
Il duello finale e la morte di Turno, Eneide, XII, 710-885
28 Dicembre 2019
Figure retoriche di suono e di ordine
28 Dicembre 2019Enea viene ferito nel Libro XII dell’Eneide: un momento di vulnerabilità dell’eroe prima dello scontro finale
Il Libro XII dell’Eneide di Virgilio è il culmine del poema, il capitolo che conduce allo scontro finale tra Enea e Turno e alla fondazione di Roma. In questo contesto di altissima tensione, un episodio cruciale, spesso anticipato ma non sempre approfondito, è il ferimento di Enea. Questo evento, descritto nel brano fornito, non è un semplice incidente, ma un momento di profonda vulnerabilità per l’eroe troiano, che ne accentua la dimensione umana e la dipendenza dal volere divino, proprio prima della resa dei conti decisiva.
1. Il Contesto: La Battaglia Finale e l’Assenza di Turno
Nel dodicesimo libro, la guerra tra Troiani e Latini è giunta al suo epilogo. È stato concordato un duello singolo tra Enea e Turno per decidere le sorti del conflitto, ma la tregua viene violata e la battaglia riprende con rinnovata ferocia. Il brano si colloca proprio in questo frangente, quando Turno, pur essendo l’antagonista principale di Enea, è momentaneamente assente dalla scena del ferimento, impegnato a seminare distruzione altrove:
Mentre Turno, vittorioso, semina tante uccisioni nei campi, frattanto Mnesteo e il fido Acate e con loro Ascanio condussero nell’accampamento Enea insanguinato, che appoggiava con sforzo alla lunga lancia gli alterni passi. (vv. 383-386)
2. Il Ferimento di Enea: Un Colpo a Tradimento
Il testo non descrive l’atto del ferimento in sé, ma le sue immediate conseguenze. Enea viene riportato nell’accampamento “insanguinato”, appoggiandosi a una lancia. La ferita è causata da un dardo, la cui canna si è spezzata, lasciando la punta conficcata nel corpo dell’eroe.
Si adira, e tenta di strappare il dardo dalla canna spezzata, e chiede in aiuto un rimedio più rapido: che con una larga spada aprano la ferita, e fendano profondamente il nascondiglio del dardo e lo rimandino in battaglia. (vv. 387-390)
Questo ferimento è significativo perché non avviene in un duello onorevole, ma in un momento di confusione della battaglia, probabilmente per mano di un arciere o un nemico meno nobile. Ciò sottolinea la precarietà della vita in guerra e la possibilità che anche il più grande degli eroi possa essere colpito da un’azione inaspettata. La rabbia di Enea (“Si adira”) è comprensibile, data l’imminenza dello scontro decisivo con Turno e il desiderio di tornare subito in battaglia.
3. L’Intervento di Iapige: La Medicina e il Dono Divino
Per curare Enea, interviene il medico Iapige, una figura particolare e significativa:
È già veniva, caro fra tutti a Febo, Iapige, figlio di Iaso, al quale un giorno Apollo, preso da ardente amore voleva concedere le proprie arti, i suoi doni, il vaticinio, e la cetra, e le veloci frecce. Egli, per protrarre la vita al padre morente, preferì conoscere il potere delle erbe e la pratica della medicina, ed esercitare oscuro le mute arti. (vv. 391-397)
- Iapige, il Medico Divino: Iapige non è un medico comune. È un favorito di Apollo, il dio della medicina, della profezia e delle arti. Apollo gli aveva offerto i suoi doni più eccelsi (vaticinio, cetra, frecce), ma Iapige scelse la medicina per amore del padre morente. Questo dettaglio è cruciale: la sua arte medica non è solo tecnica, ma ha una radice divina e un movente pius (di pietà filiale).
- Il Limite della Scienza Umana: Nonostante le sue capacità, Iapige fatica a estrarre il dardo. Questo sottolinea il limite della medicina umana di fronte a ferite gravi, e prepara il terreno per l’intervento divino.
4. Il Significato del Ferimento e della Guarigione
Il ferimento di Enea e la sua successiva guarigione (che, sebbene non descritta nel brano, è un evento chiave del libro XII) hanno un profondo significato:
- Vulnerabilità dell’Eroe: Il ferimento mostra l’umanità e la vulnerabilità di Enea. Nonostante sia un eroe destinato, non è invulnerabile. Questa debolezza lo rende più vicino al lettore e accentua la drammaticità del suo percorso.
