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28 Dicembre 2019
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28 Dicembre 2019Analisi del brano di Giovannino Guareschi: “Paesaggio e figura”
Il brano tratto da Gente così di Giovannino Guareschi racconta una storia che intreccia arte, fede, identità sociale e trasformazione personale. Attraverso l’incontro tra un giovane pittore, don Camillo e la controversa figura della Celestina, Guareschi costruisce una narrazione ricca di ironia, umanità e riflessioni profonde sul significato dell’arte e della spiritualità.
Riassunto del brano
Un giovane pittore arriva in un paese della Bassa per dipingere il paesaggio e ritrarre soggetti locali. Durante il suo soggiorno, viene incaricato da don Camillo di restaurare alcune decorazioni della chiesa e di realizzare un affresco della Madonna su una parete danneggiata. Il pittore, alla ricerca di ispirazione per il volto della Madonna, incontra casualmente la Celestina, una giovane donna nota per essere una fervente comunista e considerata dalla comunità come una figura provocatoria e scandalosa. Colpito dalla bellezza del suo viso, il pittore decide di usarlo come modello per l’affresco.
Quando l’opera viene rivelata, suscita scalpore: la somiglianza tra la Madonna e la Celestina è evidente, e la comunità si indigna all’idea che la sacralità dell’immagine possa essere associata a una donna scomunicata. Tuttavia, quando la stessa Celestina vede l’affresco, ne rimane profondamente colpita. Il dipinto sembra trasfigurare la sua immagine, rivelando una bellezza spirituale che lei stessa non aveva mai percepito. La reazione della Celestina segna un punto di svolta: la donna, commossa, abbandona il suo atteggiamento ribelle e si avvicina alla fede. Alla fine, il pittore e la Celestina si sposano, e l’affresco diventa un simbolo di riconciliazione e trasformazione.
Temi principali
- L’arte come strumento di trasfigurazione
Il pittore cerca di catturare la bellezza assoluta nel volto della Celestina, ignorando le sue convinzioni politiche e il giudizio della comunità. L’affresco trasforma il viso fisico della donna in un’immagine spirituale, dimostrando come l’arte possa andare oltre le apparenze e rivelare una verità più profonda. Questo tema sottolinea il potere dell’arte di elevare e trasfigurare la realtà. - La tensione tra sacro e profano
La scelta di usare il volto di una comunista per rappresentare la Madonna crea un conflitto tra il sacro e il profano. La comunità, guidata da don Camillo, vede questa scelta come un sacrilegio, mentre il pittore difende la sua opera come un omaggio alla bellezza divina. Questo contrasto riflette il dibattito eterno tra tradizione religiosa e innovazione artistica. - La trasformazione personale
Il cambiamento della Celestina è uno dei momenti centrali del racconto. Dall’essere una figura polemica e ostile, la donna si trasforma grazie all’incontro con l’immagine che la rappresenta. Vedendosi riflesse nell’affresco, scopre una dimensione spirituale di sé che non aveva mai considerato. Questo processo di trasformazione simboleggia la capacità dell’arte e della fede di influenzare positivamente la vita delle persone. - L’identità sociale e i pregiudizi
La Celestina è vista dalla comunità come una figura controversa a causa delle sue idee politiche e del suo comportamento. Il giudizio negativo nei suoi confronti è basato su pregiudizi sociali e ideologici. Tuttavia, l’affresco rivela che la bellezza e la spiritualità possono esistere al di là delle etichette sociali, sfidando i preconcetti della comunità. - L’incontro tra opposti
Il racconto mette in scena un incontro tra mondi apparentemente inconciliabili: il pittore (artista laico), don Camillo (rappresentante della Chiesa) e la Celestina (comunista e scomunicata). Questo dialogo tra opposti porta a una riconciliazione finale, simboleggiata dal matrimonio tra il pittore e la Celestina e dall’accettazione dell’affresco da parte della comunità.
