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28 Dicembre 2019Analisi e testo dell’operetta morale Coro di morti nello studio di Federico Ruysch di Giacomo Leopardi
Il “Coro di morti nello studio di Federico Ruysch” è una delle Operette Morali di Giacomo Leopardi, composta nel 1824. Questo componimento, unico nella raccolta per la sua struttura che alterna un coro lirico a una scena dialogata in prosa, affronta il tema della morte con una lucidità e una radicalità tipicamente leopardiane. Il protagonista è il celebre anatomista olandese Frederik Ruysch (1638-1731), noto per le sue tecniche di imbalsamazione che rendevano i cadaveri incredibilmente simili a vivi.
1. Il Contesto e la Scena
L’operetta si immagina ambientata nello studio di Ruysch, dove i cadaveri imbalsamati prendono vita e voce, cantando un coro sulla loro condizione. La scena è surreale e grottesca, ma serve a veicolare un messaggio filosofico profondo.
2. Il Coro di Morti: La Morte come Quiete e Nulla
Il coro iniziale è la parte lirica dell’operetta, in cui i morti esprimono la loro esperienza della morte. È un canto di liberazione, ma non di gioia.
Sola nel mondo eterna, a cui si volve Ogni creata cosa, In te, morte, si posa Nostra ignuda natura; Lieta no, ma sicura Dall’antico dolor. Profonda notte Nella confusa mente Il pensier grave oscura; Alla speme, al desio, l’arido spirto Lena mancar si sente: Così d’affanno e di temenza è sciolto, E l’età vote e lente Senza tedio consuma. (vv. 1-13 del Coro)
- Morte come Riposo: La morte è presentata come l’unica entità “eterna” nel mondo, in cui la natura umana trova finalmente riposo. Non è una condizione “lieta”, ma “sicura dall’antico dolor”, cioè dal dolore intrinseco alla vita.
- Annullamento della Coscienza: La morte porta a una “profonda notte” nella mente, oscurando il “pensier grave” e facendo mancare la forza (“lena”) alla speranza e al desiderio. È l’annullamento della coscienza e, con essa, della sofferenza.
- Liberazione dal Tedio: Liberi dall’affanno e dalla paura, i morti consumano le loro “età vote e lente / Senza tedio”. La morte è l’unica vera liberazione dalla noia e dalla vanità della vita.
- Memoria Confusa della Vita: La vita passata è ricordata come una “paurosa larva” o un “sudato sogno”, una “confusa ricordanza” che non genera più paura. La domanda “Che fummo? / Che fu quel punto acerbo / Che di vita ebbe nome?” sottolinea l’incomprensibilità della vita stessa dal punto di vista della morte.
- La Vita come Mistero: Per i morti, la vita è ora “cosa arcana e stupenda”, così come per i vivi è arcana la morte.
- Rifiuto della Vita: Come da vivi si rifuggiva la morte, così da morti si rifugge la “fiamma vitale”. La natura umana, pur non essendo “lieta” nella morte, è “sicura”, perché il destino nega la beatitudine sia ai vivi che ai morti.
3. La Reazione di Ruysch: Paura e Grottesco
Dopo il coro, entra in scena Ruysch, che ha sentito i morti cantare. La sua reazione è un misto di paura, incredulità e comicità grottesca.
Diamine! Chi ha insegnato la musica a questi morti, che cantano di mezza notte come galli? In verità che io sudo freddo, e per poco non sono più morto di loro. Io non mi pensava perché gli ho preservati dalla corruzione, che mi risuscitassero. Tant’è: con tutta la filosofia, tremo da capo a piedi.
Ruysch è terrorizzato, e il suo linguaggio è colloquiale e irriverente (“Vattene col diavolo”, “tremo da capo a piedi”). Minaccia i morti di “ammazzarli tutti” se non tornano in silenzio, un’affermazione paradossale e comica.
4. Il Dialogo: La Morte non è Dolore
Il dialogo tra Ruysch e un Morto (che parla a nome di tutti) chiarisce ulteriormente la concezione leopardiana della morte.
