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28 Dicembre 2019Riassunto, analisi e testo del Brano “Essere tragici e sinceri” da Gli indifferenti di Alberto Moravia
Il brano proposto è tratto dal Capitolo XII de Gli indifferenti (1929), il romanzo d’esordio di Alberto Moravia (pseudonimo di Alberto Pincherle). Quest’opera, che segnò una svolta nella letteratura italiana, è una feroce critica alla borghesia romana degli anni Venti, dipinta come una classe sociale svuotata di valori, dominata dall’apatia, dall’ipocrisia e, appunto, dall’indifferenza. Il passaggio qui analizzato si concentra sulla figura di Michele, uno dei due giovani protagonisti, e sulla sua lucida ma impotente consapevolezza di questa condizione.
Riassunto del Brano
Il brano si apre con Michele di “cattivo umore”, tormentato dal malcontento lasciato dagli eventi della sera precedente. Egli comprende la necessità di superare la propria “indifferenza” e agire, ma è consapevole che qualsiasi azione gli verrebbe suggerita da una “logica estranea alla sincerità”. Amore filiale, odio, affetto familiare sono sentimenti che non conosce. Tuttavia, ragiona che se non si è sinceri, bisogna “fingere”, e che “a forza di fingere si finisce per credere; questo è il principio di ogni fede”.
Michele si interroga sulla natura delle sue azioni, definendole una “montatura”. Riflette sul suo rapporto con Lisa: non la ama né la desidera, eppure le ha baciato la mano la sera prima e si accinge ad andare a casa sua, prevedendo una recita di freddezza iniziale che sfocerà in eccitazione e, infine, in una relazione amorosa.
Il protagonista lamenta la perdita di “fede, sincerità, tragicità” nel suo mondo, dove tutto gli appare “pietoso, ridicolo, falso” a causa della sua noia. Nonostante ciò, riconosce la gravità della sua situazione e la necessità di “appassionarsi, agire, soffrire, vincere quella debolezza, quella pietà, quella falsità, quel senso del ridicolo; bisognava essere tragici e sinceri.”
Michele si abbandona a un “rimpianto ironico”, fantasticando su un’età passata in cui un marito tradito poteva uccidere senza rimorso, in cui “al pensiero seguiva l’azione”, e le emozioni (odio, amore, dolore) erano “vere” e gli uomini “fatti di carne ed ossa e attaccati alla realtà come alberi alla terra”. L’ironia svanisce, lasciando solo il rimpianto per non poter vivere in quell’età “tragica e sincera”, condannato a rimanere “nel suo tempo e nella sua vita, per terra.”
Analisi del Brano
Questo estratto è emblematico della poetica moraviana e della crisi esistenziale dei personaggi de Gli indifferenti.
- L’Indifferenza come Malattia Morale: Michele è il personaggio che incarna più lucidamente la condizione di indifferenza che affligge la borghesia del romanzo. Non è un’indifferenza passiva, ma una consapevolezza amara della propria incapacità di provare sentimenti autentici. Egli riconosce il bisogno di agire, ma sa che le sue azioni sarebbero dettate da una logica esterna, da una “montatura”, non da una spinta interiore genuina. Questa lucidità, tuttavia, non si traduce in azione risolutiva, ma in un’ulteriore paralisi.
- L’Ipocrisia e la Finzione come Meccanismi di Sopravvivenza: La riflessione di Michele sulla finzione (“a forza di fingere si finisce per credere; questo è il principio di ogni fede”) è centrale. In un mondo privo di valori e di sincerità, l’ipocrisia diventa una strategia per navigare l’esistenza. Michele non si illude sulla sua mancanza di desiderio per Lisa, ma accetta che la finzione possa condurlo a una relazione, quasi per inerzia o per riempire il vuoto. Questa è la condanna della borghesia moraviana: incapace di sentire, si limita a recitare ruoli.
- La Nostalgia della “Tragicità e Sincerità”: Il desiderio più profondo di Michele è di essere “tragico e sincero”. Questo non è un desiderio di vivere drammi per il gusto del dramma, ma di provare emozioni vere, di agire in modo autentico, di sentire un legame profondo con la realtà. La sua idealizzazione di un passato in cui “al pensiero seguiva l’azione” e le passioni erano “vere” (amore, odio, violenza) rivela una profonda insoddisfazione per la sua epoca, che gli appare “ridicola, pietosa, falsa”. La violenza e la passione del passato non sono celebrate per sé, ma come simboli di un’autenticità perduta. L’espressione “attaccati alla realtà come alberi alla terra” è una metafora potente del suo desiderio di radicamento e di concretezza emotiva, in netto contrasto con la sua condizione di alienazione.
