
Declinazioni particolari, antecedente pronominale e prolessi del relativo latino
28 Dicembre 2019
La morte di Palinuro Eneide, V, vv. 816-871
28 Dicembre 2019Analisi e testo del Canto ventiquattresimo del Paradiso
Analisi: Paradiso, Canto XXIV di Dante Alighieri
Il Canto XXIV del Paradiso è di fondamentale importanza nel viaggio di Dante, poiché segna l’inizio dell’esame del poeta sulle virtù teologali (Fede, Speranza, Carità). In questo canto, nel cielo delle Stelle Fisse, San Pietro Apostolo esamina Dante sulla Fede, un momento cruciale che verifica la preparazione dottrinale e spirituale del pellegrino prima di procedere verso i cieli più alti. Il canto è un’esemplare dimostrazione della dottrina cristiana attraverso un dialogo serrato e illuminante.
1. L’Invocazione di Beatrice e la Gioia dei Beati (vv. 1-18)
Il canto si apre con la preghiera di Beatrice ai beati del cielo del Sole (il “sodalizio eletto”), affinché concedano a Dante di “prelibare” (assaggiare) la loro conoscenza prima della morte.
«O sodalizio eletto a la gran cena del benedetto Agnello, il qual vi ciba sì, che la vostra voglia è sempre piena, se per grazia di Dio questi preliba di quel che cade de la vostra mensa, prima che morte tempo li prescriba, ponete mente a l’affezione immensa e roratelo alquanto: voi bevete sempre del fonte onde vien quel ch’ei pensa». (vv. 1-9)
Beatrice chiede ai beati di illuminare Dante, poiché essi attingono direttamente dalla fonte della verità divina. Le anime rispondono con gioia, formando sfere luminose che si muovono come comete e ingranaggi di orologi, con velocità diverse ma armoniose.
Cerchi di luce in movimento.
Così Beatrice; e quelle anime liete si fero spere sopra fissi poli, fiammando, volte, a guisa di comete. E come cerchi in tempra d’orïuoli si giran sì, che ’l primo a chi pon mente quïeto pare, e l’ultimo che voli; così quelle carole, differente- mente danzando, de la sua ricchezza mi facieno stimar, veloci e lente. (vv. 10-18)
2. L’Apparizione di San Pietro e la Sua Richiesta (vv. 19-45)
Da una delle luci più splendenti, quella di San Pietro, si stacca un fuoco luminoso che si muove intorno a Beatrice con un canto indescrivibile per la sua divinità.
Di quella ch’io notai di più carezza vid’ ïo uscire un foco sì felice, che nullo vi lasciò di più chiarezza; e tre fïate intorno di Beatrice si volse con un canto tanto divo, che la mia fantasia nol mi ridice. (vv. 19-24)
Dante stesso ammette l’impossibilità di descrivere tale bellezza, sottolineando i limiti del linguaggio umano di fronte al divino.
Una figura luminosa che ruota attorno a un’altra.
San Pietro si rivolge a Beatrice, esprimendo la sua gioia per la richiesta di esaminare Dante. Beatrice, a sua volta, chiede a San Pietro, colui a cui Cristo lasciò le “chiavi” del Paradiso, di esaminare Dante sulla Fede.
«O santa suora mia che sì ne prieghe divota, per lo tuo ardente affetto da quella bella spera mi disleghe». Poscia fermato, il foco benedetto a la mia donna dirizzò lo spiro, che favellò così com’ i’ ho detto. Ed ella: «O luce etterna del gran viro a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi, ch’ei portò giù, di questo gaudio miro, tenta costui di punti lievi e gravi, come ti piace, intorno de la fede, per la qual tu su per lo mare andavi. (vv. 27-39)
Beatrice spiega che, sebbene San Pietro conosca già la fede di Dante (poiché vede tutto in Dio), è importante che Dante stesso ne parli per glorificare la fede che ha reso gli uomini “civi” (cittadini) di questo regno.
San Pietro con le chiavi del Paradiso.
3. L’Esame sulla Fede: Definizione e Sostanza (vv. 46-78)
Dante si prepara all’esame come un “baccialier” (studente) che si arma di ragioni prima che il maestro proponga la questione.
