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28 Dicembre 2019Analisi e testo del Dialogo della Moda e della Morte di Giacomo Leopardi
Il “Dialogo della Moda e della Morte” è una delle più celebri Operette Morali di Giacomo Leopardi, composta nel 1824. Si tratta di un dialogo filosofico in prosa, in cui due personificazioni allegoriche, la Moda e la Morte, si incontrano e conversano, rivelando una sorprendente parentela e una comune funzione nel mondo. Attraverso un’ironia sottile e un’argomentazione stringente, Leopardi esplora i temi della caducità, della vanità umana, della distruttività della natura e della superficialità della società contemporanea.
1. L’Incontro e il Riconoscimento: Una Parentela Inaspettata
Il dialogo si apre con la Moda che, con un tono quasi petulante, cerca di attirare l’attenzione della Morte, che inizialmente si mostra indifferente e infastidita.
Moda. Madama Morte, madama Morte. Morte. Aspetta che sia l’ora, e verrò senza che tu mi chiami. Moda. Madama Morte. Morte. Vattene col diavolo. Verrò quando tu non vorrai.
Questo scambio iniziale stabilisce subito i caratteri delle due figure: la Moda è insistente e apparentemente frivola, mentre la Morte è austera, inesorabile e dotata di un’ironia tagliente. La Moda, con una sorprendente affermazione, si dichiara “immortale”, provocando lo scetticismo della Morte, che le ricorda che i tempi degli immortali sono finiti.
La rivelazione centrale avviene quando la Moda si presenta come “sorella” della Morte, sostenendo che entrambe sono nate dalla Caducità.
Moda. Io sono la Moda, tua sorella. Morte. Mia sorella? Moda. Sì: non ti ricordi che tutte e due siamo nate dalla Caducitá?
Questa parentela è la chiave del dialogo: la Caducità è il principio universale di deperimento e mutamento, che genera sia la distruzione radicale (la Morte) sia la distruzione superficiale ma incessante (la Moda).
2. La Funzione Comune: Distruggere e Rinnovare
La Moda spiega la loro comune funzione: “disfare e a rimutare di continuo le cose di quaggiú”, sebbene con metodi diversi.
Dico che la nostra natura e usanza comune è di rinnovare continuamente il mondo, ma tu fino da principio ti gittasti alle persone e al sangue; io mi contento per lo piú delle barbe, dei capelli, degli abiti, delle masserizie, dei palazzi e di cose tali.
La Morte agisce direttamente sul “sangue” e sulle “persone”, annientando la vita. La Moda, invece, si accontenta di trasformare e annullare gli aspetti esteriori della vita: abiti, acconciature, oggetti, architetture. Sembra meno radicale, ma la sua azione è altrettanto incessante e pervasiva.
La Moda, tuttavia, confessa di aver compiuto anche “parecchi giuochi da paragonare ai tuoi”, elencando pratiche estetiche e sociali che causano dolore, deformità e persino la morte:
- Forare orecchi, labbra e nasi.
- Bruciare le carni con “stampe roventi” (tatuaggi o marchi).
- Deformare le teste dei bambini con fasciature (pratica diffusa in alcune culture antiche, come in America e Asia, a cui Leopardi fa riferimento).
- Storpiare i piedi con calzature snelle.
- “Chiuderle il fiato e fare che gli occhi le scoppino dalla strettura dei bustini”.
- Indurre gli uomini a sopportare “mille fatiche e mille disagi, e spesso dolori e strazi, e qualcuno a morire gloriosamente, per l’amore che mi portano”.
- Causare malattie come “mali di capo, infreddature, flussioni, febbri” a causa delle mode negli abiti che non proteggono dal freddo o dal caldo.
3. L’Alleanza e il Contributo della Moda alla Morte
La Morte, convinta della parentela, propone alla Moda di aiutarla nelle sue “faccende”. La Moda accetta, rivelando di averlo già fatto e di voler fare ancora di più.
Dunque poiché tu sei nata dal corpo di mia madre, saria conveniente che tu mi giovassi in qualche modo a fare le mie facende.
