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28 Dicembre 2019Lo stile e la fortuna di Tacito
28 Dicembre 2019Uno dei momenti più drammatici e celebri della storia romana, l’incendio di Roma nel 64 d.C., viene narrato da Tacito negli Annales (XV, 38).
Tacito, con il suo consueto stile sobrio ma incisivo, ci offre una descrizione vivida e dettagliata della catastrofe che devastò la città sotto il regno di Nerone. È un passo che combina l’orrore della distruzione con una sotterranea tensione politica, accennando a voci di un possibile coinvolgimento dello stesso imperatore.
Testo e Traduzione, Tacito, Annales libro XV, capitolo 38
Testo latino:
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Traduzione:
[38] XXXVIII. Segue una calamità, incerta se dovuta al caso o al dolo del principe (poiché gli storici riportano entrambe le versioni), ma più grave e terribile di tutte quelle che, a causa della violenza degli incendi, sono accadute a questa città. L’inizio avvenne nella parte del Circo che è contigua ai colli Palatino e Celio, dove, fra le botteghe che contenevano merci che alimentano il fuoco, il rogo prese avvio simultaneamente e subito si fece violento, e, spinto dal vento, travolse l’intera lunghezza del Circo. Non vi erano case munite di difese, né templi circondati da mura, né altre strutture che potessero frapporsi come ostacoli. L’incendio si diffuse con impeto, dapprima nei luoghi pianeggianti, poi si arrampicò sui punti elevati e tornò a scendere in basso, devastando tutto e anticipando ogni tentativo di rimedio con la rapidità del disastro, in una città vulnerabile a causa delle strade strette e contorte e dei vicoli irregolari, com’era l’antica Roma. A ciò si aggiungevano i lamenti delle donne terrorizzate, le persone anziane esauste, i bambini inesperti, e quelli che si preoccupavano di sé stessi o degli altri: mentre trascinavano gli invalidi o attendevano il momento giusto, alcuni ritardavano, altri correvano troppo in fretta, e tutto ciò ostacolava i soccorsi. E spesso, mentre guardavano indietro, venivano circondati dal fuoco sui fianchi o di fronte, o anche se erano riusciti a fuggire nelle aree vicine, quelle pure venivano raggiunte dalle fiamme, e trovavano distrutte persino le aree che ritenevano lontane dal pericolo. Alla fine, non sapendo cosa evitare o verso cosa dirigersi, riempivano le strade o si abbandonavano a terra nei campi; alcuni, dopo aver perso tutte le loro ricchezze, si lasciavano morire per la mancanza persino di cibo, altri, per l’amore dei loro cari, che non erano riusciti a salvare, perirono anche quando avevano aperta una via di fuga. Nessuno osava tentare di spegnere le fiamme, poiché molti minacciavano chi cercava di farlo, e perché alcuni gettavano torce apertamente, dichiarando che lo facevano per ordine di qualcuno, o per esercitare con maggiore libertà i saccheggi, o per un comando diretto. |
Il passo si apre con un’enigmatica osservazione di Tacito: non è chiaro se l’incendio sia stato provocato dal caso (forte) o dal dolo di Nerone (dolo principis). Già qui percepiamo il sottile gioco di Tacito nel non esprimere apertamente un giudizio, lasciando però al lettore il sospetto di un coinvolgimento imperiale. Tacito si muove tra l’accusa e il dubbio, riflettendo una prassi comune della sua storiografia, che mira a mantenere l’oggettività lasciando tuttavia emergere una critica velata. L’incertezza sull’origine dell’incendio si riflette anche nell’affermazione che gli storici riportano entrambe le versioni (nam utrumque auctores prodidere), rimarcando la confusione e le dicerie che circolavano già all’epoca.
La descrizione dell’inizio dell’incendio nella zona del Circo Massimo (“in ea parte circi ortum quae Palatino Caelioque montibus contigua est”) sottolinea come la posizione geografica e la struttura stessa della città abbiano facilitato la diffusione delle fiamme. Il Circo, confinante con i colli Palatino e Celio, era un luogo affollato e ricco di costruzioni precarie, soprattutto botteghe (tabernas), che, con le loro merci facilmente infiammabili, costituivano un terreno ideale per il propagarsi dell’incendio. Tacito è attento a descrivere non solo il focolaio iniziale, ma anche come il vento (vento citus) abbia contribuito a estendere rapidamente le fiamme lungo tutta la lunghezza del Circo.
Uno degli aspetti più drammatici di questa narrazione è l’impotenza delle autorità e dei cittadini nel contenere l’incendio. Tacito rimarca come l’incendio, con la sua violenza, “superi” ogni tentativo di intervento: “remedia uelocitate mali”. Roma, con le sue strette strade e vicoli irregolari (artis itineribus… enormibus uicis), non era preparata a gestire un’emergenza di queste proporzioni. La descrizione della città antica (uetus Roma) richiama l’idea di una città caotica, un insieme di edifici e strade che non seguono un piano regolatore razionale, aumentando la vulnerabilità di fronte a un disastro come quello descritto.
Tacito poi passa a descrivere il caos e il terrore tra la popolazione: i lamenti delle donne, le difficoltà degli anziani e dei bambini, e il disordine tra coloro che cercavano di mettere in salvo i propri cari. Il passaggio in cui le persone, nel tentativo di fuggire, si trovano spesso circondate dalle fiamme che avanzano da più lati (lateribus aut fronte circumueniebantur) è particolarmente toccante e trasmette l’idea di una catastrofe senza scampo. Anche coloro che credevano di essere al sicuro scoprono presto che non vi era luogo abbastanza lontano: “persino quelle aree che credevano lontane erano colpite dallo stesso disastro”.
Un altro elemento di rilievo è la disorganizzazione che accompagna il tentativo di fuga: i cittadini, incerti su cosa evitare e dove rifugiarsi (quid uitarent quid peterent), si riversano nelle strade e nei campi, ostacolandosi a vicenda. Tacito usa queste immagini per dipingere un quadro di totale impotenza e disperazione.
Infine, uno degli aspetti più sinistri del racconto è la presenza di individui che, anziché tentare di spegnere le fiamme, contribuiscono a propagarle. Alcuni gettano torce e dichiarano apertamente di farlo per ordine di qualcuno (esse sibi auctorem uociferabantur). Questa frase accenna, senza esplicitare, all’ipotesi che dietro l’incendio vi sia un piano premeditato. Qui Tacito sembra voler insinuare che non solo l’incendio potrebbe essere stato doloso, ma che alcune persone agissero per un ordine superiore, alludendo nuovamente a Nerone. Questo aspetto alimenta il sospetto e il mistero che avvolge l’intera vicenda.
Conclusione:
Tacito, nel descrivere l’incendio di Roma, non si limita a una cronaca dei fatti. Egli intreccia la descrizione dettagliata della catastrofe con sottili allusioni al sospetto di un coinvolgimento imperiale, lasciando trasparire l’atmosfera di terrore e confusione che avvolse la città. Il quadro che emerge è quello di una Roma impreparata, caotica e devastata, con un popolo allo sbando e, forse, vittima non solo della calamità naturale, ma anche di un disegno umano sinistro.