Sì come il baccialier s’arma e non parla fin che ’l maestro la question propone, per approvarla, non per terminarla, così m’armava io d’ogne ragione mentre ch’ella dicea, per esser presto a tal querente e a tal professione. (vv. 46-51)
San Pietro pone la prima domanda diretta: “Fede che è?”. Dante, dopo aver invocato la Grazia divina, risponde con la definizione di San Paolo (Lettera agli Ebrei, XI, 1):
«Dì, buon Cristiano, fatti manifesto: fede che è?». Ond’ io levai la fronte in quella luce onde spirava questo; poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte sembianze femmi perch’ ïo spandessi l’acqua di fuor del mio interno fonte. «La Grazia che mi dà ch’io mi confessi», comincia’ io, «da l’alto primipilo, faccia li miei concetti bene espressi». E seguitai: «Come ’l verace stilo ne scrisse, padre, del tuo caro frate che mise teco Roma nel buon filo, fede è sustanza di cose sperate e argomento de le non parventi; e questa pare a me sua quiditate». (vv. 52-66)
Dante definisce la fede come “sustanza di cose sperate e argomento de le non parventi” (sostanza di cose sperate e prova di quelle non visibili). San Pietro approva e chiede a Dante di spiegare perché la fede sia “sostanza” e “argomento”.
Allora udi’: «Dirittamente senti, se bene intendi perché la ripuose tra le sustanze, e poi tra li argomenti». E io appresso: «Le profonde cose che mi largiscon qui la lor parvenza, a li occhi di là giù son sì ascose, che l’esser loro v’è in sola credenza, sopra la qual si fonda l’alta spene; e però di sustanza prende intenza. E da questa credenza ci convene silogizzar, sanz’ avere altra vista: però intenza d’argomento tene». (vv. 67-78)
Dante spiega che le realtà celesti sono nascoste agli occhi terreni e la loro esistenza è solo oggetto di fede (“in sola credenza”), su cui si fonda la speranza (per questo è “sustanza”). Inoltre, da questa credenza si può “silogizzar” (ragionare), anche senza vederle, e per questo è “argomento”. San Pietro elogia la chiarezza della sua risposta.
Una bilancia con due piatti, uno con “speranza” e l’altro con “non visibile”, che illustra il concetto di fede come “sustanza di cose sperate e argomento de le non parventi”.
4. L’Origine della Fede e la Prova dei Miracoli (vv. 79-111)
San Pietro prosegue l’esame chiedendo a Dante da dove gli sia venuta questa “cara gioia” (la fede).
Allora udi’: «Se quantunque s’acquista giù per dottrina, fosse così ’nteso, non lì avria loco ingegno di sofista». Così spirò di quello amore acceso; indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa d’esta moneta già la lega e ’l peso; ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa». Ond’ io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda, che nel suo conio nulla mi s’inforsa». (vv. 79-87)
Dante risponde che la fede gli è stata infusa dalla “larga ploia de lo Spirito Santo”, diffusa nelle “vecchie e nuove cuoia” (l’Antico e il Nuovo Testamento).
Appresso uscì de la luce profonda che lì splendeva: «Questa cara gioia sopra la quale ogne virtù si fonda, onde ti venne?». E io: «La larga ploia de lo Spirito Santo, ch’è diffusa in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia, è silogismo che la m’ha conchiusa acutamente sì, che ’nverso d’ella ogne dimostrazion mi pare ottusa». (vv. 88-96)
San Pietro chiede poi perché Dante consideri la Scrittura come “divina favella” (rivelazione divina). Dante risponde che la prova sono i miracoli compiuti, che la natura non potrebbe mai realizzare.
Io udi’ poi: «L’antica e la novella proposizion che così ti conchiude, perché l’hai tu per divina favella?». E io: «La prova che ’l ver mi dischiude, son l’opere seguite, a che natura non scalda ferro mai né batte incude». (vv. 97-102)
San Pietro lo incalza: chi assicura che quei miracoli siano avvenuti, se non la stessa Scrittura che si vuole provare? Dante risponde con un argomento potente: la conversione del mondo al Cristianesimo, avvenuta senza miracoli (o con miracoli così grandi da non essere eguagliabili), è di per sé un miracolo.