- La Morte non è un Sentimento: Il Morto spiega che non ci si accorge del momento della morte, così come non ci si accorge del momento in cui si comincia a dormire. La morte non è un sentimento, ma “piuttosto il contrario”, cioè la cessazione di ogni sensazione.
Del punto proprio della morte, io non me ne accorsi. Gli altri morti. Né anche noi. Ruysch. Come non ve n’accorgeste? Morto. Verbigrazia, come tu non ti accorgi mai del momento che tu cominci a dormire, per quanta attenzione ci vogli porre.
- Morte come Languidezza e Piacere: Anzi, se la morte genera qualcosa, è più vicino al piacere che al dolore. I sensi, nel momento della morte, sono “moribondi” e incapaci di sentire un dolore forte. Il “languore della morte” può essere “più grato” perché libera da patimenti. È un piacere che deriva dalla cessazione del dolore, in linea con la teoria del piacere leopardiana.
Può bene esser causa di piacere: perché il piacere non sempre è cosa viva; anzi forse la maggior parte dei diletti umani consistono in qualche sorta di languidezza. Di modo che i sensi dell’uomo sono capaci di piacere anche presso all’estinguersi; atteso che spessissime volte la stessa languidezza e piacere; massime quando vi libera da patimento; poiché ben sai che la cessazione di qualunque dolore o disagio, e piacere per se medesima.
- L’Illusione della Speranza: Il Morto rivela che fino all’ultimo istante, i moribondi sperano di scampare al pericolo, dimostrando che la speranza è l’ultima illusione che abbandona l’uomo.
- Silenzio Finale: Il dialogo si interrompe bruscamente perché è scaduto il “quarto d’ora” in cui i morti hanno facoltà di parlare, e tornano nel loro eterno silenzio. Ruysch, rassicurato, può tornare a letto.
5. Temi Principali
- La Morte: Tema centrale, spogliata di ogni connotazione religiosa o metafisica. È vista come un fenomeno naturale, la cessazione della vita e della sofferenza, un ritorno al nulla.
- Il Nulla e la Noia: La morte è l’unica vera liberazione dal “tedio” e dalla vanità dell’esistenza, che per Leopardi è la condizione più reale della vita.
- Il Dolore e il Piacere: La morte elimina il dolore, e il piacere che essa può generare è la “languidezza” che deriva dalla cessazione dei patimenti.
- Illusione e Vero: La vita è un’illusione (“paurosa larva”, “sudato sogno”), mentre la morte è la verità, il nulla. L’uomo si illude fino all’ultimo di scampare alla morte.
- Critica alle Credenze Popolari e Filosofiche: Leopardi critica sia la credenza popolare che la morte sia dolorosissima, sia le dottrine filosofiche (come quelle platoniche o cristiane) che promettono un aldilà di premi o punizioni, considerandole illusioni che rendono la morte più amara.
- La Natura Matrigna: La Natura è indifferente alla sofferenza umana; la morte è il suo strumento per mantenere il ciclo di generazione e distruzione.
6. Stile e Linguaggio
- Alternanza Lirica/Prosa: La struttura unica del coro lirico e del dialogo in prosa permette a Leopardi di esprimere il suo pensiero con diverse modalità: la musicalità e la suggestione del verso per il coro, la lucidità argomentativa e l’ironia della prosa per il dialogo.
- Linguaggio Vago e Indefinito (nel coro): Nel coro, il linguaggio è evocativo, con aggettivi e immagini che richiamano il senso di annullamento e liberazione (“ignuda natura”, “profonda notte”, “confusa mente”, “età vote e lente”).
- Linguaggio Razionale e Ironico (nel dialogo): Nel dialogo, la prosa è chiara, precisa, con un tono che alterna la serietà filosofica del Morto alla comicità grottesca e irriverente di Ruysch. L’ironia è un elemento chiave per smascherare le illusioni.
- Umorismo Nero: La figura di Ruysch e le sue battute (“non mi pensava… che mi risuscitassero”, “vi ammazzo tutti”) introducono un elemento di umorismo nero che sdrammatizza l’orrore della morte.
