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5 Giugno 2025Traccia e svolgimento di una Analisi del testo tratto da Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia
ESAMI DI STATO DI ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE – SESSIONE ORDINARIA 2019
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
PROVA DI ITALIANO
Svolgi la prova, scegliendo tra una delle seguenti proposte.
TIPOLOGIA A – ANALISI E INTERPRETAZIONE DI UN TESTO LETTERARIO ITALIANO
PROPOSTA A2
Autore: Leonardo Sciascia
Opera: Il giorno della civetta
Edizione: ADELPHI, VI edizione gli Adelphi, Milano, gennaio 2004, pp. 7-8
CONTESTO
Nel romanzo di Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, pubblicato nel 1961, il capitano Bellodi indaga sull’omicidio di Salvatore Colasberna, un piccolo imprenditore edile che non si era piegato alla protezione della mafia. Fin dall’inizio le indagini si scontrano con omertà e tentativi di depistaggio; nel brano qui riportato sono gli stessi familiari e soci della vittima, convocati in caserma, a ostacolare la ricerca della verità, lucidamente ricostruita dal capitano.
TESTO
«Per il caso Colasberna» continuò il capitano «ho ricevuto già cinque lettere anonime: per un fatto accaduto l’altro ieri, è un buon numero; e ne arriveranno altre… Colasberna è stato ucciso per gelosia, dice un anonimo: e mette il nome del marito geloso…».
«Cose da pazzi» disse Giuseppe Colasberna.
«Lo dico anch’io» disse il capitano, e continuò «… è stato ucciso per errore, secondo un altro: perché somigliava a un certo Perricone, individuo che, a giudizio dell’informatore anonimo, avrà presto il piombo che gli spetta».
I soci con una rapida occhiata si consultarono.
«Può essere» disse Giuseppe Colasberna.
«Non può essere» disse il capitano «perché il Perricone di cui parla la lettera, ha avuto il passaporto quindici giorni addietro e in questo momento si trova a Liegi, nel Belgio: voi forse non lo sapevate, e certo non lo sapeva l’autore della lettera anonima: ma ad uno che avesse avuto l’intenzione di farlo fuori, questo fatto non poteva sfuggire… Non vi dico di altre informazioni, ancora più insensate di questa: ma ce n’è una che vi prego di considerare bene, perché a mio parere ci offre la traccia buona… Il vostro lavoro, la concorrenza, gli appalti: ecco dove bisogna cercare».
Altra rapida occhiata di consultazione.
«Non può essere» disse Giuseppe Colasberna.
«Sì che può essere» disse il capitano «e vi dirò perché e come. A parte il vostro caso, ho molte informazioni sicure sulla faccenda degli appalti: soltanto informazioni, purtroppo, che se avessi delle prove… Ammettiamo che in questa zona, in questa provincia, operino dieci ditte appaltatrici: ogni ditta ha le sue macchine, i suoi materiali: cose che di notte restano lungo le strade o vicino ai cantieri di costruzione; e le macchine son cose delicate, basta tirar fuori un pezzo, magari una sola vite: e ci vogliono ore o giorni per rimetterle in funzione; e i materiali, nafta, catrame, armature, ci vuole poco a farli sparire o a bruciarli sul posto. Vero è che vicino al materiale e alle macchine spesso c’è la baracchetta con uno o due operai che vi dormono: ma gli operai, per l’appunto, dormono; e c’è gente invece, voi mi capite, che non dorme mai. Non è naturale rivolgersi a questa gente che non dorme per avere protezione? Tanto più che la protezione vi è stata subito offerta; e se avete commesso l’imprudenza di rifiutarla, qualche fatto è accaduto che vi ha persuaso ad accettarla… Si capisce che ci sono i testardi: quelli che dicono no, che non la vogliono, e nemmeno con il coltello alla gola si rassegnerebbero ad accettarla. Voi, a quanto pare, siete dei testardi: o soltanto Salvatore lo era…».
«Di queste cose non sappiamo niente» disse Giuseppe Colasberna: gli altri, con facce stralunate, annuirono.