La Moda vanta di non aver mai permesso che “smettesse in nessun luogo la pratica di morire”, garantendo l’universalità della Morte. Ma il suo contributo più significativo è nei “tempi ultimi”:
- Disuso di Fatiche ed Esercizi Salutari: La Moda ha favorito l’abbandono di attività fisiche che giovano al corpo, introducendo o valorizzando pratiche che “abbattono il corpo in mille modi e scorciano la vita”.
- Vita “Più Morta che Viva”: Ha imposto costumi che rendono la vita stessa, sia fisica che spirituale, “più morta che viva”. Il secolo presente è definito “il secolo della morte”, perché gli uomini vivono in una condizione di apatia, noia e mancanza di vitalità.
- Accettazione e Amore per la Morte: La Moda ha persino convinto gli uomini a “pregiarti e lodarti, anteponendoti alla vita”, a desiderare la Morte come “maggiore speranza”. Questo è un riferimento al suicidio per noia o disperazione, o alla ricerca di una fine per sfuggire alla vanità della vita.
- Eliminazione dell’Immortalità (della Fama): La Moda ha tolto l’usanza di cercare l’immortalità attraverso la fama e le opere, assicurando che “chiunque si muoia, sta sicura che non ne resta un briciolo che non sia morto”. Questo è un attacco alla vana gloria e alla pretesa umana di lasciare un segno duraturo.
4. Temi Principali
- Caducità Universale: Il tema centrale. Tutto è destinato al mutamento e alla distruzione, sia nella forma radicale della morte che in quella superficiale della moda.
- Vanità e Superficialità Umana: La Moda è l’allegoria della frivolezza e della tendenza umana a inseguire il nuovo per il nuovo, senza un vero scopo, e persino a danneggiarsi in nome dell’estetica.
- Critica alla Società Contemporanea: Leopardi critica la sua epoca (il “secolo della morte”) per la sua apatia, la mancanza di vitalità, la ricerca del piacere effimero e la tendenza all’autodistruzione fisica e morale.
- Il Male Ontologico: La Morte rappresenta il male intrinseco all’esistenza, l’ineluttabilità della fine. La Moda, pur non essendo il male in sé, ne è una complice attiva, accelerando il processo distruttivo e rendendo la vita meno degna di essere vissuta.
- Ironia e Disillusione: Il dialogo è intriso di un’ironia amara che svela l’assurdità dei comportamenti umani e la crudeltà della Natura.
- Negazione della Fama e dell’Immortalità Terrena: La Moda, con la sua azione incessante, rende vana anche la speranza di sopravvivere nella memoria degli uomini attraverso le opere, riducendo tutto a “polverumi”.
5. Stile e Linguaggio
- Dialogo Filosofico: La forma del dialogo permette a Leopardi di presentare idee complesse in modo vivace e dinamico, attraverso la contrapposizione e la complementarietà delle due figure.
- Allegoria e Personificazione: Moda e Morte sono personificazioni efficaci, che rendono astratti concetti concreti e tangibili.
- Ironia Sottile e Amara: L’ironia è una cifra stilistica dominante, evidente nelle battute della Morte e nelle auto-giustificazioni della Moda, che rivelano la follia umana.
- Linguaggio: Il linguaggio è raffinato e classico, ma allo stesso tempo colloquiale e vivace, con espressioni che mimano il parlato (“ve la butto lì così”, “datemi retta”, “ben bene”).
- Antitesi e Parallelismi: Il dialogo è costruito su antitesi (vita/morte, apparenza/sostanza) e parallelismi (le diverse forme di distruzione operate da Moda e Morte).
Conclusione
Il “Dialogo della Moda e della Morte” è un’opera di straordinaria lucidità e attualità. Leopardi, attraverso l’incontro tra queste due figure allegoriche, svela la profonda connessione tra la superficialità e la vanità umana (la Moda) e l’ineluttabilità della distruzione (la Morte). La Moda, con la sua incessante ricerca del nuovo e la sua tendenza a svalutare il vecchio, si rivela non solo un fenomeno estetico, ma una complice attiva della Morte, accelerando il deperimento fisico e spirituale dell’uomo. Il dialogo è una potente critica alla società che si allontana dalla natura e dalla vitalità, abbracciando stili di vita e valori che la rendono “più morta che viva”. È un monito amaro ma profondo sulla caducità di ogni cosa e sulla necessità di una consapevolezza che vada oltre le apparenze.
