
Masetto da Lamporecchio. Decameron, III, 1
28 Dicembre 2019
I pastori di Gabriele D’Annunzio
28 Dicembre 2019Il ventisettesimo canto del Purgatorio di Dante Alighieri si trova nella seconda cantica della Divina Commedia e segna il passaggio fondamentale tra il Purgatorio e il Paradiso terrestre.
Il Purgatorio, infatti, è la seconda cantica del poema e rappresenta il percorso di purificazione delle anime, che si conclude con l’accesso al Paradiso terrestre, la tappa finale prima di ascendere al Paradiso vero e proprio.
Nel ventisettesimo canto, Dante affronta la prova finale che lo purifica dall’ultimo peccato — la lussuria — per poter accedere al Paradiso terrestre. La fiamma che deve attraversare rappresenta il simbolo del fuoco purificatore, e qui avviene anche il commovente commiato da Virgilio, la guida razionale e umana, che lascia spazio a Beatrice, simbolo della teologia e della grazia divina.
Il Purgatorio è dunque la seconda cantica e termina con l’ingresso di Dante nel Paradiso terrestre, descritto nei canti successivi, a partire dal ventottesimo.
Dante e Virgilio, infatti, accompagnati da Stazio, giungono finalmente alla fine del percorso di purificazione del Purgatorio, dove il poeta dovrà attraversare una fiamma purificatrice prima di accedere al Paradiso terrestre. In questo canto, Dante affronta l’ultima prova della sua purificazione: il fuoco del settimo balzo della Montagna del Purgatorio, corrispondente alla purificazione dalla lussuria.
Sintesi del canto
Il canto si apre con una scena serale: il sole sta calando, e l’angelo custode invita i tre pellegrini ad attraversare una fiamma che serve come ultima prova di purificazione. Dante è inizialmente terrorizzato dall’idea di attraversare il fuoco, ma Virgilio lo rassicura, dicendogli che quel fuoco non lo ucciderà né lo danneggerà. Alla fine, Dante trova il coraggio per entrare nella fiamma grazie all’invocazione del nome di Beatrice, l’amata donna che egli incontrerà nel Paradiso terrestre.
Dopo aver attraversato la fiamma, i tre poeti salgono verso la vetta del monte, dove arriva la notte. Si fermano a riposare, e Dante sogna Lia, simbolo della vita attiva, che raccoglie fiori per adornarsi. Il sogno prefigura l’incontro con Beatrice, rappresentante della vita contemplativa.
Al mattino, Virgilio comunica a Dante che la sua missione come guida è conclusa, poiché Dante ora è libero, capace di scegliere autonomamente il proprio cammino. È un momento significativo: Virgilio, che rappresenta la ragione umana, lascia Dante alle soglie del Paradiso terrestre, dove incontrerà Beatrice, simbolo della teologia e della grazia divina.
Temi principali
- Purificazione finale: Il passaggio attraverso la fiamma simboleggia l’ultima purificazione necessaria per accedere al Paradiso terrestre. La fiamma qui non è punitiva, ma purificatrice, e rappresenta il superamento definitivo delle colpe terrene.
- La paura di Dante e il coraggio di superarla: Dante mostra paura e resistenza di fronte alla fiamma, immaginando i corpi umani che ha visto bruciare. Virgilio lo incoraggia a fidarsi e ad affrontare il fuoco, ricordandogli che è già stato protetto da pericoli più grandi in passato, come durante il viaggio con Gerione (nel Inferno). Alla fine, è il nome di Beatrice che infonde in Dante il coraggio per superare la sua paura.
- Il ruolo di Beatrice: La figura di Beatrice diventa sempre più importante, anticipando il suo ruolo centrale nella terza cantica, il Paradiso. Il suo nome simboleggia la forza spirituale che guida Dante e lo spinge a superare gli ostacoli.
- Il sogno di Lia e Rachele: Il sogno di Dante in cui appaiono Lia e Rachele ha un significato simbolico importante. Lia rappresenta la vita attiva, mentre Rachele rappresenta la vita contemplativa. Dante, attraverso questo sogno, anticipa il momento in cui incontrerà Beatrice, simbolo della contemplazione e della vita spirituale superiore.