- La Critica alla Borghesia e alla Modernità: Il brano è una chiara critica alla borghesia del tempo, che Moravia vede come una classe decadente, priva di forza vitale e di autenticità. La “noia” di Michele non è solo un sentimento personale, ma un sintomo di una malattia sociale più ampia. La perdita della tragicità e della sincerità è una condanna della modernità che ha svuotato l’individuo di ogni slancio vitale e morale.
- Lo Stile Moravia: Lucidità e Distacco: Lo stile di Moravia in questo brano è già pienamente riconoscibile:
- Prosa asciutta e analitica: La scrittura è precisa, quasi clinica, nell’analizzare i processi mentali di Michele. Non c’è sentimentalismo.
- Monologo interiore: Il brano è dominato dai pensieri di Michele, un flusso di coscienza che rivela la sua lucida autoanalisi e la sua impotenza.
- Lessico essenziale: Il linguaggio è diretto, con un uso efficace di termini come “ipocondriaco”, “montatura”, “pietoso”, “ridicolo”, “falso”, “tragico”, “sincero”.
- Distacco narrativo: Nonostante l’immersione nella mente del personaggio, Moravia mantiene un certo distacco, quasi un’osservazione scientifica della patologia morale.
Conclusione
Il brano “Essere tragici e sinceri” da Gli indifferenti è un passaggio chiave per comprendere la critica moraviana alla borghesia e alla condizione umana moderna. Attraverso la figura di Michele, l’autore esplora la dolorosa consapevolezza dell’indifferenza e dell’ipocrisia, e la nostalgia per un’autenticità e una “tragicità” perdute. È un ritratto impietoso di un’anima che, pur desiderando la verità e la passione, è condannata a vivere nella finzione e nella noia, simboleggiando la crisi di valori di un’intera epoca.
Testo del brano:
Essere tragici e sinceri
Gli indifferenti di Alberto Moravia
cap. XII
Michele era di cattivo umore: gli avvenimenti della sera avanti gli avevano lasciato un malcontento ipocondriaco; capiva che bisognava una buona volta vincere la propria indifferenza e agire; senza alcun dubbio l’azione gli veniva suggerita da una logica estranea alla sincerità; amore filiale, odio contro l’amante di sua madre, affetto familiare, tutti questi erano sentimenti che egli non conosceva… ma che importava?
Quando non si è sinceri bisogna fingere, a forza di fingere si finisce per credere; questo è il principio di ogni fede.
Insomma, una montatura?
Già, nient’altro che una montatura: “Lisa per esempio” pensava Michele: “non l’amo… non la desidero neppure… però ieri sera le ho baciato la mano… oggi andrò a casa sua; in principio sarò freddissimo, poi mi ecciterò, mi monterò… è ridicolo… ma credo che di questo passo diventerò il suo amante”.
Non esistevano per lui più fede, sincerità, tragicità; tutto gli appariva pietoso, ridicolo, falso, dalla sua noia; ma capiva la difficoltà e i pericoli della sua situazione: bisognava appassionarsi, agire, soffrire, vincere quella debolezza, quella pietà, quella falsità, quel senso del ridicolo; bisognava essere tragici e sinceri.
“Come doveva esser bello il mondo” pensava con un rimpianto ironico, “quando un marito tradito poteva gridare a sua moglie: – Moglie scellerata, paga con la vita il fio delle tue colpe – e, quel ch’è più forte, pensar tali parole, e poi avventarsi, ammazzare moglie, amanti, parenti e tutti quanti, e restare senza punizione e senza rimorso: quando al pensiero seguiva l’azione: – ti odio – e zac! un colpo di pugnale: ecco il nemico o l’amico stesso a terra in una pozza di sangue; quando non si pensava tanto, e il primo impulso era sempre quello buono; quando la vita non era come ora ridicola, ma tragica, e si moriva veramente, e si uccideva, e si odiava, e si amava sul serio, e si versavano vere lacrime per vere sciagure, e tutti gli uomini erano fatti di carne ed ossa e attaccati alla realtà come alberi alla terra.”
A poco a poco l’ironia svaniva e restava il rimpianto; egli avrebbe voluto vivere in quell’età tragica e sincera, avrebbe voluto provare quei grandi odi travolgenti, innalzarsi a quei sentimenti illimitati… ma restava nel suo tempo e nella sua vita, per terra.
A. Moravia, Romanzi e racconti (1927-1940), a cura di F. Serra, in Opere, Bompiani, Milano 2000, vol. I.