Risposto fummi: «Dì, chi t’assicura che quell’ opere fosser? Quel medesmo che vuol provarsi, non altri, il ti giura». «Se ’l mondo si rivolse al cristianesmo», diss’ io, «sanza miracoli, quest’ uno è tal, che li altri non sono il centesmo: ché tu intrasti povero e digiuno in campo, a seminar la buona pianta che fu già vite e ora è fatta pruno». (vv. 103-111)
Dante sottolinea che la Chiesa, fondata da San Pietro “povero e digiuno”, ha convertito il mondo, ma ora è diventata “pruno” (corrotta).
Una Bibbia aperta con luce che ne emana, che simboleggia la “larga ploia de lo Spirito Santo” attraverso le Scritture.
5. La Lode Celeste e la Professione di Fede (vv. 112-147)
Dopo questa risposta, l’intera corte celeste risuona di un “Dio laudamo” (Te Deum), cantato con la melodia paradisiaca.
Finito questo, l’alta corte santa risonò per le spere un ’Dio laudamo’ ne la melode che là sù si canta. (vv. 112-114)
San Pietro riprende l’esame, invitando Dante a esprimere ciò che crede e da dove deriva la sua credenza.
E quel baron che sì di ramo in ramo, essaminando, già tratto m’avea, che a l’ultime fronde appressavamo, ricominciò: «La Grazia, che donnea con la tua mente, la bocca t’aperse infino a qui come aprir si dovea, sì ch’io approvo ciò che fuori emerse; ma or convien espremer quel che credi, e onde a la credenza tua s’offerse». (vv. 115-123)
Dante, con umiltà e fervore, pronuncia la sua professione di fede nel Dio Trino e Uno.
«O santo padre, e spirito che vedi ciò che credesti sì, che tu vincesti ver’ lo sepulcro più giovani piedi», comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti la forma qui del pronto creder mio, e anche la cagion di lui chiedesti. E io rispondo: Io credo in uno Dio solo ed etterno, che tutto ’l ciel move, non moto, con amore e con disio; (vv. 124-132)
Dante afferma di credere in un solo Dio eterno, motore immobile dell’universo, che muove tutto con amore e desiderio. Le prove di questa fede non sono solo fisiche e metafisiche, ma soprattutto la verità che “piove” dalle Scritture (Mosè, i profeti, i salmi, i Vangeli) e dagli Apostoli.
e a tal creder non ho io pur prove fisice e metafisice, ma dalmi anche la verità che quinci piove per Moïsè, per profeti e per salmi, per l’Evangelio e per voi che scriveste poi che l’ardente Spirto vi fé almi; (vv. 133-138)
Infine, professa la sua fede nella Trinità: tre persone eterne in una sola essenza, che “soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este'” (cioè si può dire “sono” al plurale e “è” al singolare).
e credo in tre persone etterne, e queste credo una essenza sì una e sì trina, che soffera congiunto ’sono’ ed ’este’. De la profonda condizion divina ch’io tocco mo, la mente mi sigilla più volte l’evangelica dottrina. Quest’ è ’l principio, quest’ è la favilla che si dilata in fiamma poi vivace, e come stella in cielo in me scintilla». (vv. 139-147)
Questa è la “favilla” (scintilla) della sua fede, che si dilata in fiamma e scintilla in lui come una stella.
Simbolo della Trinità.
6. La Benedizione di San Pietro (vv. 148-154)
San Pietro, come un signore che accoglie un servo con una buona notizia, benedice Dante cantando e lo cinge per tre volte, segno di piena approvazione.
Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace, da indi abbraccia il servo, gratulando per la novella, tosto ch’el si tace; così, benedicendomi cantando, tre volte cinse me, sì com’ io tacqui, l’appostolico lume al cui comando io avea detto: sì nel dir li piacqui! (vv. 148-154)
Una mano che benedice.
