
Ettore appare in sogno ad Enea, II, 268-295
28 Dicembre 2019
Il gerundio e il supino
28 Dicembre 2019Il passo dell’Eneide che va dal verso 486 al 558 del Libro II descrive la brutale morte di Priamo, il vecchio re di Troia, durante il saccheggio della città da parte dei Greci.
Riassunto del brano:
Dopo aver descritto l’ingresso dei Greci nel palazzo reale e il caos che ne consegue (l’assalto, le grida, il sangue), Enea narra la scena nella corte interna del palazzo, dove si trova il grande altare e l’albero di alloro sacro. Qui, Ecuba e le sue figlie, terrorizzate, si sono rifugiate stringendosi all’altare come colombe disperse da una tempesta.
Il vecchio Priamo, nonostante l’età avanzata, vede la caduta della sua reggia e l’ingresso dei nemici. Spinto da un impeto disperato e forse dalla volontà di morire combattendo, indossa la corazza, da tempo inutilizzata, e cinge la spada, preparandosi a gettarsi nella mischia.
Ecuba lo ferma, supplicandolo di non esporsi invano al pericolo e invitandolo invece a rifugiarsi con loro presso l’altare, l’unico luogo sacro che sembra offrire un’ultima, seppur flebile, protezione.
In quel momento irrompe Neottolemo (chiamato anche Pirro), il figlio di Achille, che insegue Polìte, uno dei figli di Priamo, ferito e braccato attraverso i porticati del palazzo. Polìte cade e muore davanti agli occhi dei genitori, dissanguato ai loro piedi.
Alla vista di questa atroce scena, Priamo, pur prossimo alla morte, non si trattiene. Scaglia una debole lancia contro Neottolemo e pronuncia parole di sdegno, accusando il giovane della sua efferata crudeltà, ben diversa dalla pietas mostrata da suo padre Achille anche verso un nemico come lui (quando gli concesse di riscattare il corpo di Ettore). Priamo invoca la giustizia divina contro Neottolemo per aver osato uccidere un figlio sotto gli occhi del padre e aver profanato la sua vista con la morte.
Neottolemo risponde con sprezzante arroganza, invitando Priamo a portare la notizia della sua brutalità al padre Achille negli Inferi. Detto ciò, trascina il tremante vecchio fino all’altare, che avrebbe dovuto essere un rifugio, e lo trafigge con la spada.
Il passo si conclude con la descrizione della morte di Priamo: il suo corpo giace decapitato sulla riva e senza nome (senza sepoltura onorevole), un tempo potente sovrano di genti e terre d’Asia. La sua fine è presentata come un esempio della caducità del potere e della gloria terrena.
In sintesi, il brano descrive il tragico e indegno epilogo della vita di Priamo, ucciso brutalmente da Neottolemo in un luogo sacro, dopo aver assistito all’omicidio del figlio, sottolineando la violenza e la mancanza di rispetto del giovane greco.