«Può darsi» disse il capitano «può darsi… Ma non ho ancora finito. Ci sono dunque dieci ditte: e nove accettano o chiedono protezione. Ma sarebbe una associazione ben misera, voi capite di quale associazione parlo, se dovesse limitarsi solo al compito e al guadagno di quella che voi chiamate guardianìa: la protezione che l’associazione offre è molto più vasta. Ottiene per voi, per le ditte che accettano protezione e regolamentazione, gli appalti a licitazione privata; vi dà informazioni preziose per concorrere a quelli con asta pubblica; vi aiuta al momento del collaudo; vi tiene buoni gli operai… Si capisce che se nove ditte hanno accettato protezione, formando una specie di consorzio, la decima che rifiuta è una pecora nera: non riesce a dare molto fastidio, è vero, ma il fatto stesso che esista è già una sfida e un cattivo esempio. E allora bisogna, con le buone o con le brusche, costringerla, ad entrare nel giuoco; o ad uscirne per sempre annientandola…».
Giuseppe Colasberna disse «non le ho mai sentite queste cose» e il fratello e i soci fecero mimica di approvazione.
COMPRENSIONE E ANALISI
Puoi rispondere punto per punto oppure costruire un unico discorso che comprenda le risposte alle domande proposte.
- Sintetizza il contenuto del brano, individuando quali sono le ricostruzioni del capitano e le posizioni degli interlocutori.
- La mafia, nel gioco tra detto e non detto che si svolge tra il capitano e i familiari dell’ucciso, è descritta attraverso riferimenti indiretti e perifrasi: sai fare qualche esempio?
- Nei fratelli Colasberna e nei loro soci il linguaggio verbale, molto ridotto, è accompagnato da una mimica altrettanto significativa, utile a rappresentare i personaggi. Spiega in che modo questo avviene.
- A cosa può alludere il capitano quando evoca «qualche fatto» che serve a persuadere tutte le aziende ad accettare la protezione della mafia? (riga 24)
- La retorica del capitano vuole essere persuasiva, rivelando gradatamente l’unica verità possibile per spiegare l’uccisione di Salvatore Colasberna; attraverso quali soluzioni espressive (ripetizioni, scelte lessicali e sintattiche, pause ecc.) è costruito il discorso?
INTERPRETAZIONE
Nel brano si contrappongono due culture: da un lato quella della giustizia, della ragione e dell’onestà, rappresentata dal capitano dei Carabinieri Bellodi, e dall’altro quella dell’omertà e dell’illegalità; è un tema al centro di tante narrazioni letterarie, dall’Ottocento fino ai nostri giorni, e anche cinematografiche, che parlano in modo esplicito di organizzazioni criminali, o più in generale di rapporti di potere, soprusi e ingiustizie all’interno della società.
Esponi le tue considerazioni su questo tema, utilizzando le tue letture, conoscenze ed esperienze.
SVOLGIMENTO
Comprensione e Analisi
1. Sintesi del contenuto del brano, individuando le ricostruzioni del capitano e le posizioni degli interlocutori.
Il brano de Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia ci presenta un interrogatorio condotto dal Capitano Bellodi ai familiari e soci di Salvatore Colasberna, un imprenditore edile assassinato. Bellodi, fin da subito, si scontra con il muro dell’omertà, espresso dalle reazioni evasive e reticenti degli interlocutori. Il capitano espone lucidamente una serie di false piste, derivanti da lettere anonime che indicano motivazioni futili come la gelosia o lo scambio di persona (l’uccisione per errore di Colasberna al posto di un certo Perricone, prontamente smentita dal capitano che conosce l’alibi del presunto bersaglio). Ogni sua deduzione è accolta da un laconico “Cose da pazzi”, “Può essere” o “Non può essere” da parte di Giuseppe Colasberna e da espressioni di assenso muto degli altri, che rivelano una connivenza passiva con la menzogna. La ricostruzione centrale del capitano, e quella che egli ritiene la “traccia buona”, riguarda invece la dimensione economica e gli appalti, suggerendo che l’omicidio sia legato al rifiuto di Colasberna di piegarsi al sistema della “protezione” mafiosa. Bellodi spiega con precisione i meccanismi di tale “protezione”, che va dal danneggiamento dei mezzi e materiali delle ditte che non accettano, fino al controllo degli appalti pubblici e privati e la gestione della manodopera. A questa chiara e inesorabile verità, i familiari e soci continuano a opporre un ostinato “Di queste cose non sappiamo niente” e mimiche di approvazione, negando l’evidenza per paura o per connivenza, mentre il capitano insiste sulla loro testardaggine (o solo quella di Salvatore) nel resistere al sistema.