Personaggi principali
- Il pittore
È un artista sensibile e appassionato, alla ricerca della bellezza assoluta. Non si lascia influenzare dai pregiudizi sociali e sceglie il volto della Celestina per rappresentare la Madonna perché lo trova esteticamente perfetto. La sua visione artistica va oltre le convenzioni, dimostrando un profondo rispetto per la bellezza divina. - Don Camillo
Rappresenta la tradizione religiosa e l’autorità morale del paese. Inizialmente contrario all’uso del volto della Celestina, don Camillo si trova a confrontarsi con la bellezza dell’affresco e con la sua capacità di trasformare le persone. Il suo ruolo riflette il conflitto tra dogma e compassione. - La Celestina
È una figura complessa: ribelle, provocatoria e idealista, rappresenta una sfida alle convenzioni sociali e religiose. Tuttavia, l’incontro con l’affresco la porta a riconsiderare la sua identità e a scoprire una dimensione spirituale che non aveva mai esplorato. La sua trasformazione è centrale nella narrazione.
Simbolismo
- L’affresco della Madonna
L’affresco simboleggia la bellezza divina che trascende le divisioni umane. È un ponte tra sacro e profano, tra arte e fede, e rappresenta la capacità dell’arte di rivelare verità nascoste. - Il volto della Celestina
Il volto della Celestina è un simbolo di contraddizione: fisicamente bello, ma socialmente controverso. Attraverso l’affresco, il suo volto viene purificato e spiritualizzato, diventando un’icona di redenzione. - La chiesa
La chiesa rappresenta il cuore della comunità e il luogo in cui avviene la trasformazione spirituale. È uno spazio simbolico in cui sacro e profano si incontrano e si riconciliano.
Stile e tono
Guareschi adotta uno stile narrativo semplice e diretto, caratterizzato da un’ironia bonaria e una profonda umanità. I dialoghi sono vivaci e riflettono le personalità dei personaggi, mentre le descrizioni sono dettagliate ma mai eccessive. Il tono oscilla tra il comico e il riflessivo, creando un equilibrio perfetto tra leggerezza e profondità.
Messaggio finale
Il brano di Guareschi ci invita a riflettere sulla natura della bellezza, della spiritualità e della trasformazione personale. Attraverso l’arte, il pittore riesce a rivelare una verità che va oltre le apparenze e i pregiudizi, mostrando come la bellezza divina possa toccare anche chi sembra più lontano dalla fede. La storia celebra la capacità dell’arte di unire gli opposti e di promuovere la riconciliazione, sia a livello individuale che comunitario.
Conclusione
Riassumendo: “Paesaggio e figura” di Giovannino Guareschi è una storia che esplora temi universali come l’arte, la fede, l’identità sociale e la trasformazione personale. Attraverso l’affresco della Madonna, Guareschi dimostra come la bellezza possa superare i pregiudizi e rivelare una verità spirituale profonda. La narrazione, caratterizzata da un tono ironico e umano, celebra la capacità dell’arte di elevare e trasfigurare la realtà, portando alla riconciliazione e alla crescita personale.
Testo di Paesaggio e figura di Giovannino Guareschi
Una mattina arrivò un giovanotto in bicicletta e, fermatosi sul sagrato, incominciò a guardarsi attorno come se cercasse qualcosa.
Ad un tratto parve aver trovato ciò che gli interessava e, appoggiata la bicicletta a un colonnotto, prese ad armeggiare attorno al fagotto che stava sul portapacchi.
Ne cavò un seggiolino pieghevole, un cavalletto, una cassetta di colori, una tavoletta e, pochi minuti dopo, era già al lavoro.
Per fortuna i ragazzini stavano a scuola e cosi il pittore potè lavorare tranquillo per una buona mezz’ora. Ma, dopo, incominciò ad arrivare gente da tutte le parti e, ben presto, il giovanotto sentì sulla punta del suo pennello il peso di cento occhi curiosi.
Camminando piano piano, come se passasse di li per caso, arrivò anche don Camillo e qualcuno gli domandò sottovoce cosa pensasse di quella faccenda.
– È presto, per giudicare – rispose don Camillo.
– Io non capisco cosa ci sia di bello in quel portico – borbottò un giovanotto della squadra degli intellettuali. – Ci sono dei soggetti mille volte più pittoreschi, lungo il fiume.
Il giovanotto senti e, senza voltarsi, disse:
Il pittoresco va bene per fare le cartoline illustrate. La Bassa mi piace proprio perché non pittoresca.
