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28 Dicembre 2019“Il seme di Nasiriyah” è un libro scritto da Margherita Coletta, moglie di Giuseppe Coletta, un carabiniere morto nell’attentato di Nasiriyah del 2003.
Il libro è una testimonianza di dolore e di speranza, un racconto personale di una donna che ha perso il suo amato marito in un evento tragico.
Punti chiave:
- La testimonianza personale: Il libro è un racconto intimo e commovente della vita di Margherita Coletta e del suo rapporto con Giuseppe.
- Il dolore e la perdita: L’autrice descrive con grande intensità il dolore e la sofferenza causati dalla perdita del marito.
- La speranza e la fede: Nonostante la tragedia, Margherita Coletta trova la forza di andare avanti nella sua fede e nella speranza di un futuro migliore.
- Il ricordo di Giuseppe Coletta: Il libro è un tributo alla memoria di Giuseppe Coletta, un uomo che ha dedicato la sua vita al servizio degli altri.
Significato del libro:
“Il seme di Nasiriyah” è un libro che offre una testimonianza umana e toccante di un evento tragico. È un racconto di dolore, ma anche di speranza e di fede, un messaggio di resilienza e di forza interiore.
Aspetti rilevanti:
- Il libro offre una prospettiva personale e intima sulla tragedia di Nasiriyah.
- È un tributo alla memoria di tutte le vittime del terrorismo.
- È un messaggio di speranza e di resilienza, un invito a non cedere alla disperazione.
In sintesi, “Il seme di Nasiriyah” è un libro che merita di essere letto, per la sua intensità emotiva e per il suo messaggio di speranza. Leggiamone qualche brano:
La vedova di un carabiniere ucciso a Nasiriyah suggerisce di perdonare
In un tempo segnato da rancori politici, fratture sociali e violenza verbale, risuonano con forza le parole semplici e radicali di Margherita Coletta, vedova del brigadiere Giuseppe Coletta, ucciso nel tragico attentato di Nasiriyah del 2003.
Dopo l’aggressione a Silvio Berlusconi in piazza Duomo nel 2009, mentre molti gridavano allo scandalo e al ritorno degli “anni di piombo”, è stata proprio lei – una donna che ha conosciuto il dolore estremo – a suggerire pubblicamente un’altra strada: quella del perdono.
“Solo il bene spezza la catena del male,” ha detto, incontrando alcuni detenuti nel carcere Due Palazzi di Padova.
“Se l’odio vincesse, quale sarebbe la differenza tra me e gli assassini di mio marito?”
Parole dure e luminose, che non cercano né giustificazioni né vendetta. Coletta non ha dimenticato, non ha rimosso, ma ha scelto di non lasciare che il male definisca la sua vita. Il perdono, per lei, non è debolezza né rassegnazione, ma la condizione per continuare a vivere in modo umano e libero.
In un contesto carcerario – luogo di colpa, ma anche di speranza possibile – la sua testimonianza diventa segno di qualcosa di più grande: nessuno è irredimibile, nessuno è escluso dalla possibilità di ricominciare. Nemmeno chi ha fatto del male.
“È solo se un Altro ci perdona che possiamo accettare gli altri e, prima ancora, noi stessi.”
Margherita Coletta ci insegna che il perdono non cancella la giustizia, ma le dà un orizzonte umano. E che, in una società sempre più divisa, la vera pace nasce quando si sceglie di non odiare, anche quando se ne avrebbe tutto il diritto.
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