Le Operette Morali sono il capolavoro della prosa filosofica di Leopardi.
Testo del Dialogo della Moda e della Morte di Giacomo Leopardi
DIALOGO DELLA MODA E DELLA MORTE
Giacomo Leopardi – Operette morali (1928)
Moda. Madama Morte, madama Morte.
Morte. Aspetta che sia l’ora, e verrò senza che tu mi chiami.
Moda. Madama Morte.
Morte. Vattene col diavolo. Verrò quando tu non vorrai.
Moda. Come se io non fossi immortale.
Morte. Immortale?
Moda. Anche Madama petrarcheggia come fosse un lirico italiano del cinque o dell’ottocento?
Morte. Ho care le rime del Petrarca, perché vi trovo il mio Trionfo, e perché parlano di me quasi da per tutto. Ma in somma levamiti d’attorno.
Moda. Via, per l’amore che tu porti ai sette vizi capitali, fermati tanto o quanto e guardami.
Morte. Ti guardo.
Moda. Non mi conosci?
Morte. Dovresti sapere che ho mala vista, e che non posso usare occhiali, perché gl’inglesi non ne fanno che mi valgano, e quando ne facessero, io non avrei dove me gl’incavalcassi.
Moda. Io sono la Moda, tua sorella.
Morte. Mia sorella?
Moda. Sì: non ti ricordi che tutte e due siamo nate dalla Caducitá?
Morte. Che m’ho a ricordare io che sono nemica capitale della memoria.
Moda. Ma io me ne ricordo bene; e so che l’una e l’altra tiriamo parimente a disfare e a rimutare di continuo le cose di quaggiú, benché tu vadi a questo effetto per una strada e io per un’altra.
Morte. In caso che tu non parli col tuo pensiero o con persona che tu abbi dentro alla strozza, alza piú la voce e scolpisci meglio le parole; che se mi vai borbottando tra’ denti con quella vocina da ragnatelo, io t’intenderò domani, perché l’udito, se non sai, non mi serve meglio che la vista.
Moda. Benché sia contrario alla costumatezza, e in Francia non si usi di parlare per essere uditi, pure perché siamo sorelle, e tra noi possiamo fare senza troppi rispetti, parlerò come tu vuoi.
Dico che la nostra natura e usanza comune è di rinnovare continuamente il mondo, ma tu fino da principio ti gittasti alle persone e al sangue; io mi contento per lo piú delle barbe, dei capelli, degli abiti, delle masserizie, dei palazzi e di cose tali. Ben è vero che io non sono però mancata e non manco di fare parecchi giuochi da paragonare ai tuoi, come verbigrazia sforacchiare quando orecchi, quando labbra e nasi, e stracciarli colle bazzecole che io v’appicco per li fóri; abbruciacchiare le carni degli uomini con istampe roventi che io fo che essi v’improntino per bellezza; sformare le teste dei bambini con fasciature e altri ingegni, mettendo per costume che tutti gli uomini del paese abbiano a portare il capo di una figura, come ho fatto in America e in Asia; storpiare la gente colle calzature snelle; chiuderle il fiato e fare che gli occhi le scoppino dalla strettura dei bustini; e cento altre cose di questo andare.
Anzi generalmente parlando, io persuado e costringo tutti gli uomini gentili a sopportare ogni giorno mille fatiche e mille disagi, e spesso dolori e strazi, e qualcuno a morire gloriosamente, per l’amore che mi portano. Io non ti vo’ dire nulla dei mali di capo, delle infreddature, delle flussioni di ogni sorta, delle febbri quotidiane, terzane, quartane, che gli uomini si guadagnano per ubbidirmi, consentendo di tremare dal freddo o affogare dal caldo secondo che io voglio, difendersi le spalle coi panni lani e il petto con quei di tela, e fare di ogni cosa a mio modo, ancorché sia con loro danno.
Morte. In conclusione io ti credo che mi sii sorella e, se tu vuoi, l’ho per piú certo della morte, senza che tu me ne cavi la fede del parrocchiano. Ma stando cosí ferma, io svengo; e però se ti dá l’animo di corrermi allato, fa’ di non vi crepare, perch’io fuggo assai, e correndo mi potrai dire il tuo bisogno; se no, a contemplazione della parentela, ti prometto, quando io muoia, di lasciarti tutta la mia roba, e rimanti col buon anno.