L’affermazione lasciò perplessa la massa che continuò a seguire con diffidenza il lavoro del giovanotto fino a mezzogiorno. Poi, a mezzogiorno, tutti se ne andarono: il giovanotto rimase solo e, trovandosi finalmente libero, potè spennellare senza preoccupazioni per due ore filate.
Cosi, quando il popolo ritornò a godersi lo spettacolo, il quadro fu degno di indurre qualcuno a correre in canonica per avvertire don Camillo:
Reverendo, venite a vedere che meraviglia!
In verità il giovanotto ci sapeva fare parecchio e Peppone, che era tra gli spettatori, fece, con parole molto semplici, il punto esatto della situazione:
Guardate cosa vuol dire l’arte! Sono quasi cinquant’anni che vedo tutti i santi giorni quel porticato, e soltanto adesso mi accorgo che è bello!
Il giovanotto era stanco: ripose la tavolozza e i pennelli e richiusa la cassetta si alzò.
Ha già finito? – domandò qualcuno.
No: lo finirò domani. Adesso la luce è cambiata. C’è tutto un gioco diverso.
Se le fa comodo di mettere la sua roba in canonica, ho tutto il posto che vuole e nessuno le toccherà niente, – disse don Camillo vedendo che il giovanotto era imbarazzato per la sistemazione della tela ancora fresca di pittura.
Le sono molto grato, – rispose il giovanotto.
Volevo vedere che non lo accalappiasse! – borbottò Peppone andandosene indispettito.
Sistemati i suoi arnesi nell’armadione dell’andito della canonica, il giovanotto domandò a don Camillo:
Reverendo, saprebbe indicarmi un posto dove poter mangiare e dormire spendendo il meno possibile?
Si, – rispose don Camillo. – Qui.
Il giovanotto lo guardò stupito.
Lei è un artista e io sono lieto di poterla ospitare – spiegò don Camillo.
In tinello il fuoco era acceso e la tavola apparecchiata: il giovanotto era pieno di fame e di freddo e, mano a mano che mangiava, la sua faccia smorta riprendeva colore.
E anche quella era pittura.
lo non so come ringraziarla, reverendo, – disse alla fine.
Non mi ringrazi, – rispose don Camillo. – Si fermerà molto da queste parti?
Domani nel pomeriggio torno in città – spiegò il giovanotto.
Già finito il suo entusiasmo per la Bassa?
Finiti i quattrini, – sospirò il giovanotto.
Ha molto lavoro in città?
Il giovanotto si mise a ridere.
Si vive alla giornata.
Don Camillo lo guardò:
lo non posso darle dei quattrini perché non ne ho, – disse. – Però se lei mi fa qualche lavoretto per la chiesa, io posso darle da mangiare e da dormire per un mese. Ci pensi.
Ci ho pensato, – rispose il giovanotto. – è un contralto che mi conviene. Purché lei mi lasci il tempo di dipingere anche per me.
Si capisce! – esclamò don Camillo. – Mi basta che lei dedichi alla chiesa un paio d’ore al giorno. Vedrà che quello che c’è da fare non è molto.
La chiesa era stata riparata da un mese e, dove avevano rifatto qualche placca d’intonaco, le decorazioni interne erano state cancellate. Bisognava ritoccare e completare le decorazioni e il giovanotto, quando ebbe visto di che cosa si trattava, sorrise:
Tutto qui?
Tutto qui.
In una giornata le sistemo tutto, reverendo. Non posso accettare il contratto. Non sarebbe onesto, da parte mia. Bisogna che lei mi dia qualcosa d’altro da fare.
Don Camillo allargò le braccia:
Veramente ci sarebbe dell’altro, – rispose. – Ma è un lavoro grosso, d’impegno e non ho neppure il coraggio di parlarne.
Parliamone, invece!
Don Camillo si appressò alla balaustra d’una cappelletta laterale e accese la luce.
Guardi che disastro!
Il giovanotto levò gli occhi e vide soltanto una grande macchia che deturpava il muro sopra l’altare.
Una infiltrazione d’acqua – spiegò don Camillo. – Ce ne siamo accorti troppo tardi. Una volta riparato il tetto, l’intonaco è venuto giù perché col gelo si era staccato dal muro. Cosi l’immagine della Madonna è andata distrutta.
