
Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon
28 Dicembre 2019
Seconda parte del Carme dei Sepolcri vv. 91-172
28 Dicembre 2019Nel Canto XVI del Purgatorio, Dante e Virgilio si trovano nel sesto girone del Purgatorio, dove sono puniti gli iracondi. Q
Questo canto si caratterizza per l’intenso buio e fumo che avvolgono la scena, rappresentando metaforicamente l’oscurità e la pesantezza dell’ira e della malizia umana.
Versi 1-3: Dante descrive un’oscurità così densa che non si può paragonare nemmeno all’oscurità infernale o alla notte più priva di stelle. Questo fumo simbolizza l’oscurità interiore e la confusione morale.
Versi 4-6: La guida di Dante, Virgilio, lo aiuta a orientarsi nel buio, proprio come un cieco è guidato da qualcuno per non inciampare. Questo paragone sottolinea l’importanza della guida divina o della saggezza nell’affrontare le difficoltà spirituali.
Versi 7-12: Le voci che Dante sente sono quelle degli spiriti degli iracondi, che pregano per la pace e la misericordia attraverso la ripetizione dell’Agnus Dei (“Agnello di Dio”). Questo riflette il loro pentimento e la loro ricerca di redenzione.
Versi 13-15: Dante chiede conferma al suo maestro se quelle voci appartengano a spiriti e Virgilio conferma che sono spiriti che stanno cercando di liberarsi dall’ira.
Versi 16-21: Una delle voci chiede a Dante chi sia e perché parli come se il tempo per la redenzione non fosse passato. Qui si fa riferimento al fatto che gli spiriti sono nel Purgatorio e stanno cercando di ottenere salvezza.
Versi 22-27: Dante si identifica come un viaggiatore che sta ancora vivendo nel corpo mortale, e spiega che è giunto fin lì a causa delle sofferenze infernali. Richiede quindi agli spiriti di non nascondere la loro identità e di spiegargli come proseguire nel cammino.
Versi 28-30: Marco Lombardo, uno degli spiriti, si rivela a Dante e lo esorta a salire in modo diretto e a pregare per lui quando sarà in cima.
Versi 31-42: Marco Lombardo chiede a Dante di pregare per lui e risponde a Dante che il suo dubbio è legittimo. Marco spiega che sebbene il mondo sembri privo di virtù, la responsabilità non è da attribuire alla natura, ma alla cattiva condotta umana.
Versi 43-51: Marco descrive il mondo come cieco e attribuisce la colpa alla natura umana, che è disposta a seguire ciò che la gratifica senza considerare la guida o le restrizioni necessarie.
Versi 52-57: Marco discute l’importanza delle leggi e dei governanti giusti, sottolineando che la mal condotta del popolo è la vera causa della degenerazione del mondo, piuttosto che una natura corrotta.
Versi 58-63: Analizza la necessità di avere leggi e governanti che possano discernere e mantenere l’ordine. In passato, Roma aveva due sole guide (due solari): una per la via terrena e una per quella divina.
Versi 64-69: Oggi, la cecità dell’umanità è tale che la gente non riesce a vedere la verità e la giusta guida, limitandosi a seguire la nebbia che offusca la visione spirituale.
Versi 70-75: Marco conclude che, per evitare la condanna e raggiungere la salvezza, è necessario avere sia una guida materiale per la prosperità terrena che una guida spirituale per seguire la via giusta.
Versi 76-108: Marco osserva che la vera responsabilità della cattiva condotta del mondo ricade sugli uomini stessi, che devono assumersi la responsabilità delle loro azioni piuttosto che attribuire la colpa a una natura malvagia o al destino. La saggezza e la virtù devono essere ricercate e coltivate attraverso l’uso del libero arbitrio e non lasciate alla mera influenza del cielo o al caso.
Commento
Questo canto mette in luce il tema della responsabilità individuale nel contesto della moralità e della giustizia. Marco Lombardo offre una critica alla società contemporanea di Dante, accusandola di ignorare le leggi morali e di cercare scuse nella divinità o nel destino per i propri fallimenti. La riflessione di Marco è una denuncia della corruzione e dell’ipocrisia che caratterizzano la condotta umana, e invita a una riflessione più profonda sulla responsabilità personale e collettiva nella creazione di una società giusta e virtuosa.