- Il congedo di Virgilio: Il congedo di Virgilio è uno dei momenti più toccanti del poema. Virgilio ha guidato Dante attraverso l’Inferno e il Purgatorio, ma non può accompagnarlo oltre. Rappresentando la ragione, Virgilio cede il passo a Beatrice, che incarna la fede e la rivelazione divina. L’ultima affermazione di Virgilio, “libero, dritto e sano è tuo arbitrio”, sottolinea la libertà e la responsabilità di Dante di fare scelte consapevoli e rette da questo momento in avanti.
Simbolismo
- La fiamma purificatrice: La fiamma rappresenta l’ultimo ostacolo che Dante deve affrontare prima di essere purificato. Simbolicamente, il fuoco ha una doppia valenza: è distruttivo, ma anche purificante, e in questo caso simboleggia la purificazione dalla lussuria.
- Lia e Rachele: Lia e Rachele simboleggiano le due vie della perfezione cristiana, la vita attiva e la vita contemplativa. Lia raccoglie fiori per adornarsi, rappresentando l’attività pratica nel mondo, mentre Rachele contempla allo specchio, simbolo della contemplazione delle verità divine.
- Il sonno e il risveglio: Il sonno di Dante nel canto simboleggia il passaggio tra due stati: quello della purificazione e quello dell’incontro con la grazia divina nel Paradiso terrestre. È un momento di transizione, e il sogno anticipa il futuro incontro con Beatrice.
- Il sole e la luna: Nel canto, la posizione del sole e l’arrivo della notte rappresentano il trascorrere del tempo e segnano il passaggio tra la fine del percorso purgatoriale e l’inizio di una nuova fase del viaggio.
Conclusione
Il ventisettesimo canto del Purgatorio è uno dei momenti più significativi dell’intera Commedia, poiché segna il passaggio di Dante dalla guida della ragione (Virgilio) alla guida della grazia divina (Beatrice). È un canto che parla di purificazione, superamento della paura e liberazione. Virgilio, dopo aver guidato Dante attraverso i meandri del peccato e della purificazione, si congeda, lasciando il poeta libero di affrontare la tappa successiva del suo viaggio verso Dio.
Solo testo del ventisettesimo canto del Purgatorio di Dante
Sì come quando i primi raggi vibra
là dove il suo fattor lo sangue sparse,
cadendo Ibero sotto l’alta Libra, 3
e l’onde in Gange da nona rïarse,
sì stava il sole; onde ’l giorno sen giva,
come l’angel di Dio lieto ci apparse. 6
Fuor de la fiamma stava in su la riva,
e cantava ’Beati mundo corde!’
in voce assai più che la nostra viva. 9
Poscia “Più non si va, se pria non morde,
anime sante, il foco: intrate in esso,
e al cantar di là non siate sorde”, 12
ci disse come noi li fummo presso;
per ch’io divenni tal, quando lo ’ntesi,
qual è colui che ne la fossa è messo. 15
In su le man commesse mi protesi,
guardando il foco e imaginando forte
umani corpi già veduti accesi. 18
Volsersi verso me le buone scorte;
e Virgilio mi disse: “Figliuol mio,
qui può esser tormento, ma non morte. 21
Ricorditi, ricorditi! E se io
sovresso Gerïon ti guidai salvo,
che farò ora presso più a Dio? 24
Credi per certo che se dentro a l’alvo
di questa fiamma stessi ben mille anni,
non ti potrebbe far d’un capel calvo. 27
E se tu forse credi ch’io t’inganni,
fatti ver’ lei, e fatti far credenza
con le tue mani al lembo d’i tuoi panni. 30
Pon giù omai, pon giù ogne temenza;
volgiti in qua e vieni: entra sicuro!”.