2. La mafia, nel gioco tra detto e non detto che si svolge tra il capitano e i familiari dell’ucciso, è descritta attraverso riferimenti indiretti e perifrasi: sai fare qualche esempio?
Nel dialogo, la mafia non viene mai nominata esplicitamente, ma è evocata attraverso una serie di perifrasi e riferimenti indiretti che ne delineano la presenza capillare e il modus operandi. Tra gli esempi più significativi troviamo:
- “C’è gente invece, voi mi capite, che non dorme mai” (riga 23): Questa è una delle espressioni più efficaci, che descrive la vigilanza costante e l’onnipresenza della mafia, sottintendendo la sua capacità di controllo su ogni aspetto della vita economica e sociale. La frase è rivolta direttamente agli interlocutori, con un “voi mi capite” che evidenzia la tacita conoscenza e la paura che lega le vittime al sistema.
- “Non è naturale rivolgersi a questa gente che non dorme per avere protezione?” (riga 23): La “protezione” è la perifrasi per eccellenza della “pizzo” o del controllo mafioso. Non è una protezione offerta per altruismo, ma un’imposizione che, se rifiutata, porta a conseguenze devastanti.
- “Tanto più che la protezione vi è stata subito offerta; e se avete commesso l’imprudenza di rifiutarla, qualche fatto è accaduto che vi ha persuaso ad accettarla…” (righe 24-25): Il “fatto accaduto” allude velatamente a ritorsioni, intimidazioni, danneggiamenti o violenze che spingono le vittime ad accettare la “protezione”.
- “Ma sarebbe una associazione ben misera, voi capite di quale associazione parlo, se dovesse limitarsi solo al compito e al guadagno di quella che voi chiamate guardianìa” (righe 30-32): Il capitano usa il termine generico “associazione” per indicare la mafia, e con “voi capite di quale associazione parlo” ne sottolinea la notorietà e la paura che ne impedisce la nomina esplicita. La “guardianìa” è un eufemismo per la “protezione” che genera il pizzo.
- “se nove ditte hanno accettato protezione, formando una specie di consorzio, la decima che rifiuta è una pecora nera” (righe 34-35): Il “consorzio” è un’altra perifrasi per indicare il controllo mafioso sugli appalti, un’organizzazione coercitiva che impone le proprie regole. La “pecora nera” è colui che si ribella al sistema e che, per questo, deve essere eliminato.
Questi riferimenti indiretti contribuiscono a creare un’atmosfera di minaccia e omertà, tipica dei contesti in cui la mafia opera, dove la paura impedisce di nominare direttamente il nemico, ma se ne avverte costantemente la presenza.
3. Nei fratelli Colasberna e nei loro soci il linguaggio verbale, molto ridotto, è accompagnato da una mimica altrettanto significativa, utile a rappresentare i personaggi. Spiega in che modo questo avviene.
La rappresentazione dei fratelli Colasberna e dei loro soci è magistrale nella sua essenzialità, affidandosi non solo a un linguaggio verbale estremamente ridotto, ma anche a una mimica corporea altamente significativa che ne rivela la paura, la reticenza e la connivenza. Il non detto, in questo caso, è più eloquente del detto.
- “Cose da pazzi” (riga 4): Questa è la prima e più ricorrente espressione di Giuseppe Colasberna. È una frase generica, che non nega né afferma, ma che serve a prendere le distanze dalla realtà scomoda presentata dal capitano, classificandola come “irrazionale” per non affrontarla.
- “Può essere” (riga 8) / “Non può essere” (riga 15): Queste risposte sono altrettanto evasive. “Può essere” è una concessione vaga, un modo per non chiudere la porta al dialogo ma senza assumere alcuna posizione. “Non può essere”, pronunciato in risposta alla verità più scomoda, è un tentativo di negare l’evidenza, di respingere la realtà che li coinvolge.