Il giovanotto tentennò gravemente il capo.
È un guaio grosso, disse. – Bisogna rifare l’intonaco completamente perché quello che è rimasto non serve più.
Si trattasse soltanto dell’intonaco, il guaio sarebbe da ridere! – esclamò don Camillo. – è l’immagine della Madonna che bisogna dipingere di nuovo.
A questo ci penso io – esclamò il giovanotto. – Lei faccia risanare il muro. Io intanto mi studio la figura e preparo il cartone e lo spolvero. Quando sarà il momento, mi metta a disposizione il muratore per l’intonaco. L’affresco lo conosco bene. Però voglio lavorare tranquillo: il lavoro lo vedrà quando sarà finito. Per me è una tortura lavorare con gli occhi della gente addosso.
Don Camillo era tanto contento che non trovò neppure il fiato per rispondere: “Signorsì”
II giovanotto era un artista appassionato e, oltre a trovarsi in un ambiente che gli piaceva, il fatto nuovo di poter mangiare regolarmente e abbondantemente ogni giorno, gli aveva messo addosso un entusiasmo straordinario. Cosi, finito – tra l’approvazione incondizionata del paese – il quadro coi portici della piazza, partì alla scoperta della Bassa e alla ricerca dell’ispirazione per la Madonna di don Camillo.
Non poteva dipingere una Madonna convenzionale: doveva spiritualizzare un viso vero. Quella immagine doveva essere non solo un omaggio a don Camillo, ma un omaggio alla pittura.
Nella prima settimana liquidò i rappezzi e i ritocchi delle decorazioni. Fece anche di più perché restaurò il grande quadro ad olio che incombeva sul coro: Però non si sentiva a posto.
Soltanto quando avesse trovato l’ispirazione per la Madonna della cappelletta, l’irrequietezza che giorno per giorno aumentava in lui si sarebbe placata.
Ma, alla fine della seconda settimana, le cose erano notevolmente peggiorate per il giovanotto: il muro della cappelletta, completamente risanato, attendeva già da un pezzo, e il giovanotto era ancora in alto mare.
II giovanotto aveva guardato mille donne, fra quelle del borgo e quelle delle frazioni, ma non aveva visto un viso interessante.
Don Camillo si accorse ben presto che qualcosa non funzionava: il giovanotto pareva avesse perso la voglia di lavorare e, più d’una volta, non riportava a casa neppure uno schizzo.
La Bassa non la interessa più? – domandò una sera don Camillo. – Ci sono ancora tante cose belle che lei non ha fermato sulla tela.
Adesso mi interessa una sola cosa bella che non riesco a scoprire! – rispose con voce piena di sconforto il giovanotto.
La mattina dopo il giovanotto inforcò la bicicletta e si mise in viaggio con questo fermo proposito: “Se non la trovo, stasera me ne vado”
Girò affidandosi al caso: entrava nelle aie per chiedere un bicchier d’acqua o una cosa qualsiasi, si fermò ogni volta che s’imbatté in una donna, ma riuscì solo ad aumentare la sua amarezza.
A mezzogiorno si trovò alla Rocca, la frazione più vicina al paese grosso, e si fermò a mangiar qualcosa all’osteria del Fagiano.
Non se la sentiva di tornare a casa.
La sala del Fagiano, uno stanzone basso a travicelli con le oleografie dell’Otello alle pareti, era deserto.
Apparve una vecchia e il giovanotto chiese pane, salame e un bicchiere di vino.
Quando, di lì a poco, una mano depose davanti a lui, sul piano scuro della tavola, una carta di salame, un bicchiere di vino e un pezzo di pane, il giovanotto levò gli occhi e rimase senza respiro.
Trovata l’ ispirazione!
L’ispirazione aveva al massimo venticinque anni e portava in giro la sua roba con la baldanza d’una ragazza di diciotto. Ma quel che interessava al giovanotto era il viso della donna.
Ed egli stette a guardare sbalordito quel viso che da tanto tempo cercava.
La ragazza sostenne il suo sguardo per un po’ quindi ebbe uno scatto:
E allora? – domandò con voce dura. – Ce l’ha con me?