- Intervento Divino e Fato: La difficoltà di Iapige nel curare la ferita prepara il terreno per l’intervento di Venere (madre di Enea), che, in un passaggio successivo, gli porterà un’erba miracolosa e lo guarirà istantaneamente. Questo sottolinea ancora una volta il ruolo cruciale degli dei nel destino di Enea e nella realizzazione del fatum (il destino di Roma). Enea è un eroe pius non solo per la sua devozione, ma anche perché la sua missione è costantemente sostenuta e guidata dalla volontà divina.
- La Necessità della Guarigione per il Duello Finale: Il ferimento di Enea, proprio prima dello scontro decisivo con Turno, aumenta la tensione. La sua guarigione è indispensabile affinché il duello possa avvenire e il fatum possa compiersi. Senza l’intervento divino, Enea non sarebbe in grado di affrontare il suo ultimo, grande avversario.
- Simbolismo della Purificazione: La ferita e la successiva guarigione possono essere lette anche come un processo di purificazione per Enea, che deve essere al massimo della sua forza fisica e spirituale per compiere la sua missione fondatrice.
Conclusione
Il ferimento di Enea nel Libro XII dell’Eneide è un episodio di fondamentale importanza narrativa e simbolica. Non solo aggiunge un elemento di suspense e drammaticità alla narrazione, ma serve a sottolineare la vulnerabilità dell’eroe e la costante presenza del divino nel suo percorso. Attraverso la figura di Iapige e il successivo intervento di Venere, Virgilio ribadisce che il destino di Enea e la fondazione di Roma sono parte di un disegno superiore, in cui anche la sofferenza e la guarigione dell’eroe sono strumenti della volontà divina. È un momento che prepara il lettore al culmine del poema, lo scontro finale che deciderà le sorti di un’intera civiltà.
Testo del brano in cui Enea viene ferito , tratto da Eneide, XII, 383-429
Mentre Turno, vittorioso, semina tante uccisioni nei campi,
frattanto Mnesteo e il fido Acate e con loro Ascanio
condussero nell’accampamento Enea insanguinato, 385
che appoggiava con sforzo alla lunga lancia gli alterni passi.
Si adira, e tenta di strappare il dardo dalla canna
spezzata, e chiede in aiuto un rimedio più rapido:
che con una larga spada aprano la ferita, e fendano profondamente
il nascondiglio del dardo e lo rimandino in battaglia. 390
E già veniva, caro fra tutti a Febo, Iapige,
figlio di Iaso, al quale un giorno Apollo,
preso da ardente amore voleva concedere le proprie arti,
i suoi doni, il vaticinio, e la cetra, e le veloci frecce.
Egli, per protrarre la vita al padre morente, 395
preferì conoscere il potere delle erbe e la pratica
della medicina, ed esercitare oscuro le mute arti.
Enea fremendo aspramente ristava appoggiato
alla grande asta, tra il largo accorrere dei giovani
e di Iulo angosciato; immobile davanti alle lagrime. 400
Il vecchio, succinto con veste ritorta, secondo l’uso peonio,
con valida mano di medico e con erbe potenti di Febo,
vanamente si affanna, vanamente sollecita con la mano
la punta del dardo e stringe il ferro con pinza tenace.
Nessuna fortuna asseconda la via, in nulla sovviene 405
la guida di Apollo; e nella piana cresce sempre di più
un crudele orrore, e si approssima la rovina. Già vedono
il cielo offuscato dalla polvere; giungono i cavalieri, e i dardi
cadono fitti nel campo; sale al cielo il lugubre clamore
dei giovani che combattono e che soggiacciono al duro Marte. 410
Qui la madre Venere, turbata dall’immeritato dolore
del figlio, colse sull’Ida cretese il dittamo,
stelo dalle rigogliose foglie e chiomato da fiori
purpurei; erba non ignota alle capre selvatiche,
quando alate frecce si conficcano nel loro dorso: 415
Venere lo recò, l’aspetto avvolto in un oscuro
nembo; con quello intrise le acque versate
in una lucida conca, medicandole in segreto, e sparse
succo di salubre ambrosia e odorosa panacea.
Il vecchio Iapige ignaro curò la ferita con quell’acqua; 420
subito tutto il dolore fuggì dal corpo, e tutto il sangue
stagnò nella profonda ferita. E già, seguendo la mano,
la freccia cadde, senza che nessuno intervenisse,
e le energie rinnovate tornarono simili a prima.
Portate in fretta le armi all’eroe! Perché indugiate? 425
Iapige grida, e per primo infiamma gli animi
contro il nemico. Ciò non proviene da potenza mortale
o da arte maestra, e non è la mia mano che ti salva, Enea:
uno più grande di me, un dio ti guida, e ti invia a maggiori imprese.