- “Di queste cose non sappiamo niente” (riga 28) / “non le ho mai sentite queste cose” (riga 38): Queste frasi sono l’apice dell’omertà e della negazione. Non si tratta di ignoranza, ma di una scelta consapevole di non sapere, di non riconoscere, per evitare il coinvolgimento e le conseguenze che ne deriverebbero.
Accanto a queste risposte verbali stringate, Sciascia introduce elementi mimici cruciali:
- “I soci con una rapida occhiata si consultarono.” (righe 7 e 14): Questo dettaglio è fondamentale. L’occhiata rapida, il consultarsi senza parole, indica una tacita intesa, una strategia condivisa di negazione e reticenza. Suggerisce una complicità nel mantenere il segreto o nell’ostacolare l’indagine, frutto di paura o di interesse.
- “gli altri, con facce stralunate, annuirono.” (riga 28): Le “facce stralunate” indicano sorpresa o shock di fronte alla lucidità del capitano, ma il loro “annuire” conferma la loro passiva adesione alla versione di Giuseppe Colasberna, la negazione collettiva.
- “il fratello e i soci fecero mimica di approvazione.” (riga 38): Ancora una volta, la “mimica di approvazione” sostituisce la parola. Essi non osano esprimere a voce il loro accordo con la menzogna o la loro ignoranza forzata, ma lo fanno con un gesto, un cenno, che il capitano sa interpretare come ulteriore conferma della loro omertà.
Questa interazione tra linguaggio verbale scarno e mimica eloquente è un potente mezzo per Sciascia per rappresentare la cultura dell’omertà. I personaggi non hanno bisogno di lunghe frasi per comunicare la loro paura e la loro adesione al sistema; lo fanno attraverso sguardi, cenni e silenzi, che il capitano, osservatore acuto, decifra con precisione. Si crea così un contrasto stridente tra la trasparenza e la logica deduttiva di Bellodi e l’opacità e la reticenza del mondo che egli indaga.
4. A cosa può alludere il capitano quando evoca «qualche fatto» che serve a persuadere tutte le aziende ad accettare la protezione della mafia? (riga 24)
Quando il capitano evoca “qualche fatto è accaduto che vi ha persuaso ad accettarla” (riga 24), egli allude in modo implicito e volutamente vago alle tipiche forme di intimidazione e violenza utilizzate dalla mafia per imporre la propria “protezione” (il pizzo o la richiesta di “guardianìa”). Tali “fatti” possono includere:
- Danneggiamenti ai beni: Incendi dolosi a macchinari, veicoli o materiali edili, distruzione di cantieri o infrastrutture. Il capitano stesso fa riferimento a “le macchine son cose delicate, basta tirar fuori un pezzo, magari una sola vite: e ci vogliono ore o giorni per rimetterle in funzione; e i materiali, nafta, catrame, armature, ci vuole poco a farli sparire o a bruciarli sul posto” (righe 19-21).
- Furti o sparizioni: Sottrazioni di materiali, attrezzi o denaro dalle attività.
- Minacce e intimidazioni: Telefonate minatorie, lettere anonime con minacce esplicite o implicite, “visite” di soggetti intimidatori ai responsabili delle aziende o ai loro familiari.
- Violenze fisiche: Aggressioni personali, percosse o anche, come nel caso di Colasberna, l’omicidio stesso, che serve da “esempio” per gli altri che osassero rifiutare.
Questi “fatti” non sono casuali ma attentamente pianificati e dosati per incutere terrore e dimostrare la capacità dell’organizzazione criminale di colpire impunemente, fino a rendere “naturale” (come sarcasticamente suggerisce il capitano alla riga 23: “Non è naturale rivolgersi a questa gente che non dorme per avere protezione?”) la richiesta di “protezione” come unica via per operare serenamente (o per lo meno, sopravvivere) sul territorio. Sono, in sostanza, le “prove” tangibili e spesso violente che la mafia fornisce della propria “efficacia” nel costringere all’obbedienza.
5. La retorica del capitano vuole essere persuasiva, rivelando gradatamente l’unica verità possibile per spiegare l’uccisione di Salvatore Colasberna; attraverso quali soluzioni espressive (ripetizioni, scelte lessicali e sintattiche, pause ecc.) è costruito il discorso?