Scusi, – balbettò il giovanotto confuso.
La ragazza se ne andò, poi tornò di li a poco, mettendosi a sedere vicino alla porta e incominciando a cucire.
Il giovanotto non seppe resistere: cavò una tavoletta e prese a disegnare.
Non durò molto perché la ragazza, sentendosi quegli occhi addosso, levò la testa e disse:
Si può sapere cosa fa?
Se mi permette vorrei farle il ritratto, -le rispose il giovanotto.
Il ritratto? E perché?
lo sono pittore di mestiere, – balbettò il giovanotto, – e ai pittori interessa tutto quello che è bello.
La ragazza fece una smorfia di compatimento, scrollò le spalle e si mise a lavorare.
Stette lì ferma più d’un’ora poi si alzò e si avvicinò al giovanotto:
Si può vedere cosa ha combinato?
Il giovanotto mostrò lo schizzo.
Sono cosi, io? – ridacchiò la ragazza.
È appena abbozzato, signorina: se permette vengo domani a finirlo.
La ragazza raccolse il piatto e il bicchiere.
Quanto fa? – domandò il giovanotto.
Pagherà domani.
Il giovanotto, appena tornato in canonica, andò a chiudersi nella sua stanza dove disegnò fino a sera.
Il mattino seguente, continuò a disegnare: usci verso il mezzogiorno chiudendo la porta a chiave.
Reverendo, – spiegò, – ci siamo. L’ispirazione è arrivata!
Parti pedalando a tutta birra e trovò al Fagiano ogni cosa come il giorno prima: stanza deserta, pane, salame, vino e ispirazione seduta vicino alla porta.
Questa volta, dopo un paio d’ore di posa, la ragazza vedendo il risultato del lavoro del giovanotto parve più soddisfatta del giorno precedente:
Così va meglio, – disse.
Se potessi venire anche domani la cosa andrebbe meglio ancora, – sospirò il giovanotto.
Andò a finire che il giovanotto tornò altre due volte: dopo non si fece più vedere al Fagiano perché aveva ben altro per la testa.
Rimase chiuso per tre giorni. Della stanza, poi, accordatosi col muratore incominciò a lavorare nella cappelletta.
Incominciò a lavorare pieno d’orgasmo e nessuno poteva vedere cosa facesse perché una robusta e impenetrabile tramezza di tavole era stata tirata su davanti alla cappella isolandola dal resto della chiesa. E il giovanotto soltanto poteva entrare nella cappella, perché soltanto lui aveva la chiave del lucchetto che bloccava lo sportello di accesso.
Don Camillo bruciava di curiosità, ma riusciva a dominarsi e si accontentava di domandare ogni sera al giovanotto:
E allora, come andiamo?
Vedrà reverendo! – rispondeva il giovanotto eccitatissimo.
E venne finalmente il giorno fatale.
Il giovanotto, finito il suo lavoro, ricopri l’affresco con una tela, fece togliere l’assito e andò a chiamare don Camillo:
Reverendo, ci siamo.
Don Camillo, in un attimo fu davanti alla balaustra della cappelletta e attese col cuore che gli batteva.
Il giovanotto, con una pertica, fece cadere il telone che copriva la Madonna del Fiume.
Era una cosa stupenda e don Camillo rimase a bocca aperta davanti a quell’apparizione.
Poi, ad un tratto, senti come una mano attanagliargli il cuore e la fronte gli si coperse di sudore.
E un urlo gli sfuggì, pieno d’angoscia.
La Celestina!
Il giovanotto lo guardò stupito.
Che Celestina?
Quella è la Celestina, la figlia della padrona del Fagiano!
Il giovanotto allargò le braccia:
Sì, – ammise tranquillamente. – è una ragazza che ho trovato al Fagiano.
Don Camillo agguantò la scala a piuoli ed, entrato nella cappelletta, l’appoggiò al muro di fondo e ricoprì l’immagine con la tela.
Il giovanotto non capiva più niente.
Reverendo, – domandò quando don Camillo fu ritornato a terra. – Siete diventato matto?
Don Camillo non rispose e corse in canonica seguito dal giovanotto sempre più sbalordito.
Sacrilegio! – ansimò giunto che fu in tinello. – La Celestina del Fagiano! La Celestina del Fagiano! La Madonna con la faccia della Celestina del Fagiano! Ma lei non sa chi è la Celestina del Fagiano?
Il giovanotto impallidì.
Lei non sa che la Celestina del Fagiano è la più sfegatata delle comuniste della zona? Non sa che a fare una Madonna con la faccia della Celestina del Fagiano, sarebbe come fare Gesù Cristo con la faccia di Stalin?
Il giovanotto ritrovò un pò di calma:
Reverendo, – disse. – lo non mi sono ispirato alla fede politica di quella ragazza, io mi sono ispirato al suo viso. II viso è bellissimo e la bellezza non gliel’ha regalata il partito ma Dio.
Ma l’animaccia nera che si nasconde sotto quella bellezza gliel’ha regalata il demonio! – gridò don Camillo.
La bellezza non è mai dono del demonio, – replicò il giovanotto. – Tutto ciò che è bello è un dono divino.
Don Camillo levò le braccia al cielo:
Lei ha commesso un sacrilegio! E se non sapessi che lei ha agito in buona fede, io l’avrei già scaraventato a casa del diavolo. Non si rende conto dell’enormità della cosa?
Il giovanotto scosse il capo:
No, – rispose. – Io ho la coscienza tranquilla. Io, per dipingere il viso della Madonna ho cercato l’ispirazione nel viso più bello che ho trovato.
Lei non ha fatto il ritratto alle sue buone intenzioni, lei ha fatto il ritratto a un tizzone d’inferno! A una scomunicata! Non le pare un orrendo sacrilegio dare alla Madonna le sembianze di una donna scomunicata? La Madonna del Fiume? La Madonna scomunicata, questo è il suo nome giusto!
Il giovanotto aveva voglia di piangere:
E io che ho cercato tanto e che ci ho messo tutta la mia passione per spiritualizzare quel viso…
Don Camillo agitò le braccia con violenza:
Ma cosa vuol spiritualizzare! Come si può spiritualizzare una faccia volgare come quella della Celestina? Una donna che, quando si mette a dir parolacce, fa arrossire perfino i carrettieri? Ma come si può avere la spudoratezza di pensare che la Madonna possa avere la faccia bieca della Celestina del Fagiano?
Il giovanotto andò a buttarsi nel suo letto: non scese a cena e don Camillo non si sognò neppure di chiamarlo. Ma, verso le dieci di sera, sali a trovarlo:
Ebbene, è convinto di aver commesso un sacrilegio? Spero che lei abbia riguardato a mente serena i suoi bozzetti e si sia reso conto che non è possibile trovare al mondo faccia più volgare di quella ragazza. Lei è giovane, ha visto una ragazza provocante e gli occhi dell’artista non hanno più funzionato lasciando il posto agli occhi dello sporcaccione.
Il giovanotto scosse il capo:
Lei mi giudica male, reverendo. Lei mi insulta senza una ragione.
Ma prenda i suoi bozzetti! Ma guardi!
Ho stracciato tutto, – rispose il giovanotto.
Andiamo a vedere giù, – esclamò don Camillo. – Voglio che lei si convinca.
Scesero nella chiesa silenziosa e deserta e, giunti davanti alla cappelletta, don Camillo con la pertica fece cadere la tela che copriva l’affresco.
Guardi con calma e mi dica se ho o non ho ragione.
Il giovanotto guardò l’affresco, lo illuminò coi due riflettori, tornò a guardarlo, poi fece di no con la testa:
No reverendo, quel viso non è né bieco né volgare.
Don Camillo sghignazzò e si mise a studiare con cipiglio feroce l’affresco.
La Madonna del Fiume aveva un viso dolce, sereno e gli occhi erano limpidi e puri.
Roba da pazzi! – gridò inviperito don Camillo. – lo vorrei sapere come lei può aver fatto a trovare della spiritualità nella faccia di quella disgraziata!
Reverendo, lei dunque riconosce che quella immagine ha un viso spirituale, non bieco, volgare e perverso!
L’immagine ha il viso spirituale, ma la Celestina ha il viso volgare e perverso! E chiunque veda questa immagine dirà: “Tò: la Celestina travestita da Madonna”
Reverendo, – esclamò il giovanotto, – non è il caso di fare tragedie. Domattina si guasta tutto e si ricomincia da capo.
Don Camillo andò a ricoprire l’affresco e spense la luce.
Domani decideremo, – disse. – Il guaio è grosso perché, disgraziatamente, come pittura, l’affresco è bellissimo e guastarlo è un delitto.
La Madonna del Fiume, infatti, piaceva da pazzi al povero don Camillo. Per lui quel dipinto era un capolavoro. Era la cosa più bella che avesse mai visto. D’altra parte come poteva tollerare che la dannata Celestina si mostrasse dall’altare sotto le vesti della Madonna?
L’indomani don Camillo chiamò in aiuto i cinque o sei parrocchiani più fidi e, portatili davanti alla cappelletta, tirò giù il sipario e disse:
Esprimete il vostro parere liberamente.
E tutti, dopo avere esclamato: “Meraviglioso!”, ebbero un sussulto e aggiunsero inorriditi:
Ma è la Celestina del Fagiano!
Don Camillo spiegò la disgrazia successa al povero pittore e concluse:
Non c’è che una cosa da fare: cancellare tutto.
Peccato perché è un capolavoro! – commentarono quelli della commissione. – D’altra parte non si può permettere che la Madonna abbia la faccia d’una scomunicata maledetta…
Don Camillo tirò su il sipario e pregò quelli della commissione di non dire niente in giro.
Il risultato fu che la voce circolò immediatamente e ci fu subito un gran viavai di gente davanti alla cappelletta: ma l’immagine era coperta e l’ingresso alla cappelletta sbarrato.
La voce circolò anche fuori paese e la sera stessa, mentre don Camillo stava chiudendo il portale della chiesa, emerse dall’ombra un viso arcigno.
Era la Celestina del Fagiano.
Cosa volete? – domandò asciutto don Camillo.
Devo dire due parole a quel disgraziato imbecille lì, – borbottò cupa la Celestina.
Don Camillo si volse: il giovanotto stava arrivando.
A parte il fatto che lei è venuto a mangiare per quattro volte da me senza mai pagare, – esclamò minacciosa la Celestina, – vorrei sapere chi le ha dato il permesso di denigrarmi sfruttando la mia faccia per pitturare delle Madonne.
Il giovanotto guardò sbalordito e quasi atterrito la Celestina: ecco il viso volgare, bieco, perverso di cui parlava don Camillo. Si domandò con angoscia come mai avesse potuto trovare qualcosa di spirituale o di spiritualizzabile in quel viso.
Balbettò qualcosa e la ragazza gli saltò sulla voce:
Lei è un cretino!
Don Camillo intervenne:
Ragazza, cerchiamo di non far cagnara e di liberare il passaggio. Qui non siamo della vostra osteria, qui siamo in chiesa.
Voi non avete il diritto di sfruttare la mia fisionomia per le vostre Madonne! – replicò aspra la Celestina.
Nessuno ha mai pensato di sfruttarvi, – affermò don Camillo. – lo non so cosa cerchiate.
C’è gente che ha visto la Madonna con la mia faccia! – gridò la Celestina. – Provate a mentire se siete capace!
Don Camillo si sentì a disagio.
Non c’è nessuna Madonna con la vostra faccia, né potrebbe mai esserci, – replicò don Camillo.
Comunque, poiché nell’immagine dipinta da questo giovanotto qualcuno ha trovato una sia pur lontana somiglianza con voi, domani l’immagine sarà scalpellata via e rifatta.
Voglio vederla! – esclamò la ragazza. – E voglio che le cancelliate subito la mia faccia. In mia presenza.
Don Camillo guardò quel viso deturpato dalla collera: pensò al dolce viso della Madonna del Fiume e disse:
Non è la vostra faccia. Potete controllare.
La ragazza camminò decisa verso la cappelletta e, davanti alla balaustra, si fermò.
Don Camillo prese la pertica e fece cadere la tela che copriva l’immagine.
Poi guardò la Celestina.
La Celestina rimase immobile a contemplare l’affresco ed ecco qualcosa di inaspettato, di straordinario.
