
Pessimismo eroico e opere scritte a Firenze e Napoli da Leopardi
28 Dicembre 2019
Lettura e commento di due poesie di Leopardi: La quiete dopo la tempesta e Il saba…
28 Dicembre 2019Analisi, parafrasi e testo del “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” di Giacomo Leopardi
Il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” è uno dei componimenti più profondi e filosofici di Giacomo Leopardi , incluso nella raccolta Canti . Scritto tra il 1829 e il 1830, questo canto riflette la visione pessimistica della vita umana che caratterizza la poetica leopardiana. Attraverso il dialogo immaginario tra un pastore solitario e la luna, Leopardi esplora temi universali come il senso della vita, la sofferenza umana, il rapporto tra uomo e natura, e il mistero della morte.
Di seguito, analizziamo il testo in dettaglio, esaminando le sue parti principali, i temi trattati e il commento critico.
Struttura e Organizzazione
Il componimento è composto da versi sciolti , ovvero endecasillabi non rimati, che conferiscono fluidità e naturalità al flusso narrativo. La struttura è articolata e segue una progressione logica:
- Prima parte (vv. 1-30) : Il pastore interroga la luna sul significato della sua esistenza e su quella degli uomini, sottolineando la monotonia e l’inutilità della vita.
- Seconda parte (vv. 31-75) : Riflessione sulla condizione umana, caratterizzata dalla fatica, dal dolore e dall’inevitabilità della morte.
- Terza parte (vv. 76-140) : Meditazione sul mistero dell’universo e sul contrasto tra la conoscenza limitata dell’uomo e quella infinita della luna.
- Conclusione (vv. 141-170) : Ennesimo confronto tra il pastore e la greggia, che simboleggia l’innocenza e la serenità animale, mentre l’uomo è condannato alla consapevolezza dolorosa.
Parafrasi
Prima Parte (vv. 1-30)
Il pastore si rivolge alla luna, chiedendole perché continui a percorrere lo stesso cammino nel cielo, contemplando deserti e valli. Egli paragona la vita della luna alla propria: entrambe sembrano ripetitive e prive di scopo. Anche il pastore, come la luna, vive una routine monotona, senza speranza o soddisfazione.
Seconda Parte (vv. 31-75)
La vita umana è descritta come una continua fatica, piena di sofferenze e privazioni. Un vecchio, simbolo dell’esistenza umana, affronta ostacoli insormontabili fino a raggiungere un abisso, dove tutto finisce. La nascita stessa è vista come un rischio di morte, e la vita è costellata di dolore e consolazioni illusorie. Perché, allora, gli uomini continuano a vivere?
Terza Parte (vv. 76-140)
Il pastore ammette che la luna, essendo immortale, comprende il senso dell’esistenza terrena meglio di lui. Egli riflette sul mistero dell’universo, sulle stelle, sul tempo infinito e sul vuoto cosmico. Nonostante l’immensità delle domande, l’uomo non riesce a trovare risposte, mentre la luna sembra custodire tutti i segreti.
Conclusione (vv. 141-170)
Il pastore invidia la greggia, che vive senza noia né consapevolezza del proprio stato. L’uomo, invece, è tormentato dal tedio e dalla ricerca di un significato. Se solo avesse ali per volare tra le nuvole o contare le stelle, forse sarebbe più felice. Tuttavia, conclude che forse ogni forma di vita è destinata alla sofferenza sin dalla nascita.
Analisi Dettagliata
(a) Simbolismo e Immagini
- La luna : Rappresenta l’immortalità e la saggezza cosmica. È un simbolo di distacco e indifferenza verso le sofferenze umane.
- Il vecchio : Incarna la condizione umana, caratterizzata dalla fatica, dalla sofferenza e dall’inevitabilità della morte.
- La greggia : Simboleggia l’innocenza e la semplicità animale, contrapposta alla consapevolezza dolorosa dell’uomo.
- L’universo : È presentato come un mistero infinito, che suscita domande irrisolvibili nell’animo umano.
(b) Temi Principali
- Senso della Vita : Il pastore si interroga sul significato della vita umana, che appare futile e dolorosa.
- Fragilità Umana : La vita è caratterizzata dalla sofferenza, dalla consapevolezza della morte e dalla ricerca di un senso.
- Contrasto tra Uomo e Natura : Mentre gli animali vivono in pace, l’uomo è tormentato dal pensiero e dalla consapevolezza.
- Mistero dell’Universo : L’infinità del cosmo e il silenzio della luna rappresentano l’impossibilità di comprendere il disegno divino o naturale.
- Invidia per l’Innocenza Animale : La greggia è vista come un modello di serenità, poiché ignora il peso della consapevolezza.
(c) Linguaggio e Stile
- Tono Malinconico : Il linguaggio è semplice ma evocativo, trasmettendo un profondo senso di tristezza e riflessione.