Conclusione
Il “Coro di morti nello studio di Federico Ruysch” è una delle Operette Morali più audaci e originali di Leopardi. Attraverso la voce dei morti, il poeta espone in modo radicale il suo pessimismo cosmico: la vita è dolore e illusione, mentre la morte è l’unica vera liberazione, un ritorno al nulla che porta quiete e annullamento della sofferenza. L’alternanza tra la sublime liricità del coro e la prosa ironica e grottesca del dialogo tra Ruysch e il Morto crea un effetto potente, che smaschera le illusioni umane e la paura della morte, rivelando una verità amara ma, per Leopardi, liberatoria. L’operetta è un’indagine profonda sulla condizione umana e sulla natura della morte, che continua a interrogare il lettore sulla propria esistenza.
Testo del Coro di morti nello studio di Federico Ruysch di Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi – Operette morali (1827)
Coro dei Morti
Sola nel mondo eterna, a cui si volve
Ogni creata cosa,
In te, morte, si posa
Nostra ignuda natura;
Lieta no, ma sicura
Dall’antico dolor. Profonda notte
Nella confusa mente
Il pensier grave oscura;
Alla speme, al desio, l’arido spirto
Lena mancar si sente:
Così d’affanno e di temenza è sciolto,
E l’età vote e lente
Senza tedio consuma.
Vivemmo: e qual di paurosa larva,
E di sudato sogno,
A lattante fanciullo erra nell’alma
Confusa ricordanza:
Tal memoria n’avanza
Del viver nostro: ma da tema è lunge
Il rimembrar. Che fummo?
Che fu quel punto acerbo
Che di vita ebbe nome?
Cosa arcana e stupenda
Oggi è la vita al pensier nostro, e tale
Qual de’ vivi al pensiero
L’ignota morte appar. Come da morte
Vivendo rifuggia, così rifugge
Dalla fiamma vitale
Nostra ignuda natura;
Lieta no ma sicura,
Però ch’esser beato
Nega ai mortali e nega a’ morti il fato.
Ruysch (fuori dello studio, guardando per gli spiragli dell’uscio)
Diamine! Chi ha insegnato la musica a questi morti, che cantano di mezza notte come galli? In verità che io sudo freddo, e per poco non sono più morto di loro. Io non mi pensava perché gli ho preservati dalla corruzione, che mi risuscitassero. Tant’è: con tutta la filosofia, tremo da capo a piedi. Mal abbia quel diavolo che mi tentò di mettermi questa gente in casa. Non so che mi fare. Se gli lascio qui chiusi, che so che non rompano l’uscio, o non escano pel buco della chiave, e mi vengano a trovare al letto? Chiamare aiuto per paura de’ morti, non mi sta bene. Via, facciamoci coraggio, e proviamo un poco di far paura a loro.
(Entrando) Figliuoli, a che giuoco giochiamo? non vi ricordate di essere morti? che è cotesto baccano? forse vi siete insuperbiti per la visita dello Czar[2], e vi pensate di non essere più soggetti alle leggi di prima? Io m’immagino che abbiate avuto intenzione di far da burla, e non da vero. Se siete risuscitati, me ne rallegro con voi; ma non ho tanto, che io possa far le spese ai vivi, come ai morti; e però levatevi di casa mia. Se è vero quel che si dice dei vampiri, e voi siete di quelli, cercate altro sangue da bere; che io non sono disposto a lasciarmi succhiare il mio, come vi sono stato liberale di quel finto, che vi ho messo nelle vene[3]. In somma, se vorrete continuare a star quieti e in silenzio, come siete stati finora, resteremo in buona concordia, e in casa mia non vi mancherà niente; se no, avvertite ch’io piglio la stanga dell’uscio, e vi ammazzo tutti.
Morto
Non andare in collera; che io ti prometto che resteremo tutti morti come siamo, senza che tu ci ammazzi.
Ruysch
Dunque che è cotesta fantasia che vi è nata adesso, di cantare?
Morto
Poco fa sulla mezza notte appunto, si è compiuto per la prima volta quell’anno grande e matematico, di cui gli antichi scrivono tante cose; e questa similmente è la prima volta che i morti parlano. E non solo noi, ma in ogni cimitero, in ogni sepolcro, giù nel fondo del mare, sotto la neve o la rena, a cielo aperto, e in qualunque luogo si trovano, tutti i morti, sulla mezza notte, hanno cantato come noi quella canzoncina che hai sentita.
