Turno irrompe nel campo troiano Eneide IX 672-761
28 Dicembre 2019Il ricordo di Marcel Proust
28 Dicembre 20191942. Joseph, un bambino ebreo di sette anni, viene separato dalla sua famiglia. Viene accolto da padre Pons, un uomo semplice e giusto, che intende salvare non solo la vita di Giuseppe ma anche la sua identità, come Noè, di fronte a un mondo minacciato da un diluvio di violenza. Un romanzo commovente, che ha reso Eric-Emmanuel Schmitt uno dei romanzieri francesi più letti al mondo.
La vita spensierata di Joseph, sei anni, a Bruxelles, viene sconvolta quando sua madre sente le voci di un imminente rastrellamento nazista di famiglie ebree nel quartiere. Una via di fuga si presenta sotto forma dell’astuto ed eccentrico prete cattolico, padre Pons, che procura documenti falsi per consentire a Joseph di essere nascosto in un orfanotrofio, la Villa Jaune.
Questo breve romanzo fa parte di una serie, “Il ciclo dell’invisibile”, che esplora temi religiosi dal punto di vista di un bambino, in questo caso i legami tra cristianesimo ed ebraismo in una situazione in cui i seguaci del primo stanno perpetrando i terribili crimini del Shoah, o genocidio, contro quest’ultimo.
Ciò che potrebbe rivelarsi insopportabilmente cupo è lievitato dalla fertile immaginazione e dallo spirito asciutto dell’autore, come quando padre Pons riflette se sarebbe stato meglio per lui essere ebreo, inducendo Joseph a insistere: “Rimani cristiano, non ti rendi conto di quanto sei fortunato Sono!” Il prete spiega che l’insistenza ebraica sul rispetto è più pratica dell’enfasi cristiana sull’amore, chiedendo: “Porgeresti l’altra guancia a Hitler?”
Nonostante la popolarità diffusa dei romanzi e dei racconti di Eric-Emmanuel Schmitt, mi ritrovo in accordo con un recensore che suggerisce che l’autore abbia aumentato le sue vendite producendo romanzi brevi di meno di cento pagine, con temi strappalacrime, lasciando il lettore schiacciato sotto una “valanga” di meritevoli sentimenti, con un vago senso di colpa per aver espresso critiche in proposito.
Forse perché l’ho letto in un’edizione francese pensata per gli studenti, con parole “ingannevoli” definite, domande di comprensione e analisi di fondo, questo mi sembra un libro scritto per gli adolescenti, per sensibilizzarli sull’Olocausto e coglierne l’impatto su coloro che sopravvissuto. Soprattutto se viste da una prospettiva adulta, alcune scene appaiono troppo inverosimili, come l’inverosimile piano del prete per nascondere i bambini ebrei quando la Gestapo finalmente venne ad arrestarli. Alcune descrizioni sembrano troppo esagerate come nella descrizione iniziale dello stato precario delle calzature di Giuseppe.
Nonostante la sua comprensibile ingenuità, Joseph sembra spesso troppo avanzato per la sua età, poiché interpreta il ruolo di confidente di padre Pons e mentore per il barcollante Rudy, anche se ha dieci anni meno di Rudy. Il rapporto di Giuseppe con il prete a volte sembra troppo sdolcinato e sentimentale.
La parte più interessante del romanzo per me è stata la parte finale con il suo focus sui problemi inaspettati di affrontare l’improvvisa libertà di liberazione, e i problemi di tornare a una vita familiare “normale” e passare da un presunto cristiano a un praticare la vita ebraica. Purtroppo la sezione finale appare troppo frettolosa e poco sviluppata, come se l’autore fosse ansioso di passare a un altro progetto. Il dispositivo di Joseph che alla fine segue le orme di padre Pons, segnando l’odierno conflitto israelo-palestinese raccogliendo due oggetti – una kippah ebraica e una sciarpa araba lasciati dopo un combattimento – è un po’ banale, ma crea un finale pulito.
Ho trovato il tono dell’autore in un’intervista che concludeva la mia edizione un po’ condiscendente e pretenzioso: “il romanziere fa un patto con il lettore, gli dice ‘ti interesserò, ti prenderò per mano e ti condurrò in un viaggio che non farai senza di me; incontrerai luoghi nuovi, sconosciuti, che forse ti spaventano, ma abbi fiducia, non lascerò la tua mano e forse mi ringrazierai al tuo arrivo. Coraggioso, delicato e fermo, tale deve essere la presa del narratore.’”
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