- Immagini Vivide : Aggettivi come “silenziosa”, “solitaria” e “muta” creano un quadro vivido della scena naturale e delle emozioni del pastore.
- Domande Retoriche : Le domande poste dal pastore (“Che fa l’aria infinita? Che vuol dir questa / solitudine immensa?”) enfatizzano il senso di inquietudine e ricerca di significato.
Commento Critico
Il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” è un capolavoro della poesia italiana che combina riflessione filosofica e descrizione naturale. Attraverso immagini vivide e un linguaggio evocativo, Leopardi esplora il rapporto tra uomo e natura, felicità e dolore, vita e morte. La poesia rimane un invito a riflettere sul senso del tempo, della memoria e della condizione umana.
La poesia si distingue per il suo equilibrio tra idillio e malinconia. Da un lato, la scena naturale è dipinta con toni sereni e idilliaci, evocando un mondo di pace e armonia. Dall’altro, la riflessione finale introduce una nota amara, ricordando che ogni felicità è destinata a svanire. Questo contrasto tra gioia e dolore riflette la visione pessimistica di Leopardi, secondo cui l’uomo è condannato a soffrire a causa della consapevolezza della propria finitezza.
Il dialogo immaginario con la luna aggiunge una dimensione universale al componimento, invitando il lettore a riflettere sul senso del tempo, della memoria e della condizione umana. La poesia rimane un invito a godere del presente, pur consapevoli della sua inevitabile transitorietà.
Conclusione
Il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” è un capolavoro della letteratura italiana che combina abilmente descrizione naturalistica e riflessione filosofica. Attraverso immagini vivide e un linguaggio evocativo, Leopardi esplora il rapporto tra giovinezza e maturità, felicità e dolore, vita e morte. La poesia rimane un invito a riflettere sul senso del tempo, della memoria e della condizione umana, lasciando un’impronta indelebile nel cuore del lettore. 😊
Testo della poesia “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
la vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
move la greggia oltre pel campo, e vede
greggi, fontane ed erbe;
poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
al pastor la sua vita,
la vostra vita a voi? dimmi: ove tende
questo vagar mio breve,
il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
mezzo vestito e scalzo,
con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
al vento, alla tempesta, e quando avvampa
l’ora, e quando poi gela,
corre via, corre, anela,
varca torrenti e stagni,
cade, risorge, e più e più s’affretta,
Senza posa o ristoro,
lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
colà dove la via
e dove il tanto affaticar fu volto:
abisso orrido, immenso,
ov’ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
è la vita mortale.
Nasce l’uomo a fatica,
ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
per prima cosa; e in sul principio stesso
la madre e il genitore
il prende a consolar dell’esser nato.
Poi che crescendo viene,
l’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
con atti e con parole
studiasi fargli core,
e consolarlo dell’umano stato:
altro ufficio più grato
non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
perché reggere in vita
chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
è lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
e forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
che sì pensosa sei, tu forse intendi,
questo viver terreno,
il patir nostro, il sospirar, che sia;
che sia questo morir, questo supremo
scolorar del sembiante,
e perir dalla terra, e venir meno
ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
il perché delle cose, e vedi il frutto
del mattin, della sera,
del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
rida la primavera,
a chi giovi l’ardore, e che procacci
il verno co’ suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
che son celate al semplice pastore.
Spesso quand’io ti miro
star così muta in sul deserto piano,
che, in suo giro lontano, al ciel confina;
ovver con la mia greggia
seguirmi viaggiando a mano a mano;
e quando miro in cielo arder le stelle;
dico fra me pensando:
a che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
infinito seren? che vuol dir questa
solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono e della stanza
smisurata e superba,
e dell’innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
d’ogni celeste, ogni terrena cosa,
girando senza posa,
per tornar sempre là donde son mosse;
uso alcuno, alcun frutto
indovinar non so. Ma tu per certo,
giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
che degli eterni giri,
che dell’esser mio frale,
qualche bene o contento
avrà fors’altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
non sol perché d’affanno
quasi libera vai;
ch’ogni stento, ogni danno,
ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,
tu se’ queta e contenta;
e gran parte dell’anno
senza noia consumi in quello stato.
ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,
e un fastidio m’ingombra
la mente, ed uno spron quasi mi punge
sì che, sedendo, più che mai son lunge
da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
e non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
o greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
dimmi: perché giacendo
a bell’agio, ozioso,
s’appaga ogni animale;
me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s’avess’io l’ale
sa volar su le nubi,
e noverar le stelle ad una ad una,
o come il tuono errar di giogo in giogo ,
più felice sarei, dolce mia greggia,
più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
stato che sia, dentro covile o cuna,
è funesto a chi nasce il dì natale.