7. Temi Principali
- La Fede: Il tema centrale del canto, esplorato nella sua definizione, origine e fondamento. È presentata come una virtù essenziale per la salvezza e per la comprensione della realtà divina.
- La Dottrina Cattolica: Il canto è una vera e propria catechesi sulla fede, che ripercorre i suoi fondamenti scritturali e teologici.
- La Prova della Fede: L’esame di San Pietro è una verifica della preparazione intellettuale e spirituale di Dante, necessaria per la sua ascesa.
- Miracoli e Conversione del Mondo: La conversione del mondo al Cristianesimo, avvenuta senza l’uso della forza, è presentata come il più grande dei miracoli, prova della verità della fede.
- La Corruzione della Chiesa: La critica alla Chiesa contemporanea, che da “vite” (vite feconda) è diventata “pruno” (sterile e corrotta), è un tema ricorrente nella Commedia.
- Luce e Conoscenza: La luce è simbolo della conoscenza divina, che illumina la mente di Dante e gli permette di esprimere concetti profondi.
- La Grazia Divina: È la Grazia che permette a Dante di rispondere correttamente e di superare l’esame.
8. Stile e Linguaggio
- Tono Didattico e Dottrinale: Il canto ha un forte carattere didascalico, con un linguaggio preciso e argomentativo, tipico di un’esposizione teologica.
- Struttura Dialogica: L’esame si sviluppa attraverso un dialogo serrato tra San Pietro e Dante, con domande e risposte che scandiscono il percorso argomentativo.
- Similitudini: Numerose e significative, come i cerchi degli orologi, il baccelliere che si arma, il signore che accoglie il servo.
- Linguaggio Teologico: Uso di termini specifici della dottrina cristiana (“Agnello”, “Grazia”, “primipilo”, “sustanza”, “argomento”, “silogismo”, “Trino e Uno”, “essenza”, “persone etterne”).
- Impossibilità del Linguaggio Umano: Dante ammette i limiti della sua fantasia e della sua penna nel descrivere la bellezza del canto divino.
- Terzine Incatenate: La forma metrica è quella dell’intera Commedia.
Conclusione
Il Canto XXIV del Paradiso è un pilastro dottrinale della Divina Commedia. Attraverso l’esame di San Pietro, Dante non solo dimostra la sua profonda conoscenza della fede cattolica, ma ne riafferma i fondamenti, dalla definizione paolina alla prova dei miracoli e alla professione di fede trinitaria. Il canto sottolinea l’importanza della fede come via per la salvezza e come principio di conoscenza delle realtà divine. L’approvazione finale di San Pietro non è solo un riconoscimento della preparazione di Dante, ma un’investitura che lo abilita a proseguire il suo viaggio verso la visione beatifica, con la consapevolezza che la sua missione di testimone della verità è saldamente fondata sulla roccia della fede.
Testo originale di Paradiso, Canto XXIV di Dante Alighieri
Dante Alighieri – Divina Commedia
Paradiso – Canto XXIV (vv. 1-154)
(Esame sulla fede: San Pietro interroga Dante, che dimostra la sua ortodossia cattolica)
Testo con ripartizioni
1. Invocazione ai beati (vv. 1-18)
1-9
«O sodalizio eletto a la gran cena
del benedetto Agnello…
ponete mente a l’affezione immensa
e roratelo alquanto…»
-
Beatrice chiede ai beati di illuminare Dante sulla fede, come una rugiada (“roratelo”).
-
Metafora eucaristica: L’”Agnello” (Cristo) nutre i beati alla “gran cena” del Paradiso.
10-18
(I beati danzano come comete e orologi:)
«si fero spere sopra fissi poli…
così quelle carole, differente-
mente danzando…»
-
Similitudini:
-
Comete (v. 12): Movimento circolare delle anime.
-
Orologi (vv. 13-15): Armonia cosmica.
-
2. Apparizione di San Pietro (vv. 19-45)
19-27
(Un fuoco luminoso (San Pietro) si avvicina a Beatrice:)
«Di quella ch’io notai di più carezza
vid’ ïo uscire un foco sì felice…
si volse con un canto tanto divo…»
-
Luce ineffabile: Dante non può descriverne la bellezza (“l’imagine… è troppo color vivo”).
