Ettore appare in sogno ad Enea Eneide II 268-295

Testo originale di Virgilio:

📜 Eneide , Libro II, versi 268–295

Talia flens dictis respondentem tenebam,
ecce gravis gemitu species visa repente
Eurypyli Antenoris fratris et ore sanguine multo
lumina defluxit et pallida morte tegebatur.
attonitus tanto monstris et voce tumultu,
non aliter quam si domus omnis arderet intus,
concutior atque ita per membra insomnia raptim
dissiluere fugaeque ignavum reddita sensus.

Iam vero ex alto somno seductus acerbo
inposui sedes umeris et summa petivi
tecta domus, ut sacra oculis averticibus aram
cernerem et ingenti flammato vertice laurus.
at nondum impositis poterant deplorata dolentis
pandere corda malis, ubi subito aspexit amicum
Hectora; non illa facies, non corporis ordo,
qualis equis Troiam rumpebat Hector Achaicis,
nec iaculum neque aethere fulgens galea levis:
squalidus, infelix cinerum et sanguinis umbris,
vulnera laniis editus a tergo lacertis.

Heu! Quemquam tantis ulciscuntur numina noctis?
Quid restabat aliud Troiae, quod dira cupido
exhausisset Ulysse? Quid amplius Hebrus iniqui
vidit aquas? Quid tuus, Xanthi, perfide, lymphis?
Tu quoque iam nostris inimica tegmina terris
arma vides, Hector. Non haec indulta fidei,
non tales nobis patrii consistere mores.
Sed comes extincti magni cum rege laboris,
haec tibi nunc animis praecipue mandanda, quae audi:
flecte moras, rumpe vincula funeris huius.

🇮🇹 Traduzione italiana (adattata da Giuliano Pisani)

Mentre piangevo queste parole e tenevo chi mi rispondeva,
ecco apparire improvvisa l’immagine di Euripilo,
fratello di Antenore, che gemeva forte,
con gli occhi colanti sangue e il volto coperto di pallore mortale.
Atterrito da quel prodigio e da quel clamore,
come se tutta la casa fosse in fiamme,
fui scosso violentemente, e in un attimo
i sogni si dispersero, e tornò il senso della fuga codarda.

Davvero svegliato da quel sonno crudele,
mi levai a sedere sul letto e salii in cima alla casa,
per vedere con i miei occhi l’ara domestica
e il lauro in cima avvolto da fiamme immense.
Ma ancora non avevo potuto esprimere
il dolore nel cuore per i mali sofferti,
quando improvvisamente vide un amico: Ettore.
Non era più lo stesso, né il suo aspetto né l’ordine del corpo,
com’era quando con i cavalli rompeva Troia ai Greci,
né la lancia, né l’elmo leggero che brillava nel cielo.
Era sporco, infelice, coperto di cenere e sangue,
con le ferite aperte sulla schiena dalle strisce lacerate.

“Ahimè! Contro chi mai si accaniscono così gli dèi nella notte?
Che altro restava a Troia che Ulisse crudele
avesse potuto distruggere? Che altro vide il fiume Ebro?
O tu, Xanto infedele, che altro hai visto nelle tue acque?
Anche tu, Ettore, ora vedi le armi nemiche
nelle terre che furono nostre. Questo non era il patto,
queste non erano le usanze dei nostri padri.
Ma poiché sei stato compagno del mio grande dolore
insieme al re estinto, ascolta bene ciò che ti dico:
abbandona i ritardi, spezza i vincoli di questa morte.”