Ecco il viso della Celestina distendersi poco a poco, ecco gli occhi spiritati diventare via via sempre più dolci, sempre più sereni.
Ecco sparire dal viso della Celestina ogni volgarità, eccolo quel viso diventare sempre più uguale al viso dell’immagine.
Il giovanotto si aggrappò a un braccio di don Camillo.
Cosi io l’ho visto, – sussurrò all’orecchio di don Camillo.
Don Camillo gli fece cenno di star zitto.
Ci fu qualche istante di silenzio poi si udì la voce sommessa della Celestina:
Com’è bella!…
La Celestina non si stancava di guardare l’immagine: e ad un tratto si volse verso don Camillo:
Non cancellatela, per favore! – implorò con voce piena d’angoscia. – Aspettate!
Quindi si inginocchiò davanti alla Madonna del Fiume e si segnò.
Don Camillo rimase senza fiato e guardò sbalordito la Celestina allontanarsi singhiozzando, seguita dal pittore.
Ritrovatosi solo in chiesa, don Camillo ricoprì l’immagine poi andò a confidarsi col Cristo dell’altar maggiore:
Gesù, – ansimò, – cosa sta succedendo?
Non me ne intendo di pittura, – rispose sorridendo il Cristo.
La mattina dopo il giovanotto salì in bicicletta e pedalò verso il Fagiano.
Lo stanzone dell’osteria era deserto e la Celestina stava cucendo a testa bassa seduta al solito posto.
Sono venuto a pagare il mio debito, – disse il giovanotto.
La Celestina rialzò lentamente il capo e il giovanotto si senti il cuore gonfio di consolazione perché la Celestina aveva il viso dolce e sereno del ritratto.
Come siete bravo! – sospirò la Celestina. – Com’è bella quella Madonna!
Il giovanotto balbettò qualcosa e la Celestina aggiunse:
È troppo bella: non la devono cancellare!
Lo so, dispiace anche a me perché ci ho messo, nel dipingerla, tutta la mia anima e tutto il mio cuore, ma la gente dice che non è possibile lasciare in chiesa una Madonna che ha il viso d’una scomunicata…
La Celestina sorrise:
Io non la sono più, scomunicata: stamattina ho già fatto quel che dovevo fare.
Il giovanotto rispose che non capiva e allora la Celestina gli spiegò tutto. Poi approfittò dello stupore del giovanotto per domandargli se fosse sua moglie quella che gli accomodava la biancheria e l’altro spiegò che nessuno gli accomodava la biancheria perché era solo al mondo e viveva come un cane.
Allora lei osservò sospirando che, a una certa età, la solitudine pesa anche alle donne più corteggiate e si sente il bisogno di farsi una famiglia.
Allora lo sciagurato ammise che quello di farsi una famiglia era sempre stato il suo sogno ma che riusciva a malapena a vivere da solo.
Allora la Celestina replicò saggiamente che ciò succedeva perché il giovanotto viveva in città dove tutto costa il doppio. Mentre, se fosse vissuto in campagna, avrebbe trovato ogni cosa più facile tanto più se la sorte l’avesse fatto imbattere in una brava ragazza con una casa piccola ma pulita e una azienda piccola ma redditizia.
Allora il giovanotto disse qualche parola, ma subito suonò il mezzogiorno perché le ore passano spaventosamente alla svelta quando si chiacchiera di queste faccende, e la ragazza si alzò e andò a prendergli pane, salame e vino.
Quando ebbe mangiato il giovane domando: “Quanto fa?”.
Pagherete domani, – rispose la Celestina.
La Madonna del Fiume rimase nascosta dietro il telone circa un mese. Ma il giorno in cui il giovanotto e la Celestina si sposarono in pompa magna con accompagnamento d’organo, don Camillo tirò su il sipario e inondò di luce la cappelletta.
Don Camillo era un po’ preoccupato per quel che avrebbe potuto dire la gente vedendo che la Madonna del Fiume aveva la faccia di Celestina: ma la gente commentò semplicemente:
Figurati! Le piacerebbe alla Celestina essere bella come quella pittura! Non le somiglia neanche lontanamente.
da Guareschi, Gente cosi, Milano, Rizzoli, 1980, pp. 123-141.