28-45
(San Pietro accetta di esaminare Dante sulla fede:)
«O santa suora mia…
tenta costui di punti lievi e gravi…
per la qual tu su per lo mare andavi.»
-
Riferimenti biblici:
-
“Chiavi” (v. 35): Simbolo dell’autorità petrina (Matteo 16:19).
-
“Su per lo mare” (v. 39): Allusione a Pietro che cammina sulle acque (Matteo 14:29).
-
3. Esame sulla fede (vv. 46-154)
A. Definizione di fede (vv. 46-72)
46-54
(Dante, come un “baccialier” (studente), si prepara all’esame:)
«Sì come il baccialier s’arma e non parla…
così m’armava io d’ogne ragione…»
-
Metafora scolastica: Dante è lo studente, Pietro il maestro.
55-63
(Pietro chiede: “Fede che è?” Dante risponde con San Paolo:)
«fede è sustanza di cose sperate
e argomento de le non parventi…»
(Ebrei 11:1, citato da Paolo)
64-72
(Spiegazione teologica:)
«l’esser loro v’è in sola credenza…
però intenza d’argomento tene.»
-
Filosofia: La fede è sia sostanza (fondamento) che argomento (prova logica).
B. Origine della fede (vv. 73-96)
73-81
(Pietro approva e chiede se Dante possiede questa fede:)
«Assai bene è trascorsa
d’esta moneta già la lega e ’l peso…
Ond’ io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda…»
-
Metafora monetaria: La fede come moneta pura (“lucida e tonda”).
82-96
(Dio è la fonte della fede, dimostrata dai miracoli:)
«La larga ploia de lo Spirito Santo…
son l’opere seguite, a che natura
non scalda ferro mai né batte incude.»
-
Miracoli: Prove della verità cristiana (es. conversione del mondo “sanza miracoli”).
C. Professione di fede (vv. 97-147)
97-111
(Dante recita il Credo in forma poetica:)
«Io credo in uno Dio
solo ed etterno…
per Moïsè, per profeti e per salmi…»
-
Fonti della rivelazione:
-
Antico Testamento (Mosè, profeti).
-
Nuovo Testamento (Vangeli, scritti apostolici).
-
112-120
(La Trinità:)
«e credo in tre persone etterne…
che soffera congiunto ’sono’ ed ’este’.»
-
Teologia trinitaria: Unità nell’essenza (“una e trina”), con gioco linguistico sui verbi.
121-129
(Conclusione mistica:)
«Quest’ è ’l principio, quest’ è la favilla
che si dilata in fiamma poi vivace…»
-
Metafora del fuoco: La fede come scintilla divina.
D. Approvazione di San Pietro (vv. 130-154)
130-138
(Pietro abbraccia Dante, soddisfatto:)
«Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace…
tre volte cinse me…
sì nel dir li piacqui!»
-
Similitudine feudale: Pietro come signore che premia il vassallo fedele.
139-147
(I beati cantano in coro:)
«Finito questo, l’alta corte santa
risonò per le spere un ’Dio laudamo’…»
-
Glorificazione finale: Il canto dei beati conferma l’ortodossia di Dante.
Temi principali
-
Fede come conoscenza e virtù: Combinazione di ragione (silogismi) e grazia divina.
-
Autorità della Chiesa: San Pietro, primo papa, legittima la dottrina di Dante.
-
Missione poetica: La Commedia è strumento di verità teologica.
Figure retoriche
-
Metafore: Moneta (vv. 73-78), fuoco (vv. 121-123), rugiada (v. 9).
-
Citazioni bibliche: Ebrei 11:1 (v. 64), Matteo 16:19 (v. 35).
-
Latinismi: “Dio laudamo” (v. 139), “silogismo” (v. 87).
Contesto dottrinale
-
Controversie medievali: Dante difende la fede contro scetticismo e eresie.
-
Unità della Chiesa: Pietro simbolo di unità, contro le divisioni del XIV secolo.