si scorda mai
Ai, aiaiai, ai, aiaiai
Il primo furto non si scorda più

Il ritornello, con la sua melodia orecchiabile e il lamento “Ai, aiaiai”, è il leitmotiv del brano. Ribadisce il concetto centrale: la prima esperienza, specialmente se traumatica o significativa, rimane impressa nella memoria. L’uso del “mai” e del “più” rafforza l’idea di un ricordo indelebile, quasi un marchio.

 

Strofa 2: L’Incontro Fatale con il Tacchino

Ma, in un bel parco, incocciai
In un pollaio grande e un po’ isolato
Scassai la rete e dentro mi cacciai
E vidi un bel tacchino appollaiato
Ero appena Avanguardista
Non conoscevo i tacchini
Chi conosceva i tacchini
Era giovane fascista
Pian piano, la mano allungai
Per abbrancare il pennuto
Una beccata beccai
Che mi trovai svenuto

Finalmente, il protagonista trova il pollaio ideale. La descrizione del “tacchino appollaiato” è un momento di attesa comica. L’ironia politica riemerge con la distinzione tra “Avanguardista” (che non conosce i tacchini) e “giovane fascista” (che li conosce), una sottile allusione alle gerarchie e alle esperienze all’interno del regime. Il tentativo di furto si risolve in un disastro inaspettato: il tacchino lo becca, facendolo svenire. L’antieroe è sconfitto da una vittima inaspettata e apparentemente innocua.

 

Finale: La Rivelazione e la Condanna

Ma che ro-oo… ma che rogna disastrosa
Rinvenni in un ospedale
Però quello di San Vittore
Quel tacchino micidiale
Era un’aquila imperiale
Ma che razza di destino
Io fui spedito al confino
E poi seppi che fui condannato
Per vilipendio dello Stato

La “rogna disastrosa” si rivela in tutta la sua assurdità. Il protagonista si risveglia in un ospedale che è in realtà il carcere di San Vittore. La svolta comica e surreale è la rivelazione che il “tacchino micidiale” non era un semplice pennuto, ma “un’aquila imperiale”, simbolo dello Stato fascista. Questo trasforma il tentato furto di un pollo (o tacchino) in un atto di “vilipendio dello Stato”, con la conseguente condanna al confino. La canzone si conclude con la riaffermazione del ritornello, ma ora il “primo furto” non è solo un ricordo personale, ma l’inizio di una condanna politica e di un destino assurdo.

Analisi Generale e Temi

  1. L’Antieroe e il Fallimento Comico: Il protagonista è un classico antieroe jannacciano: un individuo ingenuo, maldestro, che tenta un’impresa (il furto) per cui non è tagliato e che si risolve in un fallimento clamoroso e inaspettato. La sua sfortuna è così estrema da diventare comica.
  2. Satira Politica e Sociale: La canzone è una sottile satira del periodo fascista. L’inquadramento del protagonista come “Avanguardista” e la trasformazione del tacchino in “aquila imperiale” che porta alla condanna per “vilipendio dello Stato” sono allegorie grottesche del controllo totalitario e della repressione, dove anche un piccolo atto può essere interpretato come un crimine politico.
  3. L’Assurdità della Vita e del Destino: Il brano è permeato da un senso di assurdità e di un destino beffardo. Una semplice azione di furto di un animale si trasforma in una condanna politica a causa di un’identificazione surreale. La vita è presentata come una serie di eventi imprevedibili e spesso ingiusti.
  4. La Memoria Indelebile: Il ritornello sottolinea come certe esperienze, specialmente le prime e le più traumatiche, rimangano impresse nella memoria in modo indelebile.
  5. Stile e Linguaggio:
    • Narrazione Picaresca: La canzone ha una struttura narrativa che ricorda le avventure di un picaro, un personaggio che si muove in un mondo ostile e si adatta con astuzia (o, in questo caso, con maldestria) alle circostanze.
    • Umorismo Tragicomic: Jannacci mescola elementi comici (l’ingenuità del protagonista, la beccata del tacchino) con un esito tragico (il carcere, il confino), creando un effetto tragicomico che è la sua cifra stilistica.
    • Linguaggio Colloquiale e Espressioni Popolari: L’uso di espressioni come “farci un po’ il callo”, “rogna disastrosa”, “abbrancare il pennuto” rende il testo autentico e vicino al parlato popolare.
    • Onomatopea e Suoni: Il lamento “Ai, aiaiai” del ritornello è un elemento sonoro distintivo che contribuisce alla memorabilità del brano.
    • Ironia e Sottintesi: L’ironia è onnipresente, dalla figura dell’ergastolano che dà consigli al contrasto tra l’innocuo tacchino e l’aquila imperiale.

“Il primo furto non si scorda mai” è un capolavoro di Enzo Jannacci che, con la sua leggerezza apparente e la sua profondità nascosta, continua a divertire e a far riflettere sulla complessità della condizione umana e sulle assurdità del potere.

 


Testo del Brano Il primo furto non si scorda mai – di Enzo Jannacci  (1964) 

Un vecchio ergastolano me l’ha detto
Si comincia quasi sempre dai pollai
Fuggendo con il pollo stretto al petto
Ero appena Avanguardista
Giovane, incensurato
Giovane e incensurato
Ero appena Avanguardista
Io giravo per i pollai
Per addestrarmi sul pollo
Volevo farci un po’ il callo
Io, i pollai, non li ho visti mai
Ma che ro… ma che rogna disastrosa
C’era anche l’oscuramento
La pioggia, la neve e anche il vento
Ed in bianco venni a casa
Ai, aiaiai, ai, aiaiai
Il primo furto non si scorda mai
Ai, aiaiai, ai, aiaiai
Il primo furto non si scorda più
Ma, in un bel parco, incocciai
In un pollaio grande e un po’ isolato
Scassai la rete e dentro mi cacciai
E vidi un bel tacchino appollaiato
Ero appena Avanguardista
Non conoscevo i tacchini
Chi conosceva i tacchini
Era giovane fascista
Pian piano, la mano allungai
Per abbrancare il pennuto
Una beccata beccai
Che mi trovai svenuto
Ai, aiaiai, ai, aiaiai
Il primo furto non si scorda mai
Ai, aiaiai, ai, aiaiai
Il primo furto non si scorda più
Ma che ro-oo… ma che rogna disastrosa
Rinvenni in un ospedale
Però quello di San Vittore
Quel tacchino micidiale
Era un’aquila imperiale
Ma che razza di destino
Io fui spedito al confino
E poi seppi che fui condannato
Per vilipendio dello Stato
Perciò, ahi, ahiahiahi, ahi, ahiahiahi
Il primo furto, non lo scordo mai
Ahi, ahi ahi ahi, ahi, ahi, ahi, ahi
Il primo furto non lo scordo più

 


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