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28 Dicembre 2019Analisi e testo della poesia “Gridasti soffoco” di Giuseppe Ungaretti
In questo toccante componimento tratto da Un grido e paesaggi, Ungaretti esprime il suo profondo lutto per la perdita del figlio Antonietto, scomparso a soli nove anni in Brasile. La poesia si sviluppa come un flusso di coscienza frammentato, dove il tempo lineare si dissolve in un presente eterno di dolore.
1. La scena della morte (vv. 1-14)
L’urlo “Soffoco…” (un titolo emblematico) cattura l’istante agonico in un crescendo di immagini crude:
- La metamorfosi del volto in teschio (v. 3)
- Gli occhi, un tempo brillanti, che si dilatano nel vuoto (vv. 4-6)
- La bocca, che era una fonte di gioia (vv. 10-12), ora distorta dall’asfissia
2. Il tempo sospeso (vv. 15-28)
I nove anni del bambino si trasformano in un “chiuso cerchio” temporale dove:
- Il passato si cristallizza (“né giorni, né minuti / mai più s’aggiungeranno”)
- La memoria diventa un rituale ossessivo (“continuamente vado / a rivederti crescere”)
3. L’evocazione tattile (vv. 25-39)
Ungaretti ricostruisce la vita attraverso il tema ricorrente delle mani:
- Dalla prima presa infantile, inconsapevole (vv. 27-28)
- All’abbandono fiducioso (vv. 30-32)
- Fino alle mani esangui nella morte (vv. 33-35)
4. Il paradosso del lutto (vv. 40-54)
Emergono due contraddizioni strazianti:
Il figlio defunto diventa “animo della mia anima” (v. 40), liberando il padre
Il sopravvivere è sia colpa (“sconto l’orrore”) che condanna a una “vecchiaia odiosa”
5. L’esilio cosmico (vv. 55-62)
Il finale proietta il dolore nell’astratto:
- Il cielo australe (Brasile) diventa ostile (“troppo azzurro”, “sordido”)
- Gli astri stranieri accentuano lo smarrimento
- Le mani del padre (v. 62) replicano inutilmente il gesto del figlio morente
Stile e simboli
L’enjambement crea un respiro spezzato
Le anafore (“posso… posso”) mimano l’ossessione
Le mani fungono da filo rosso tra vita e morte
Il cielo si trasforma in uno spazio metafisico del lutto
In conclusione,
Ungaretti riesce a trasformare il dolore personale in una meditazione universale sull’impossibilità di affrontare la morte dei figli, dove persino la fede (il “fuoco della speranza”, v. 19) vacilla di fronte all’ingiustizia cosmica.
Testo della poesia “Gridasti soffoco” di Giuseppe Ungaretti, dalla raccolta Un grido e paesaggi
Gridasti soffoco di Giuseppe Ungaretti dalla raccolta Un grido e paesaggi
Non potevi dormire, non dormivi…
Gridasti: Soffoco…
Nel viso tuo scomparso già nel teschio,
gli occhi, che erano ancora luminosi
solo un attimo fa, 5
gli occhi si dilatarono… si persero…
sempre ero stato timido,
ribelle, torbido; ma puro, libero,
felice rinascevo nel tuo sguardo…
Poi la bocca, la bocca 10
che una volta pareva, lungo i giorni,
lampo di grazia e gioia,
la bocca si contorse in lotta muta…
Un bimbo è morto…
Nove anni, chiuso cerchio, 15
nove anni cui né giorni, né minuti
mai più s’aggiungeranno:
in essi s’alimenta
l’unico fuoco della mia speranza.
Posso cercarti, posso ritrovarti, 20
posso andare, continuamente vado
a rivederti crescere
da un punto all’altro
dei tuoi nove anni.
Io di continuo posso, 25
distintamente posso
sentirti le tue mani nelle mie mani:
le mani tue di pargolo
che afferrano le mie senza conoscerle;
le tue mani che si fanno sensibili, 30
sempre più consapevoli
abbandonandosi nelle mie mani;
le tue mani che diventano secche
e, sole – pallidissime –
sole nell’ombra sostano… 35
La settimana scorsa eri fiorente…
Ti vado a prendere il vestito a casa,
poi nella cassa ti verranno a chiudere
per sempre. No, per sempre
sei animo della mia anima, e la liberi. 40
Ora meglio la liberi
che non sapesse il tuo sorriso vivo:
provala ancora, accrescile la forza,
se vuoi – sino a te, caro! – che m’innalzi
dove il vivere è calma, è senza morte. 45
Sconto, sopravvivendoti, l’orrore
degli anni che t’usurpo,
e che ai tuoi anni aggiungo,
demente di rimorso,
come se, ancora tra di noi mortale, 50
tu continuassi a crescere;
ma cresce solo, vuota,
la mia vecchiaia odiosa…
Come ora, era di notte,
E mi davi la mano, fine mano… 55
Spaventato tra me e me m’ascoltavo:
E’ troppo azzurro questo cielo australe,
troppi astri lo gremiscono,
troppi e, per noi, non uno familiare…
(Cielo sordido, che scende senza un soffio, 60
sordo che udrò continuamente opprimere
Mani tese a scansarlo)
dalla raccolta Un grido e paesaggi