Ruysch
E quanto dureranno a cantare o a parlare?
Morto
Di cantare hanno già finito. Di parlare hanno facoltà per un quarto d’ora. Poi tornano in silenzio per insino a tanto che si compie di nuovo lo stesso anno.
Ruysch
Se cotesto è vero, non credo che mi abbiate a rompere il sonno un’altra volta. Parlate pure insieme liberamente; che io me ne starò qui da parte, e vi ascolterò volentieri, per curiosità, senza disturbarvi.
Morto
Non possiamo parlare altrimenti, che rispondendo a qualche persona viva. Chi non ha da replicare ai vivi, finita che ha la canzone, si accheta.
Ruysch
Mi dispiace veramente: perché m’immagino che sarebbe un gran sollazzo a sentire quello che vi direste fra voi, se poteste parlare insieme.
Morto
Quando anche potessimo, non sentiresti nulla; perché non avremmo che ci dire.
Ruysch
Mille domande da farvi mi vengono in mente. Ma perché il tempo è corto, e non lascia luogo a scegliere, datemi ad intendere in ristretto, che sentimenti provaste di corpo e d’animo nel punto della morte.
Morto
Del punto proprio della morte, io non me ne accorsi.
Gli altri morti
Né anche noi.
Ruysch
Come non ve n’accorgeste?
Morto
Verbigrazia, come tu non ti accorgi mai del momento che tu cominci a dormire, per quanta attenzione ci vogli porre.
Ruysch
Ma l’addormentarsi è cosa naturale.
Morto
E il morire non ti pare naturale? mostrami un uomo, o una bestia, o una pianta, che non muoia.
Ruysch
Non mi maraviglio più che andiate cantando e parlando, se non vi accorgeste di morire.
Così colui, del colpo non accorto,
andava combattendo, ed era morto,
dice un poeta italiano. Io mi pensava che sopra questa faccenda della morte, i vostri pari ne sapessero qualche cosa più che i vivi. Ma dunque, tornando sul sodo, non sentiste nessun dolore in punto di morte?
Morto
Che dolore ha da essere quello del quale chi lo prova, non se n’accorge?
Ruysch
A ogni modo, tutti si persuadono che il sentimento della morte sia dolorosissimo.
Morto
Quasi che la morte fosse un sentimento, e non piuttosto il contrario.
Ruysch
E tanto quelli che intorno alla natura dell’anima si accostano col parere degli Epicurei, quanto quelli che tengono la sentenza comune, tutti, o la più parte, concorrono in quello ch’io dico; cioè nel credere che la morte sia per natura propria, e senza nessuna comparazione, un dolore vivissimo.
Morto
Or bene, tu domanderai da nostra parte agli uni e agli altri: se l’uomo non ha facoltà di avvedersi del punto in cui le operazioni vitali, in maggiore o minor parte, gli restano non più che interrotte, o per sonno o per letargo o per sincope o per qualunque causa; come si avvedrà di quello in cui le medesime operazioni cessano del tutto, e non per poco spazio di tempo, ma in perpetuo? Oltre di ciò, come può essere che un sentimento vivo abbia luogo nella morte? anzi, che la stessa morte sia per propria qualità un sentimento vivo? Quando la facoltà di sentire è, non solo debilitata e scarsa, ma ridotta a cosa tanto minima, che ella manca e si annulla, credete voi che la persona sia capace di un sentimento forte? anzi questo medesimo estinguersi della facoltà di sentire, credete che debba essere un sentimento grandissimo? Vedete pure che anche quelli che muoiono di mali acuti e dolorosi, in sull’appressarsi della morte, più o meno tempo avanti dello spirare, si quietano e si riposano in modo, che si può conoscere che la loro vita, ridotta a piccola quantità, non e più sufficiente al dolore, sicché questo cessa prima di quella. Tanto dirai da parte nostra a chiunque si pensa di avere a morir di dolore in punto di morte.