Moda. Se noi avessimo a correre insieme il palio, non so chi delle due si vincesse la prova, perché se tu corri, io vo meglio che di galoppo; e a stare in un luogo, se tu ne svieni, io me ne struggo. Sicché ripigliamo a correre, e correndo, come tu dici, parleremo dei casi nostri.
Morte. Sia con buon’ora. Dunque poiché tu sei nata dal corpo di mia madre, saria conveniente che tu mi giovassi in qualche modo a fare le mie faccende.
Moda. Io l’ho fatto giá per l’addietro piú che non pensi. Primieramente, io che annullo o stravolgo per lo continuo tutte le altre usanze, non ho mai lasciato smettere in nessun luogo la pratica di morire, e per questo vedi che ella dura universalmente insino a oggi dal principio del mondo.
Morte. Gran miracolo, che tu non abbi fatto quello che non hai potuto!
Moda. Come non ho potuto? Tu mostri di non conoscere la potenza della moda.
Morte. Ben bene: di cotesto saremo a tempo a discorrere quando sará venuta l’usanza che non si muoia. Ma in questo mezzo io vorrei che tu da buona sorella, m’aiutassi a ottenere il contrario piú facilmente e piú presto che non ho fatto finora.
Moda. Giá ti ho raccontate alcune delle opere mie che ti fanno molto profitto. Ma elle sono baie per comparazione a queste che io ti vo’ dire. A poco per volta, ma il piú in questi ultimi tempi, io per favorirti ho mandato in disuso e in dimenticanza le fatiche e gli esercizi che giovano al ben essere corporale, e introdottone o recato in pregio innumerabili che abbattono il corpo in mille modi e scorciano la vita.
Oltre di questo, ho messo nel mondo tali ordini e tali costumi che la vita stessa, cosí per rispetto del corpo come dell’animo, è piú morta che viva; tanto che questo secolo si può dire con veritá che sia proprio il secolo della morte.
E quando che anticamente tu non avevi altri poderi che fosse e caverne, dove tu seminavi ossami e polverumi al buio, che sono semenze che non fruttano; adesso hai terreni al sole; e genti che si muovono, e che vanno attorno co’ loro piedi, sono roba, si può dire, di tua ragione libera, ancorché tu non le abbi mietute, anzi subito che elle nascono.
Di piú, dove per l’addietro solevi essere odiata e vituperata, oggi per opera mia le cose sono ridotte in termine che chiunque ha intelletto ti pregia e loda, anteponendoti alla vita, e ti vuol tanto bene che sempre ti chiama e ti volge gli occhi come alla sua maggiore speranza.
Finalmente perch’io vedeva che molti si erano vantati di volersi fare immortali, cioè non morire interi, perché una buona parte di sé non ti sarebbe capitata sotto le mani, io quantunque sapessi che queste erano ciance, e che quando costoro o altri vivessero nella memoria degli uomini, vivevano, come dire, da burla, e non godevano della loro fama piú che si patissero dell’umiditá della sepoltura; a ogni modo, intendendo che questo negozio degl’immortali ti scottava, perché parea che ti scemasse l’onore e la riputazione, ho levata via quest’usanza di cercare l’immortalitá, ed anche di concederla in caso che pure alcuno la meritasse.
Di modo che al presente, chiunque si muoia, sta sicura che non ne resta un briciolo che non sia morto, e che gli conviene andare subito sotterra tutto quanto, come un pesciolino che sia trangugiato in un boccone con tutta la testa e le lische.
Queste cose, che non sono poche né piccole, io mi trovo aver fatte finora per amor tuo, volendo accrescere il tuo stato nella terra, com’è seguito.
E per quest’effetto sono disposta a far ogni giorno altrettanto e piú; colla quale intenzione ti sono andata cercando; e mi pare a proposito che noi per l’avanti non ci partiamo dal fianco l’una dell’altra, perché stando sempre in compagnia, potremo consultare insieme secondo i casi, e prendere migliori partiti che altrimenti, come anche mandargli meglio ad esecuzione.
Morte. Tu dici il vero, e cosí voglio che facciamo.