Il discorso del Capitano Bellodi è costruito con una retorica mirata a smascherare l’omertà e a condurre gli interlocutori, per quanto reticenti, verso la verità. Bellodi adotta diverse soluzioni espressive che rendono la sua argomentazione lucida, inesorabile e, in definitiva, persuasiva.
- Ripetizioni strategiche: Il capitano utilizza la ripetizione per martellare i concetti chiave e sottolineare l’assurdità delle negazioni degli interlocutori. Esempi lampanti sono le ripetizioni di “Può essere” e “Non può essere” (righe 8-9, 15-16), prima riprese dagli interlocutori e poi ribaltate dal capitano che le usa per affermare l’opposto e smontare le loro argomentazioni. La frase “c’è gente invece, voi mi capite, che non dorme mai” (r. 23) e il successivo riferimento alla “protezione” vengono riproposti con insistenza, per insinuare la consapevolezza che gli interlocutori cercano di nascondere. Anche il riferimento ai “testardi” (r. 25-26) è un’eco che amplifica il senso di sfida e ribellione della vittima.
- Scelte lessicali precise e allusive: Bellodi opta per un lessico che, pur evitando la diretta menzione della mafia, ne evoca costantemente la presenza e le dinamiche. Termini come “protezione”, “guardianìa”, “associazione” (con la precisazione “voi capite di quale associazione parlo”), “consorzio”, “pecora nera”, “costringerla”, “annientandola”, sono perifrasi che delineano il sistema criminale senza nominarlo esplicitamente. Le espressioni “testardi” (r. 25) o “pecora nera” (r. 35) per chi si oppone sono cariche di significato, indicando l’eccezione che deve essere eliminata.
- Sintassi chiara e logica stringente: La sintassi del capitano è prevalentemente paratattica, con frasi brevi e incisive che rendono il suo ragionamento lineare e inconfutabile. Utilizza domande retoriche (“Non è naturale rivolgersi a questa gente che non dorme per avere protezione?”) che non aspettano risposta ma servono a sottolineare l’ovvietà della situazione. L’uso di congiunzioni che introducono una conseguenza (“Tanto più che…”, “Si capisce che…”) rafforza la logica delle sue deduzioni.
- Progressione argomentativa: Il discorso del capitano si sviluppa per gradi. Inizia smontando le false piste (“gelosia”, “errore”), poi introduce la “traccia buona” legata agli appalti, per poi spiegare dettagliatamente il meccanismo della “protezione”, la violenza sottesa (“qualche fatto è accaduto”), la finalità del “consorzio” e le conseguenze per chi non si piega. Questa progressione “a imbuto” mira a chiudere ogni via di fuga agli interlocutori, circondandoli con la logica della verità.
- Contrasto e opposizione: Bellodi crea un forte contrasto tra la sua lucidità investigativa e la reticenza degli interlocutori. Le sue affermazioni sono spesso dirette e contrastanti con le negazioni generiche dei Colasberna (“Non può essere” disse il capitano “perché…”). Questo crea una dinamica di tensione che spinge il lettore a parteggiare per la ragione del capitano.
- Uso delle pause (implicite): Sebbene non siano esplicitamente indicate, le pause nel discorso del capitano sono cruciali. Le puntini di sospensione (“e ne arriveranno altre…”, “ancora più insensate di questa…”) o l’interruzione di un flusso di pensiero che si conclude con un non detto (“se avessi delle prove…”) servono a creare un effetto di sospensione, a lasciare sottintendere minacce o conoscenze ulteriori, aumentando l’inquietudine e la persuasione sull’ineluttabilità della verità.
- L’uso della seconda persona plurale “voi”: Il capitano si rivolge direttamente ai Colasberna, spesso coinvolgendoli (“voi forse non lo sapevate”, “voi mi capite”, “voi, a quanto pare, siete dei testardi”) per evidenziare la loro implicazione e la loro conoscenza tacita dei fatti.
In sintesi, la retorica di Bellodi è un capolavoro di chiarezza e perentorietà, che si avvale di un’abile combinazione di lessico allusivo, sintassi stringente, progressione logica e sottili tecniche di persuasione per penetrare il muro dell’omertà e rivelare la complessa e brutale realtà della mafia.