Ruysch
Agli Epicurei forse potranno bastare coteste ragioni. Ma non a quelli che giudicano altrimenti della sostanza dell’anima; come ho fatto io per lo passato, e farò da ora innanzi molto maggiormente, avendo udito parlare e cantare i morti. Perché stimando che il morire consista in una separazione dell’anima dal corpo, non comprenderanno come queste due cose, congiunte e quasi conglutinate tra loro in modo, che constituiscono l’una e l’altra una sola persona, si possano separare senza una grandissima violenza, e un travaglio indicibile.
Morto
Dimmi: lo spirito è forse appiccato al corpo con qualche nervo, o con qualche muscolo o membrana, che di necessità si abbia a rompere quando lo spirito si parte? o forse è un membro del corpo, in modo che n’abbia a essere schiantato o reciso violentemente? Non vedi che l’anima in tanto esce di esso corpo, in quanto solo è impedita di rimanervi, e non v’ha più luogo; non già per nessuna forza che ne la strappi e sradichi? Dimmi ancora: forse nell’entrarvi, ella vi si sente conficcare o allacciare gagliardamente, o come tu dici, conglutinare? Perché dunque sentirà spiccarsi all’uscirne, o vogliamo dire proverà una sensazione veementissima? Abbi per fermo, che l’entrata e l’uscita dell’anima sono parimente quiete, facili e molli.
Ruysch
Dunque che cosa è la morte, se non è dolore?
Morto
Piuttosto piacere che altro. Sappi che il morire, come l’addormentarsi, non si fa in un solo istante, ma per gradi. Vero è che questi gradi sono più o meno, e maggiori o minori, secondo la varietà delle cause e dei generi della morte. Nell’ultimo di tali istanti la morte non reca né dolore né piacere alcuno, come né anche il sonno. Negli altri precedenti non può generare dolore perché il dolore è cosa viva, e i sensi dell’uomo in quel tempo, cioè cominciata che è la morte, sono moribondi, che è quanto dire estremamente attenuati di forze. Può bene esser causa di piacere: perché il piacere non sempre è cosa viva; anzi forse la maggior parte dei diletti umani consistono in qualche sorta di languidezza. Di modo che i sensi dell’uomo sono capaci di piacere anche presso all’estinguersi; atteso che spessissime volte la stessa languidezza e piacere; massime quando vi libera da patimento; poiché ben sai che la cessazione di qualunque dolore o disagio, e piacere per se medesima. Sicché il languore della morte debbe esser più grato secondo che libera l’uomo da maggior patimento. Per me, se bene nell’ora della morte non posi molta attenzione a quel che io sentiva, perché mi era proibito dai medici di affaticare il cervello; mi ricordo però che il senso che provai, non fu molto dissimile dal diletto che è cagionato agli uomini dal languore del sonno, nel tempo che si vengono addormentando.
Gli altri morti
Anche a noi pare di ricordarci altrettanto.
Ruysch
Sia come voi dite: benché tutti quelli coi quali ho avuta occasione di ragionare sopra questa materia, giudicavano molto diversamente: ma, che io mi ricordi, non allegavano la loro esperienza propria. Ora ditemi: nel tempo della morte, mentre sentivate quella dolcezza, vi credeste di morire, e che quel diletto fosse una cortesia della morte; o pure immaginaste qualche altra cosa?
Morto
Finché non fui morto, non mi persuasi mai di non avere a scampare di quel pericolo; e se non altro, fino all’ultimo punto che ebbi facoltà di pensare, sperai che mi avanzasse di vita un’ora o due: come stimo che succeda a molti, quando muoiono.
Gli altri morti
A noi successe il medesimo.
Ruysch
Così Cicerone[4] dice che nessuno è talmente decrepito, che non si prometta di vivere almanco un anno. Ma come vi accorgeste in ultimo, che lo spirito era uscito del corpo? Dite: come conosceste d’essere morti?
(Non rispondono.)
Ruysch
Figliuoli, non m’intendete? Sarà passato il quarto d’ora. Tastiamogli un poco. Sono rimorti ben bene: non è pericolo che mi abbiano da far paura un’altra volta: torniamocene a letto.
Fine del dialogo.