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Scena e contesto
Nel Canto VI dell’Inferno, Dante e Virgilio entrano nel Terzo Cerchio, riservato alle anime dei golosi. Qui, i peccatori non vengono puniti con espiazioni violente, ma con una pena tanto concreta quanto simbolica: sono costretti a giacere nella melma fredda e fetida, sotto una pioggia continua di gelo e grandine.
Il terribile contrappasso
Il contrappasso dei golosi è per analogìa e contrapposizione:
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Analogìa: se in vita si abbandonarono ai piaceri del palato, ora patiscono la melma e l’odore nauseante — il contrario di ogni forma di appagamento.
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Contrapposizione: da creature indifferenti che cercavano cibo e consolazione, diventano figure abbruttite, quasi bestiali.
A sovrintendere questo cerchio c’è Cerbero, cane ferino a tre teste, che ulula furioso e lacera i dannati. Virgilio lo distrae gettandogli terra, e il mostro subito la divora come fosse un pasto.
L’incontro con Ciacco
Tra i dannati, Dante riconosce un anima che si alza dall’acqua fangosa: è Ciacco, un suo concittadino fiorentino. In uno scambio doloroso e breve, Ciacco profetizza gli scontri futuri tra Guelfi e Ghibellini a Firenze e lamenta la perdita dell’unità cittadina. È un prolungamento della riflessione politica di Dante, incarnata in una figura che emerge dal fango.
Il senso profondo della pena
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La pioggia inesauribile rappresenta la smisurata ingordigia: se in vita cercavano di saziarsi, qui sono tormentati da una sorta di sete del piacere che non si placa mai.
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Il fango maleodorante è la giusta punizione per chi ha trasformato gli alimenti in fine di vita.
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I lamenti bestiali e l’immobilità evocano la bestialità del peccato, l’assenza di dignità.
Perché questo canto parla ancora oggi
“La pena dei golosi” ci ricorda che i piaceri, se smascherati dalla misura, possono ridurci a forme indistinte del nostro stesso desiderio. Dante non demonizza con forza, ma mostra la tragica conseguenza umana del cercare senso solo nel corpo e nei piaceri fugaci. Nella poesia, il peccato si rivela come stato della mente, non solo azione.
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