Testo dei versi 49-142 del Canto ventiseiesimo dell’Inferno di Dante e parafrasi
Solo testo:
Buio d’inferno e di notte privata
d’ogne pianeto, sotto pover cielo,
quant’esser può di nuvol tenebrata,3
non fece al viso mio sì grosso velo
come quel fummo ch’ivi ci coperse,
né a sentir di così aspro pelo,6
che l’occhio stare aperto non sofferse;
onde la scorta mia saputa e fida
mi s’accostò e l’omero m’offerse.9
Sì come cieco va dietro a sua guida
per non smarrirsi e per non dar di cozzo
in cosa che ’l molesti, o forse ancida,12
m’andava io per l’aere amaro e sozzo,
ascoltando il mio duca che diceva
pur: “Guarda che da me tu non sia mozzo”.15
Io sentia voci, e ciascuna pareva
pregar per pace e per misericordia
l’Agnel di Dio che le peccata leva.18
Pur ’Agnus Dei’ eran le loro essordia;
una parola in tutte era e un modo,
sì che parea tra esse ogne concordia.21
“Quei sono spirti, maestro, ch’i’ odo?”,
diss’io. Ed elli a me: “Tu vero apprendi,
e d’iracundia van solvendo il nodo”.24
“Or tu chi se’ che ’l nostro fummo fendi,
e di noi parli pur come se tue
partissi ancor lo tempo per calendi?”.27
Così per una voce detto fue;
onde ’l maestro mio disse: “Rispondi,
e domanda se quinci si va sùe”.30
E io: “O creatura che ti mondi
per tornar bella a colui che ti fece,
maraviglia udirai, se mi secondi”.33
“Io ti seguiterò quanto mi lece”,
rispuose; “e se veder fummo non lascia,
l’udir ci terrà giunti in quella vece”.36
Allora incominciai: “Con quella fascia
che la morte dissolve men vo suso,
e venni qui per l’infernale ambascia.39
E se Dio m’ ha in sua grazia rinchiuso,
tanto che vuol ch’i’ veggia la sua corte
per modo tutto fuor del moderno uso,42
non mi celar chi fosti anzi la morte,
ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco;
e tue parole fier le nostre scorte”.45
“Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco;
del mondo seppi, e quel valore amai
al quale ha or ciascun disteso l’arco.48
Per montar sù dirittamente vai”.
Così rispuose, e soggiunse: “I’ ti prego
che per me prieghi quando sù sarai”.51
E io a lui: “Per fede mi ti lego
di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
dentro ad un dubbio, s’io non me ne spiego.54
Prima era scempio, e ora è fatto doppio
ne la sentenza tua, che mi fa certo
qui, e altrove, quello ov’io l’accoppio.57
Lo mondo è ben così tutto diserto
d’ogne virtute, come tu mi sone,
e di malizia gravido e coverto;60
ma priego che m’addite la cagione,
sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;
ché nel cielo uno, e un qua giù la pone”.63
Alto sospir, che duolo strinse in “uhi!”,
mise fuor prima; e poi cominciò: “Frate,
lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.66
Voi che vivete ogne cagion recate
pur suso al cielo, pur come se tutto
movesse seco di necessitate.69
Se così fosse, in voi fora distrutto
libero arbitrio, e non fora giustizia
per ben letizia, e per male aver lutto.72
Lo cielo i vostri movimenti inizia;
non dico tutti, ma, posto ch’i’ ’l dica,
lume v’è dato a bene e a malizia,75
e libero voler; che, se fatica
ne le prime battaglie col ciel dura,
poi vince tutto, se ben si notrica.78
A maggior forza e a miglior natura
liberi soggiacete; e quella cria
la mente in voi, che ’l ciel non ha in sua cura.81
Però, se ’l mondo presente disvia,
in voi è la cagione, in voi si cheggia;
e io te ne sarò or vera spia.84
Esce di mano a lui che la vagheggia
prima che sia, a guisa di fanciulla
che piangendo e ridendo pargoleggia,87
l’anima semplicetta che sa nulla,
salvo che, mossa da lieto fattore,
volontier torna a ciò che la trastulla.90
Di picciol bene in pria sente sapore;
quivi s’inganna, e dietro ad esso corre,
se guida o fren non torce suo amore.93
Onde convenne legge per fren porre;
convenne rege aver, che discernesse
de la vera cittade almen la torre.96
Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
Nullo, però che ‘l pastor che procede,
rugumar può, ma non ha l’unghie fesse;99
per che la gente, che sua guida vede
pur a quel ben fedire ond’ella è ghiotta,
di quel si pasce, e più oltre non chiede.102
Ben puoi veder che la mala condotta
è la cagion che ’l mondo ha fatto reo,
e non natura che ’n voi sia corrotta.105
Soleva Roma, che ’l buon mondo feo,
due soli aver, che l’una e l’altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo.108