Interpretazione
Il brano de Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia mette in scena in modo esemplare il conflitto eterno tra la cultura della giustizia, della ragione e dell’onestà, incarnata dal capitano Bellodi, e quella dell’omertà, dell’illegalità e della sottomissione al potere criminale, rappresentata dai familiari e soci di Colasberna. Questo tema, pur essendo qui calato nella specificità della Sicilia e della mafia, è un archetipo narrativo che attraversa la letteratura e il cinema dall’Ottocento ai giorni nostri, toccando corde universali legate ai rapporti di potere, ai soprusi e alle ingiustizie sociali.
La figura del capitano Bellodi è quella dell’eroe solitario, dell’intellettuale razionale che, pur essendo un “continentale” (come lo definisce la narrazione di Sciascia), riesce a leggere la realtà siciliana oltre il velo delle apparenze e delle convenienze. La sua lucida ricostruzione dei fatti, basata sulla logica e sull’analisi dei dati, si scontra con una cultura che preferisce il non detto, il sospetto, la negazione dell’evidenza per paura o per un distorto senso di “onore” e appartenenza. I Colasberna non sono necessariamente complici attivi nel crimine, ma sono vittime di un sistema che li ha piegati all’omertà, scegliendo il silenzio e la finzione per sopravvivere. La loro “mimica di approvazione” e le loro frasi evasive (“Non sappiamo niente”, “Cose da pazzi”) sono il sintomo di una società dove la paura ha spento la voce della verità e della giustizia.
Questa contrapposizione tra bene e male, tra giustizia e prevaricazione, è un leitmotiv innumerevole nelle narrazioni. Pensiamo a capolavori come I Malavoglia di Verga, dove la lotta per la dignità e l’onestà della famiglia si scontra con una realtà economica e sociale spietata e ingiusta, che li annienta progressivamente. O, più direttamente legati alla criminalità organizzata, opere come Gomorra di Roberto Saviano, che svela la brutalità e la pervasività della Camorra, o Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo, che esplora il potere della Banda della Magliana a Roma, evidenziando come la criminalità si intrecci con le istituzioni e corrompa il tessuto sociale.
Il cinema, in particolare, ha esplorato a fondo questo scontro. Film come Il Padrino di Francis Ford Coppola mostrano la seduzione e la brutalità del potere mafioso, ma anche le conseguenze morali sui suoi protagonisti e le vittime. In Italia, opere come Centopassi di Marco Tullio Giordana, che narra la storia di Peppino Impastato, un giovane che sfida apertamente la mafia, o La mafia uccide solo d’estate di Pif, che affronta il tema con un tono agrodolce ma altrettanto incisivo, dimostrano come la lotta alla criminalità sia una battaglia quotidiana che richiede coraggio e la rottura del silenzio.
Al di là della mafia, il tema si estende a ogni forma di rapporto di potere ingiusto e di sopruso. Le ingiustizie sociali, le discriminazioni, le prevaricazioni sul posto di lavoro, le violenze domestiche, sono tutte manifestazioni di quel “non detto” e di quella “omertà” che permettono al sopruso di perpetuarsi. In questi contesti, l’individuo si trova spesso di fronte alla stessa scelta dei Colasberna: piegarsi per sopravvivere o resistere, con il rischio di essere “annientato”. L’onestà, in tali scenari, non è solo un principio morale, ma un atto di resistenza, una scelta difficile che può costare caro.
La lezione di Sciascia, e di tutte queste narrazioni, è che la lotta all’illegalità e all’ingiustizia non può prescindere dalla ricerca della verità e dalla rottura del muro dell’omertà. La ragione, la logica e il coraggio di persone come il capitano Bellodi sono gli unici strumenti per scardinare questi sistemi di potere e restituire dignità alla comunità. L’esperienza personale ci insegna che, anche in situazioni quotidiane, l’omertà, seppur in forme meno drammatiche, può manifestarsi nella paura di denunciare una prepotenza, di schierarsi contro un’ingiustizia, di parlare quando si dovrebbe. Comprendere questi meccanismi è il primo passo per combattere la rassegnazione e promuovere una società basata sulla trasparenza, sul rispetto delle regole e sulla forza della verità.
🎤🎧 Audio Lezioni, ascolta il podcast su Leonardo Sciascia del prof. Gaudio
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