E io pur fermo e contra coscïenza. 33
Quando mi vide star pur fermo e duro,
turbato un poco disse: “Or vedi, figlio:
tra Bëatrice e te è questo muro”. 36
Come al nome di Tisbe aperse il ciglio
Piramo in su la morte, e riguardolla,
allor che ’l gelso diventò vermiglio; 39
così, la mia durezza fatta solla,
mi volsi al savio duca, udendo il nome
che ne la mente sempre mi rampolla. 42
Ond’ei crollò la fronte e disse: “Come!
volenci star di qua?”; indi sorrise
come al fanciul si fa ch’è vinto al pome. 45
Poi dentro al foco innanzi mi si mise,
pregando Stazio che venisse retro,
che pria per lunga strada ci divise. 48
Sì com’ fui dentro, in un bogliente vetro
gittato mi sarei per rinfrescarmi,
tant’era ivi lo ’ncendio sanza metro. 51
Lo dolce padre mio, per confortarmi,
pur di Beatrice ragionando andava,
dicendo: “Li occhi suoi già veder parmi”. 54
Guidavaci una voce che cantava
di là; e noi, attenti pur a lei,
venimmo fuor là ove si montava. 57
’Venite, benedicti Patris mei’,
sonò dentro a un lume che lì era,
tal che mi vinse e guardar nol potei. 60
“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l’occidente non si annera”. 63
Dritta salia la via per entro ’l sasso
verso tal parte ch’io toglieva i raggi
dinanzi a me del sol ch’era già basso. 66
E di pochi scaglion levammo i saggi,
che ’l sol corcar, per l’ombra che si spense,
sentimmo dietro e io e li miei saggi. 69
E pria che ’n tutte le sue parti immense
fosse orizzonte fatto d’uno aspetto,
e notte avesse tutte sue dispense,72
ciascun di noi d’un grado fece letto;
ché la natura del monte ci affranse
la possa del salir più e ’l diletto. 75
Quali si stanno ruminando manse
le capre, state rapide e proterve
sovra le cime avante che sien pranse,78
tacite a l’ombra, mentre che ’l sol ferve,
guardate dal pastor, che ’n su la verga
poggiato s’è e lor di posa serve;81
e quale il mandrïan che fori alberga,
lungo il pecuglio suo queto pernotta,
guardando perché fiera non lo sperga;84
tali eravamo tutti e tre allotta,
io come capra, ed ei come pastori,
fasciati quinci e quindi d’alta grotta. 87
Poco parer potea lì del di fori;
ma, per quel poco, vedea io le stelle
di lor solere e più chiare e maggiori. 90
Sì ruminando e sì mirando in quelle,
mi prese il sonno; il sonno che sovente,
anzi che ’l fatto sia, sa le novelle. 93
Ne l’ora, credo, che de l’orïente
prima raggiò nel monte Citerea,
che di foco d’amor par sempre ardente,96
giovane e bella in sogno mi parea
donna vedere andar per una landa
cogliendo fiori; e cantando dicea:99
“Sappia qualunque il mio nome dimanda
ch’i’ mi son Lia, e vo movendo intorno
le belle mani a farmi una ghirlanda. 102
Per piacermi a lo specchio, qui m’addorno;
ma mia suora Rachel mai non si smaga
dal suo miraglio, e siede tutto giorno. 105
Ell’è d’i suoi belli occhi veder vaga
com’io de l’addornarmi con le mani;
lei lo vedere, e me l’ovrare appaga”. 108
E già per li splendori antelucani,
che tanto a’ pellegrin surgon più grati,
quanto, tornando, albergan men lontani, 111
le tenebre fuggian da tutti lati,
e ’l sonno mio con esse; ond’io leva’ mi,
veggendo i gran maestri già levati. 114
“Quel dolce pome che per tanti rami
cercando va la cura de’ mortali,
oggi porrà in pace le tue fami”. 117
Virgilio inverso me queste cotali
parole usò; e mai non furo strenne
che fosser di piacere a queste iguali. 120
Tanto voler sopra voler mi venne
de l’esser sù, ch’ad ogne passo poi
al volo mi sentia crescer le penne. 123
Come la scala tutta sotto noi
fu corsa e fummo in su ’l grado superno,
in me ficcò Virgilio li occhi suoi,126
e disse: “Il temporal foco e l’etterno
veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte
dov’io per me più oltre non discerno. 129
Tratto t’ ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte. 132
Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce;
vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli
che qui la terra sol da sé produce. 135
Mentre che vegnan lieti li occhi belli
che, lagrimando, a te venir mi fenno,
seder ti puoi e puoi andar tra elli. 138
Non aspettar mio dir più né mio cenno;
libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno:141
per ch’io te sovra te corono e mitrio”.