Carlo Calenda ha manifestato la sua idea di scuola: “Smettiamola di trascurare il sapere non funzionale. Faccio una proposta, tutti i ragazzi di qualunque condizione sociale devono fare il liceo. Gli studi professionali e tecnici devono essere rinviati a dopo. Prima dobbiamo formare uomo e cittadino. In una società del benessere fino a 18 anni si imparano arte, storia, musica, cultura, cose che daranno un vantaggio competitivo dopo e, che, soprattutto, eviteranno la frustrazione che deriva dall’essere incanalati verso una sola professione”.
Molti sono stati gli interventi critici e distruttivi: l’assenza di una solida base su cui edificare una scuola al passo con i tempi li accomuna, ivi compresa l’opinione sopra trascritta. Può essere opportuno asserire che questa, a differenza degli altri, muove, confusamente, nella direzione tracciata dalle norme scolastiche. Ecco perché. Le competenze, generali e specifiche, esprimono l’orientamento del sistema formativo italiano: descrivono il comportamento assunto da chi affronta un compito con successo. Le loro componenti sono le capacità e le abilità associate alle conoscenze. Queste sono da identificare in funzione dei traguardi educativi (capacità), collegialmente individuati. Si tratta di una strategia che dovrebbe caratterizzare licei, istituti tecnici e professionali: varia la strumentazione (sapere), unico il traguardo (formazione di giovani in grado di interagire positivamente con un ambiente imprevedibilmente cangiante).
Può essere opportuno giustificare “l’assenza di una solida base su cui edificare una scuola al passo con i tempi”, carenza dovuta alla mancanza dei necessari riferimenti di legge. Il fatto è carico di significato per un duplice motivo: si presume che il terreno sia vergine; l’attività scolastica ordinaria, poco attenta alle regole, è il riferimento.
Ecco alcuni punti cardine, fissati dal legislatore: