
Andare a scuola a Roma
28 Dicembre 2019
Capitoli nono e decimo dei Promessi Sposi
28 Dicembre 2019đ Analisi del Capitolo XVI de ‘I Promessi Sposi’: La Fuga di Renzo e l’Apprendistato nel Mondo
Il Capitolo XVI de I Promessi Sposi prosegue il viaggio solitario di Renzo dopo la sua tumultuosa esperienza a Milano e la fuga precipitosa dall’arresto. Questo capitolo è fondamentale per la maturazione del protagonista, che, da giovane contadino ingenuo, si trova a confrontarsi con le dure realtĂ politiche e sociali del suo tempo. Manzoni descrive con realismo il suo percorso fisico e psicologico, ponendo l’accento sulla sua crescente consapevolezza, sulla sua solitudine e sulla costante protezione, spesso imprevista, della Provvidenza.
1. La Fuga Solitaria e il Disorientamento di Renzo
Il capitolo riprende la narrazione dalla notte in cui Renzo è fuggito da Milano. La sua condizione è di estrema vulnerabilità e disorientamento.
- Lo stato psicologico: Renzo è un uomo braccato, la cui mente è ancora confusa dagli effetti dell’alcool e dal trauma degli eventi milanesi. La paura della cattura è il suo motore principale. Non ha una meta precisa, ma solo l’istinto di allontanarsi dalla cittĂ . Il suo percorso è “a casaccio”, affidato piĂš alla fortuna che a una chiara pianificazione. Questa disorientata fuga evidenzia la sua perdita di innocenza: la Milano che doveva portargli giustizia si è rivelata una trappola mortale.
- La percezione della realtĂ : La notte e la sua solitudine accentuano la sua ansia. Ogni rumore, ogni ombra è una potenziale minaccia. La sua diffidenza verso gli sconosciuti, sebbene a volte eccessiva, è un meccanismo di difesa necessario in un mondo ostile dove “ogni cosa era fatta per ingannare”. Questa diffidenza, che prima era quasi assente nel suo carattere schietto, è una dolorosa acquisizione.
- L’osteria di Gorgonzola: L’episodio dell’osteria a Gorgonzola è un momento di alta tensione. Renzo, spinto dalla fame e dalla stanchezza, vi entra cercando di passare inosservato. La conversazione degli avventori sulla rivolta di Milano e, in particolare, la descrizione del “milanese” sfuggito che “predicava ieri”, lo colpiscono profondamente. Egli si riconosce nella figura del ricercato, e questa consapevolezza lo getta in un’angoscia estrema. Manzoni qui evidenzia la capacitĂ del pettegolezzo e delle informazioni distorte di propagarsi rapidamente in un’epoca senza mezzi di comunicazione di massa, mettendo in grave pericolo gli innocenti. Renzo si sente “chiamato per nome” e la paura lo spinge a un’ulteriore, precipitosa fuga notturna.
2. Il Viaggio Verso l’Adda: Speranza e Fatica
Dopo l’allarme di Gorgonzola, Renzo si rimette in cammino, con un’unica, chiara meta: il fiume Adda, confine tra lo Stato di Milano e la Repubblica di Venezia.
- Il fiume come confine e salvezza: L’Adda assume un forte valore simbolico. Non è solo un confine geografico, ma una linea di demarcazione tra un territorio di oppressione (il Ducato di Milano sotto il dominio spagnolo, dove la giustizia è corrotta e arbitraria) e un luogo di relativa libertĂ e sicurezza (il Bergamasco, territorio veneziano, dove Renzo spera di trovare giustizia e protezione). La sua corsa verso l’Adda è una corsa verso la speranza.
- La fatica e la resilienza: Il viaggio è descritto come estremamente faticoso. Renzo cammina per ore nella notte, “affaticato e stanco”, con i piedi “intirizziti”. La sua resistenza fisica è notevole, alimentata dalla paura e dal desiderio di salvezza. Manzoni celebra la tenacia del popolo, capace di sopportare immense difficoltĂ per la propria sopravvivenza.
- L’incontro con la natura: La descrizione della natura notturna, con la luna che filtra tra le nubi e la quiete dei campi, crea un’atmosfera sospesa. Renzo si affida agli elementi naturali per orientarsi, un ritorno a un sapere contadino che contrasta con il caos urbano appena vissuto. La solitudine del paesaggio accentua il suo isolamento.
3. L’Attraversamento dell’Adda: Il Passaggio alla Salvezza
L’arrivo all’Adda è un momento cruciale, un vero e proprio rito di passaggio.
- La nebbia e l’incertezza: La presenza della nebbia sull’Adda aggiunge un elemento di incertezza e mistero al paesaggio. La vista del fiume, seppur annebbiata, è un segno di speranza. Renzo ha trovato il suo confine.
- Il barcaiolo provvidenziale: L’incontro con il barcaiolo, taciturno e pragmatico, è un piccolo ma significativo episodio di Provvidenza. L’uomo, senza fare troppe domande sulla situazione anomala di Renzo, accetta di trasportarlo. La sua professionalitĂ e la sua disponibilitĂ sono un aiuto inaspettato. Questo episodio sottolinea come la Provvidenza agisca spesso attraverso gesti semplici e quotidiani di persone comuni. La breve trattativa e l’attesa del traghetto sono descritte con una tensione sottile.
- La sensazione di salvezza: Una volta attraversato il fiume, Renzo prova un immenso sollievo. Il senso di sicurezza è tangibile: “Quando sentĂŹ sotto i piedi lâerba della riva bergamasca… si sentĂŹ andar via una gran parte dellâinquietudine che lo teneva in angoscia.” Questa è la prima vera sensazione di scampo dopo ore di terrore.
4. L’Arrivo dal Cugino Bortolo: Un Porto Sicuro
Il capitolo si conclude con il ricongiungimento di Renzo con il cugino Bortolo, che offre un atteso rifugio e un momento di ristoro.
- Il mulino di Bortolo: Renzo raggiunge il mulino del cugino, un luogo di lavoro onesto e di vita semplice. Bortolo è una figura positiva, un uomo “assestato”, capace e ospitale. La sua figura rappresenta la solidarietĂ familiare e il valore del lavoro.
- L’accoglienza e la confidenza: Bortolo accoglie Renzo con calore e senza troppe domande, offrendogli cibo e riparo. Renzo, finalmente al sicuro, può “sfogarsi” e raccontare tutte le sue disavventure. Questo momento di confidenza è catartico, permettendo a Renzo di rielaborare il trauma vissuto e di trovare un alleato fidato. La sua ingenuitĂ lo porta a confidare dettagli che, come vedremo piĂš avanti, potrebbero ancora metterlo in pericolo, ma per ora il bisogno di sfogarsi prevale.
5. Temi e Significati del Capitolo XVI
Il Capitolo XVI è denso di significati e approfondisce molti dei temi centrali del romanzo:
- Il Percorso di Formazione di Renzo: Questo capitolo è cruciale per la maturazione di Renzo. Da contadino ingenuo, egli è costretto a confrontarsi con la violenza urbana, l’ingiustizia delle autoritĂ , la diffidenza verso gli sconosciuti e la necessitĂ di cavarsela da solo. La sua innocenza è ferita, ma la sua intelligenza pratica e la sua capacitĂ di discernimento si affinano. Ă un “apprendistato” doloroso ma necessario al mondo.
- La Giustizia e il Potere: Il capitolo ribadisce la corruzione e l’inefficacia della giustizia dello Stato di Milano. La fuga di Renzo oltre l’Adda simboleggia la ricerca di un luogo dove la legge sia piĂš equa o almeno meno oppressiva.
- La Solitudine e la Dispersione: Renzo è un uomo solo, braccato, che si trova costretto a separarsi da tutti gli affetti e a confidare solo in se stesso e nella Provvidenza. La sua fuga è un simbolo della dispersione dei protagonisti, tema centrale nel romanzo.
- Il Ruolo della Provvidenza: Anche nei momenti piĂš bui, la Provvidenza sembra agire. Renzo è salvato da circostanze fortunate (l’inaspettata disponibilitĂ del barcaiolo) e da incontri benevoli (il cugino Bortolo). Manzoni suggerisce che la mano divina è presente anche nel caos, guidando i passi degli innocenti, seppur attraverso vie imprevedibili.
- Realismo e Simbolismo: Manzoni unisce la descrizione realistica del viaggio (la fatica, la fame, il paesaggio notturno) a un profondo simbolismo. Il fiume Adda è un confine non solo fisico ma morale, che segna la fine di un incubo e l’inizio di una nuova fase, seppur ancora incerta e piena di sfide.
In sintesi, il Capitolo XVI è un capitolo di transizione e di trasformazione, in cui Renzo compie un passo fondamentale nel suo doloroso percorso di formazione, imparando le dure lezioni del mondo esterno e rafforzando la sua determinazione a sopravvivere e a cercare la giustizia per sÊ e per Lucia.
Testo del sedicesimo capitolo dei Promessi Sposi

CAPITOLO XVI
Scappa, scappa, galantuomo: lĂŹ câè un convento, ecco lĂ una chiesa; di qui, di lĂ , â si grida a Renzo da ogni parte. In quanto allo scappare, pensate se aveva bisogno di consigli. Fin dal primo momento che gli era balenato in mente una speranza dâuscir da quellâunghie, aveva cominciato a fare i suoi conti, e stabilito, se questo gli riusciva, dâandare senza fermarsi, fin che non fosse fuori, non solo della cittĂ , ma del ducato. â Perchè, â aveva pensato, â il mio nome lâhanno suâ loro libracci, in qualunque maniera lâabbiano avuto; e col nome e cognome, mi vengono a prendere quando vogliono. â E in quanto a un asilo, non vi si sarebbe cacciato che quando avesse avuto i birri alle spalle. â Perchè, se posso essere uccel di bosco, â aveva anche pensato, â non voglio diventare uccel di gabbia. â Aveva dunque disegnato per suo rifugio quel paese nel territorio di Bergamo, dovâera accasato quel suo cugino Bortolo, se ve ne rammentate, che piĂš volte lâaveva invitato a andar lĂ . Ma trovar la strada, lĂŹ stava il male. Lasciato in una parte sconosciuta dâuna cittĂ si può dire sconosciuta, Renzo non sapeva neppure da che porta sâuscisse per andare a Bergamo; e quando lâavesse saputo, non sapeva poi andare alla porta. Fu lĂŹ lĂŹ per farsi insegnar la strada da qualcheduno deâ suoi liberatori; masiccome nel poco tempo che aveva avuto per meditare suâ casi suoi, gli eran passate per la mente certe idee su quello spadaio cosĂŹ obbligante, padre di quattro figliuoli, cosĂŹ, a buon conto, non volle manifestare i suoi disegni a una gran brigata, dove ce ne poteva essere qualche altro di quel conio; e risolvette subito dâallontanarsi in fretta di lĂŹ: che la strada se la farebbe poi insegnare, in luogo dove nessuno sapesse chi era, nè il perchè la domandasse. Disse aâ suoi liberatori: â grazie tante, figliuoli: siate benedetti, â e, uscendo per il largo che gli fu fatto immediatamente, prese la rincorsa, e via; dentro per un vicolo, giĂš per una stradetta, galoppò un pezzo, senza saper dove. Quando gli parve dâessersi allontanato abbastanza, rallentò il passo, per non dar sospetto; e cominciò a guardare in qua e in lĂ , per isceglier la persona a cui far la sua domanda, una faccia che ispirasse confidenza. Ma anche qui câera dellâimbroglio. La domanda per sè era sospetta; il tempo stringeva; i birri, appena liberati da quel piccolo intoppo, dovevan senza dubbio essersi rimessi in traccia del loro fuggitivo; la voce di quella fuga poteva essere arrivata fin lĂ ; e in tali strette, Renzo dovette fare forse dieci giudizi fisionomici, prima di trovar la figura che gli paresse a proposito. Quel grassotto, che stava ritto sulla soglia della sua bottega, a gambe larghe, con le mani di dietro, con la pancia in fuori, col mento in aria, dal quale pendeva una gran pappagorgia, e che, non avendo altro che fare, andava alternativamente sollevando sulla punta deâ piedi la sua massa tremolante, e lasciandola ricadere sui calcagni, aveva un viso di cicalone curioso, che, in vece di dar delle risposte, avrebbe fatto delle interrogazioni.

Quellâaltro che veniva innanzi, con gli occhi fissi, e col labbro in fuori, non che insegnar presto e bene la strada a un altro, appena pareva conoscer la sua. Quel ragazzotto, che, a dire il vero, mostrava dâesser molto sveglio, mostrava però dâessere anche piĂš malizioso; e probabilmente avrebbe avuto un gusto matto a far andare un povero contadino dalla parte opposta a quella che desiderava. Tantâè vero che allâuomo impicciato, quasi ogni cosa è un nuovo impiccio! Visto finalmente uno che veniva in fretta, pensò che questo, avendo probabilmente qualche affare pressante, gli risponderebbe subito, senzâaltre chiacchiere; e sentendolo parlar da sè, giudicò che dovesse essere un uomo sincero. Gli sâaccostò, e disse: â di grazia, quel signore, da che parte si va per andare a Bergamo? â
â Per andare a Bergamo? Da porta orientale. â
â Grazie tante; e per andare a porta orientale? â
â Prendete questa strada a mancina; vi troverete sulla piazza del duomo; poi… â
â Basta, signore; il resto lo so. Dio gliene renda merito. â E diviato sâincamminò dalla parte che gli era stata indicata. Lâaltro gli guardò dietro un momento, e, accozzando nel suo pensiero quella maniera di camminare con la domanda, disse tra sè: â o nâha fatta una, o qualcheduno la vuol fare a lui. â
Renzo arriva sulla piazza del duomo; lâattraversa, passa accanto a un mucchio di cenere e di carboni spenti, e riconosce gli avanzi del falò di cui era stato spettatore il giorno avanti; costeggia gli scalini del duomo, rivede il forno delle grucce, mezzo smantellato, e guardato da soldati; e tira diritto per la strada da cui era venuto insieme con la folla; arriva al convento deâ cappuccini; dĂ unâocchiata a quella piazza e alla porta della chiesa, e dice tra sè, sospirando: â mâaveva però dato un buon parere quel frate di ieri: che stessi in chiesa a aspettare, e a fare un poâ di bene. â
Qui, essendosi fermato un momento a guardare attentamente alla porta per cui doveva passare, e vedendovi, cosĂŹ da lontano, molta gente a guardia, e avendo la fantasia un poâ riscaldata (bisogna compatirlo; aveva i suoi motivi), provò una certa ripugnanza ad affrontare quel passo. Si trovava cosĂŹ a mano un luogo dâasilo, e dove, con quella lettera, sarebbe ben raccomandato; fu tentato fortemente dâentrarvi. Ma, subito ripreso animo, pensò: â uccel di bosco, fin che si può. Chi mi conosce? Di ragione, i birri non si saran fatti in pezzi, per andarmi ad aspettare a tutte le porte. â Si voltò, per vedere se mai venissero da quella parte: non vide nè quelli, nè altri che paressero occuparsi di lui. Va innanzi; rallenta quelle gambe benedette, che volevan sempre correre, mentre conveniva soltanto camminare; e adagio adagio, fischiando in semitono, arriva alla porta.

Câera, proprio sul passo, un mucchio di gabellini, e, per rinforzo, anche deâ micheletti spagnoli; ma stavan tutti attenti verso il di fuori, per non lasciare entrar di quelli che, alla notizia dâuna sommossa, vâaccorrono, come i corvi al campo dove è stata data battaglia; di maniera che Renzo, con unâaria indifferente, con gli occhi bassi, e con un andare cosĂŹ tra il viandante e uno che vada a spasso, uscĂŹ, senza che nessuno gli dicesse nulla; ma il cuore di dentro faceva un gran battere. Vedendo a diritta una viottola, entrò in quella, per evitare la strada maestra; e camminò un pezzo prima di voltarsi neppure indietro.
Cammina, cammina; trova cascine, trova villaggi, tira innanzi senza domandarne il nome; è certo dâallontanarsi da Milano, spera dâandar verso Bergamo; questo gli basta per ora. Ogni tanto, si voltava indietro; ogni tanto, andava anche guardando e strofinando or lâuno or lâaltro polso, ancora un poâ indolenziti, e segnati in giro dâuna striscia rosseggiante, vestigio della cordicella. I suoi pensieri erano, come ognuno può immaginarsi, un guazzabuglio di pentimenti, dâinquietudini, di rabbie, di tenerezze; era uno studio faticoso di raccapezzare le cose dette e fatte la sera avanti, di scoprir la parte segreta della sua dolorosa storia, e sopra tutto come avean potuto risapere il suo nome. I suoi sospetti cadevan naturalmente sullo spadaio, al quale si rammentava bene dâaverlo spiattellato. E ripensando alla maniera con cui gliel aveva cavato di bocca, e a tutto il fare di colui, e a tutte quellâesibizioni che riuscivan sempre a voler saper qualcosa, il sospetto diveniva quasi certezza. Se non che si rammentava poi anche, in confuso, dâaver, dopo la partenza dello spadaio, continuato a cicalare; con chi, indovinala grillo; di cosa, la memoria, per quanto venisse esaminata, non lo sapeva dire: non sapeva dir altro che dâessersi in quel tempo trovata fuor di casa. Il poverino si smarriva in quella ricerca: era come un uomo che ha sottoscritti molti fogli bianchi, e gli ha affidati a uno che credeva il fior deâ galantuomini; e scoprendolo poi un imbroglione, vorrebbe conoscere lo stato deâ suoi affari: che conoscere? è un caos. Un altro studio penoso era quello di far sullâavvenire un disegno che gli potesse piacere: quelli che non erano in aria, eran tutti malinconici.
Ma ben presto, lo studio piÚ penoso fu quello di trovar la strada. Dopo aver camminato un pezzo, si può dire, alla ventura, vide che da sè non ne poteva uscire. Provava bensÏ una certa ripugnanza a metter fuori quella parola Bergamo, come se avesse un non so che di sospetto, di sfacciato; ma non si poteva far di meno. Risolvette dunque di rivolgersi, come aveva fatto in Milano, al primo viandante la cui fisonomia gli andasse a genio; e cosÏ fece.
â Siete fuor di strada, â gli rispose questo; e, pensatoci un poco, parte con parole, parte coâ cenni, glâindicò il giro che doveva fare, per rimettersi sulla strada maestra. Renzo lo ringraziò, fece le viste di far come gli era stato detto, prese in fatti da quella parte, con intenzione però dâavvicinarsi bensĂŹ a quella benedetta strada maestra, di non perderla di vista, di costeggiarla piĂš che fosse possibile; ma senza mettervi piede. Il disegno era piĂš facile da concepirsi che da eseguirsi.
La conclusione fu che, andando cosĂŹ da destra a sinistra, e, come si dice, a zig zag, parte seguendo lâaltre indicazioni che si faceva coraggio a pescar qua e lĂ , parte correggendole secondo i suoi lumi, e adattandole al suo intento, parte lasciandosi guidar dalle strade in cui si trovava incamminato, il nostro fuggitivo aveva fatte forse dodici miglia, che non era distante da Milano piĂš di sei; e in quanto a Bergamo, era molto se non se nâera allontanato. Cominciò a persuadersi che, anche in quella maniera, non se nâusciva a bene; e pensò a trovar qualche altro ripiego. Quello che gli venne in mente, fu di scovar, con qualche astuzia, il nome di qualche paese vicino al confine, e al quale si potesse andare per istrade comunali: e domandando di quello, si farebbe insegnar la strada, senza seminar qua e lĂ quella domanda di Bergamo, che gli pareva puzzar tanto di fuga, di sfratto, di criminale.
Mentre cerca la maniera di pescar tutte quelle notizie, senza dar sospetto, vede pendere una frasca da una casuccia solitaria, fuori dâun paesello. Da qualche tempo, sentiva anche crescere il bisogno di ristorar le sue forze; pensò che lĂŹ sarebbe il luogo di fare i due servizi in una volta; entrò. Non câera che una vecchia, con la rocca al fianco, e col fuso in mano. Chiese un boccone; gli fu offerto un poâ di stracchino e del vin buono: accettò lo stracchino, del vino la ringraziò (gli era venuto in odio, per quello scherzo che gli aveva fatto la sera avanti); e si mise a sedere, pregando la donna che facesse presto. Questa, in un momento, ebbe messo in tavola; e subito dopo cominciò a tempestare il suo ospite di domande, e sul suo essere, e sui gran fatti di Milano: chè la voce nâera arrivata fin lĂ . Renzo, non solo seppe schermirsi dalle domande, con molta disinvoltura; ma, approfittandosi della difficoltĂ medesima, fece servire al suo intento la curiositĂ della vecchia, che gli domandava dove fosse incamminato.
â Devo andare in molti luoghi, â rispose: â e, se trovo un ritaglio di tempo, vorrei anche passare un momento da quel paese, piuttosto grosso, sulla strada di Bergamo, vicino al confine, però nello stato di Milano… Come si chiama? â â Qualcheduno ce ne sarĂ , â pensava intanto tra sè.
– Gorgonzola, volete dire, – rispose la vecchia.
â Gorgonzola! â ripetè Renzo, quasi per mettersi meglio in mente la parola. â Ă molto lontano di qui? â riprese poi.
â Non lo so precisamente: saranno dieci, saranno dodici miglia. Se ci fosse qualcheduno deâ miei figliuoli, ve lo saprebbe dire. â
â E credete che ci si possa andare per queste belle viottole, senza prender la strada maestra? dove câè una polvere, una polvere! Tanto tempo che non piove! â

â A me mi par di sĂŹ: potete domandare nel primo paese che troverete andando a diritta. â E glielo nominò.
â Va bene; â disse Renzo; sâalzò, prese un pezzo di pane che gli era avanzato della magra colazione, un pane ben diverso da quello che aveva trovato, il giorno avanti, appiè della croce di san Dionigi; pagò il conto, uscĂŹ, e prese a diritta. E, per non ve lâallungar piĂš del bisogno, col nome di Gorgonzola in bocca, di paese in paese, ci arrivò, unâora circa prima di sera.
GiĂ cammin facendo, aveva disegnato di far lĂŹ unâaltra fermatina, per fare un pasto un poâ piĂš sostanzioso. Il corpo avrebbe anche gradito un poâ di letto; ma prima che contentarlo in questo, Renzo lâavrebbe lasciato cader rifinito sulla strada. Il suo proposito era dâinformarsi allâosteria, della distanza dellâAdda, di cavar destramente notizia di qualche traversa che mettesse lĂ , e di rincamminarsi da quella parte, subito dopo essersi rinfrescato. Nato e cresciuto alla seconda sorgente, per dir cosĂŹ, di quel fiume, aveva sentito dir piĂš volte, che, a un certo punto, e per un certo tratto, esso faceva confine tra lo stato milanese e il veneto: del punto e del tratto non aveva unâidea precisa; ma, allora come allora, lâaffar piĂš urgente era di passarlo, dovunque si fosse. Se non gli riusciva in quel giorno, era risoluto di camminare fin che lâora e la lena glielo permettessero: e dâaspettar poi lâalba, in un campo, in un deserto; dove piacesse a Dio; pur che non fosse unâosteria.
Fatti alcuni passi in Gorgonzola, vide unâinsegna, entrò; e allâoste, che gli venne incontro, chiese un boccone, e una mezzetta di vino: le miglia di piĂš, e il tempo gli avevan fatto passare quellâodio cosĂŹ estremo e fanatico. â Vi prego di far presto, â soggiunse: â perchè ho bisogno di rimettermi subito in istrada. â E questo lo disse, non solo perchè era vero, ma anche per paura che lâoste, immaginandosi che volesse dormir lĂŹ, non gli uscisse fuori a domandar del nome e del cognome, e donde veniva, e per che negozio… Alla larga!
Lâoste rispose a Renzo, che sarebbe servito; e questo si mise a sedere in fondo della tavola, vicino allâuscio: il posto deâ vergognosi.
Câerano in quella stanza alcuni sfaccendati del paese, i quali, dopo aver discusse e commentate le gran notizie di Milano del giorno avanti, si struggevano di sapere un poco come fosse andata anche in quel giorno; tanto piĂš che quelle prime eran piĂš atte a stuzzicar la curiositĂ , che a soddisfarla: una sollevazione, nè soggiogata nè vittoriosa, sospesa piĂš che terminata dalla notte; una cosa tronca, la fine dâun atto piuttosto che dâun dramma. Un di coloro si staccò dalla brigata, sâaccostò al soprarrivato, e gli domandò se veniva da Milano.
â Io? â disse Renzo sorpreso, per prender tempo a rispondere.
â Voi, se la domanda è lecita. â
Renzo, tentennando il capo, stringendo le labbra, e facendone uscire un suono inarticolato, disse: – Milano, da quel che ho sentito dire… non devâessere un luogo da andarci in questi momenti, meno che per una gran necessitĂ .
â Continua dunque anche oggi il fracasso? â domandò, con piĂš istanza, il curioso.
â Bisognerebbe esser lĂ , per saperlo, â disse Renzo.
â Ma voi, non venite da Milano? â
â Vengo da Liscate, â rispose lesto il giovine, che intanto aveva pensata la sua risposta. Ne veniva in fatti, a rigor di termini, perchè câera passato; e il nome lâaveva saputo, a un certo punto della strada, da un viandante che gli aveva indicato quel paese come il primo che doveva attraversare, per arrivare a Gorgonzola.
â Oh! â disse lâamico; come se volesse dire: faresti meglio a venir da Milano, ma pazienza. â E a Liscate, â soggiunse, â non si sapeva niente di Milano? â
â Potrebbâessere benissimo che qualcheduno lĂ sapesse qualche cosa, â rispose il montanaro: â ma io non ho sentito dir nulla. â
E queste parole le proferĂŹ in quella maniera particolare che par che voglia dire: ho finito. Il curioso ritornò al suo posto; e, un momento dopo, lâoste venne a mettere in tavola.
â Quanto câè di qui allâAdda? â gli disse Renzo, mezzo traâ denti, con un fare da addormentato, che gli abbiam visto qualche altra volta.
â AllâAdda, per passare? â disse lâoste.
â Cioè… sĂŹ… allâAdda. â
â Volete passare dal ponte di Cassano, o sulla chiatta di Canonica? â
â Dove si sia… Domando cosĂŹ per curiositĂ . â
â Eh, volevo dire, perchè quelli sono i luoghi dove passano i galantuomini, la gente che può dar conto di sè. â
â Va bene: e quanto câè? â
â Fate conto che, tanto a un luogo, come allâaltro, poco piĂš, poco meno, ci sarĂ sei miglia. â

â Sei miglia! non credevo tanto, â disse Renzo. â E giĂ , â riprese poi, con un’aria d’indifferenza, portata fino all’affettazione: â e giĂ , chi avesse bisogno di prendere una scorciatoia, ci saranno altri luoghi da poter passare? â
â Ce nâè sicuro, â rispose lâoste, ficcandogli in viso due occhi pieni dâuna curiositĂ maliziosa. Bastò questo per far morir traâ denti al giovine lâaltre domande che aveva preparate. Si tirò davanti il piatto; e guardando la mezzetta che lâoste aveva posata, insieme con quello, sulla tavola, disse: â il vino è sincero? â
â Come lâoro, â disse lâoste: â domandatene pure a tutta la gente del paese e del contorno, che se nâintende: e poi, lo sentirete, â E cosĂŹ dicendo, tornò verso la brigata.
â Maledetti gli osti! â esclamò Renzo tra sè: â piĂš ne conosco, peggio li trovo. â Non ostante, si mise a mangiare con grandâappetito, stando, nello stesso tempo, in orecchi, senza che paresse suo fatto, per veder di scoprir paese, di rilevare come si pensasse colĂ sul grandâavvenimento nel quale egli aveva avuta non piccola parte, e dâosservare specialmente se, tra queâ parlatori, ci fosse qualche galantuomo, a cui un povero figliuolo potesse fidarsi di domandar la strada, senza timore dâesser messo alle strette, e forzato a ciarlare deâ fatti suoi.
â Ma! â diceva uno: â questa volta par proprio che i milanesi abbian voluto far davvero. Basta; domani al piĂš tardi, si saprĂ qualcosa. â
â Mi pento di non esser andato a Milano stamattina, â diceva un altro.
â Se vai domani, vengo anchâio, â disse un terzo; poi un altro, poi un altro.
â Quel che vorrei sapere,â riprese il primo, â è se queâ signori di Milano penseranno anche alla povera gente di campagna, o se faranno far la legge buona solamente per loro. Sapete come sono eh? Cittadini superbi, tutto per loro: gli altri, come se non ci fossero. â
â La bocca lâabbiamo anche noi, sia per mangiare, sia per dir la nostra ragione, â disse un altro, con voce tanto piĂš modesta, quanto piĂš la proposizione era avanzata: â e quando la cosa sia incamminata… â Ma credette meglio di non finir la frase.
â Del grano nascosto, non ce nâè solamente in Milano, â cominciava un altro, con unâaria cupa e maliziosa; quando sentono avvicinarsi un cavallo. Corron tutti allâuscio; e, riconosciuto colui che arrivava, gli vanno incontro. Era un mercante di Milano, che, andando piĂš volte lâanno a Bergamo, per i suoi traffichi, era solito passar la notte in quellâosteria; e siccome ci trovava quasi sempre la stessa compagnia, li conosceva tutti. Gli sâaffollano intorno; uno prende la briglia, un altro la staffa. â Ben arrivato, ben arrivato! â

â Ben trovati. â
â Avete fatto buon viaggio? â
â Bonissimo; e voi altri, come state? â
â Bene, bene. Che nuove ci portate di Milano? â
â Ah! ecco quelli delle novitĂ , â disse il mercante, smontando, e lasciando il cavallo in mano dâun garzone. â E poi, e poi, â continuò, entrando con la compagnia, â a questâora le saprete forse meglio di me. â
â Non sappiamo nulla, davvero, â disse piĂš dâuno, mettendosi la mano al petto.
â Possibile? â disse il mercante. â Dunque ne sentirete delle belle… o delle brutte. Ehi, oste, il mio letto solito è in libertĂ ? Bene: un bicchier di vino, e il mio solito boccone, subito; perchè voglio andare a letto presto, per partir presto domattina, e arrivare a Bergamo per lâora del desinare. â E voi altri, â continuò, mettendosi a sedere, dalla parte opposta a quella dove stava Renzo, zitto e attento, â voi altri non sapete di tutte quelle diavolerie di ieri? â
â Di ieri sĂŹ. â
â Vedete dunque, â riprese il mercante, â se le sapete le novitĂ . Lo dicevo io che, stando qui sempre di guardia, per frugar quelli che passano… â
â Ma oggi, comâè andata oggi? â
â Ah oggi. Non sapete niente dâoggi? â
â Niente affatto: non è passato nessuno. â
â Dunque lasciatemi bagnar le labbra; e poi vi dirò le cose dâoggi. Sentirete. â EmpĂŹ il bicchiere, lo prese con una mano, poi con le prime due dita dellâaltra sollevò i baffi, poi si lisciò la barba, bevette, e riprese: â oggi, amici cari, ci mancò poco, che non fosse una giornata brusca come ieri, o peggio. E non mi par quasi vero dâesser qui a chiacchierar con voi altri; perchè avevo giĂ messo da parte ogni pensiero di viaggio, per restare a guardar la mia povera bottega. â
â Che diavolo câera? â disse uno degli ascoltanti.
â Proprio il diavolo: sentirete. â E trinciando la pietanza che gli era stata messa davanti, e poi mangiando, continuò il suo racconto. I compagni, ritti di qua e di lĂ della tavola, lo stavano a sentire, con la bocca aperta; Renzo, al suo posto, senza che paresse suo fatto, stava attento, forse piĂš di tutti, masticando adagio adagio gli ultimi suoi bocconi.
â Stamattina dunque queâ birboni che ieri avevano fatto quel chiasso orrendo, si trovarono aâ posti convenuti (giĂ câera unâintelligenza: tutte cose preparate); si riunirono, e ricominciarono quella bella storia di girare di strada in strada, gridando per tirar altra gente. Sapete che è come quando si spazza, con riverenza parlando, la casa; il mucchio del sudiciume ingrossa quanto piĂš va avanti. Quando parve loro dâesser gente abbastanza, sâavviarono verso la casa del signor vicario di provvisione; come se non bastassero le tirannie che gli hanno fatte ieri: a un signore di quella sorte! oh che birboni! E la roba che dicevan contro di lui! Tutte invenzioni: un signor dabbene, puntuale; e io lo posso dire, che son tutto di casa, e lo servo di panno per le livree della servitĂš. Sâincamminaron dunque verso quella casa: bisognava veder che canaglia, che facce: figuratevi che son passati davanti alla mia bottega: facce che… i giudei della Via Crucis non ci son per nulla. E le cose che uscivan da quelle bocche! da turarsene gli orecchi, se non fosse stato che non tornava conto di farsi scorgere. Andavan dunque con la buona intenzione di dare il sacco; ma… â E qui, alzata in aria, e stesa la mano sinistra, si mise la punta del pollice alla punta del naso.
â Ma? â dissero forse tutti gli ascoltatori.
â Ma, â continuò il mercante, â trovaron la strada chiusa con travi e con carri, e, dietro quella barricata, una bella fila di micheletti, con gli archibusi spianati, per riceverli come si meritavano. Quando videro questo bellâapparato… Cosa avreste fatto voi altri? â

â Tornare indietro. â
â Sicuro; e cosĂŹ fecero. Ma vedete un poco se non era il demonio che li portava. Son lĂŹ sul Cordusio, vedon lĂŹ quel forno che fin da ieri, avevan voluto saccheggiare; e cosa si faceva in quella bottega? si distribuiva il pane agli avventori; câera deâ cavalieri, e fior di cavalieri, a invigilare che tutto andasse bene; e costoro (avevano il diavolo addosso vi dico, e poi câera chi gli aizzava), costoro, dentro come disperati; piglia tu, che piglio anchâio: in un batter dâocchio, cavalieri, fornai, avventori, pani, banco, panche, madie, casse, sacchi, frulloni, crusca, farina, pasta, tutto sottosopra. â
â E i micheletti? â
â I micheletti avevan la casa del vicario da guardare: non si può cantare e portar la croce. Fu in un batter dâocchio, vi dico: piglia piglia; tutto ciò che câera buono a qualcosa, fu preso. E poi torna in campo quel bel ritrovato di ieri, di portare il resto sulla piazza, e di farne una fiammata. E giĂ cominciavano, i manigoldi, a tirar fuori roba; quando uno piĂš manigoldo degli altri, indovinate un poâ con che bella proposta venne fuori. â
â Con che cosa? â
â Di fare un mucchio di tutto nella bottega, e di dar fuoco al mucchio e alla casa insieme. Detto fatto… â
â Ci han dato fuoco? â
â Aspettate. Un galantuomo del vicinato ebbe unâispirazione dal cielo. Corse su nelle stanze, cercò dâun Crocifisso, lo trovò, lâattaccò allâarchetto dâuna finestra, prese da capo dâun letto due candele benedette, le accese, e le mise sul davanzale, a destra e a sinistra del Crocifisso. La gente guarda in su. In un Milano, bisogna dirla, câè ancora del timor di Dio; tutti tornarono in sè. La piĂš parte, voglio dire; câera bensĂŹ deâ diavoli che, per rubare, avrebbero dato fuoco anche al paradiso; ma visto che la gente non era del loro parere, dovettero smettere, e star cheti. Indovinate ora chi arrivò allâimprovviso. Tutti i monsignori del duomo, in processione, a croce alzata,

in abito corale; e monsignor Mazenta, arciprete, comincio a predicare da una parte, e monsignor Settala, penitenziere, da unâaltra, e gli altri anche loro: ma, brava gente! ma cosa volete fare? ma è questo lâesempio che date aâ vostri figliuoli? ma tornate a casa; ma non sapete che il pane è a buon mercato, piĂš di prima? ma andate a vedere, che câè lâavviso sulle cantonate.
â Era vero? â
â Diavolo! Volete che i monsignori del duomo venissero in cappa magna a dir delle fandonie? â
â E la gente cosa fece? â
â A poco a poco se nâandarono; corsero alle cantonate; e, chi sapeva leggere, la câera proprio la meta. Indovinate un poco: un pane dâottâonce, per un soldo. â
â Che bazza! â
â La vigna è bella; pur che la duri. Sapete quanta farina hanno mandata a male, tra ieri e stamattina? Da mantenerne il ducato per due mesi. â
â E per fuori di Milano, non sâè fatta nessuna legge buona? â â Quel che sâè fatto per Milano, è tutto a spese della cittĂ . Non so che vi dire: per voi altri sarĂ quel che Dio vorrĂ . A buon conto, i fracassi son finiti. Non vâho detto tutto; ora viene il buono. â
â Cosa câè ancora? â
â Câè che, ier sera o stamattina che sia, ne sono stati agguantati molti; e subito sâè saputo che i capi saranno impiccati. Appena cominciò a spargersi questa voce, ognuno andava a casa per la piĂš corta, per non arrischiare dâesser nel numero. Milano, quandâio ne sono uscito, pareva un convento di frati. â
â Glâimpiccheranno poi davvero? â
â Eccome! e presto, â rispose il mercante.
â E la gente cosa farĂ ? â domandò ancora colui che aveva fatta lâaltra domanda.
â La gente? anderĂ a vedere, â disse il mercante. â Avevan tanta voglia di veder morire un cristiano allâaria aperta, che volevano, birboni! far la festa al signor vicario di provvisione. In vece sua, avranno quattro tristi, serviti con tutte le formalitĂ , accompagnati daâ cappuccini, e daâ confratelli della buona morte; e gente che se lâè meritato. Ă una provvidenza, vedete; era una cosa necessaria. Cominciavan giĂ a prender il vizio dâentrar nelle botteghe, e di servirsi, senza metter mano alla borsa; se li lasciavan fare, dopo il pane sarebbero venuti al vino, e cosĂŹ di mano in mano… Pensate se coloro volevano smettere, di loro spontanea volontĂ , una usanza cosĂŹ comoda. E vi so dir io che, per un galantuomo che ha bottega aperta, era un pensier poco allegro. â
â Davvero, â disse uno degli ascoltatori. â Davvero, â ripeteron gli altri, a una voce.
â E, â continuò il mercante, asciugandosi la barba col tovagliolo, â lâera ordita da un pezzo: câera una lega, sapete? â
â Câera una lega? â
â Câera una lega. Tutte cabale ordite daâ navarrini, da quel cardinale lĂ di Francia, sapete chi voglio dire, che ha un certo nome mezzo turco, e che ogni giorno ne pensa una, per far qualche dispetto alla corona di Spagna. Ma sopra tutto, tende a far qualche tiro a Milano; perchè vede bene, il furbo, che qui sta la forza del re. â
â GiĂ . â
â Ne volete una prova? Chi ha fatto il piĂš gran chiasso, eran forestieri; andavano in giro facce, che in Milano non sâeran mai vedute. Anzi mi dimenticavo di dirvene una che mâè stata data per certa. La giustizia aveva acchiappato uno in unâosteria… â Renzo, il quale non perdeva un ette di quel discorso, al tocco di questa corda, si sentĂŹ venir freddo, e diede un guizzo, prima che potesse pensare a contenersi. Nessuno però se nâavvide; e il dicitore, senza interrompere il filo del racconto, seguitò: â uno che non si sa bene ancora da che parte fosse venuto, da chi fosse mandato, nè che razza dâuomo si fosse; ma certo era uno deâ capi. GiĂ ieri, nel forte del baccano, aveva fatto il diavolo; e poi, non contento di questo, sâera messo a predicare, e a proporre, cosĂŹ una galanteria, che sâammazzassero tutti i signori. Birbante! Chi farebbe viver la povera gente, quando i signori fossero ammazzati? La giustizia, che lâaveva appostato, gli mise lâunghie addosso; gli trovarono un fascio di lettere; e lo menavano in gabbia; ma che? i suoi compagni, che facevan la ronda intorno allâosteria, vennero in gran numero, e lo liberarono, il manigoldo. â
â E cosa nâè stato? â
â Non si sa; sarĂ scappato, o sarĂ nascosto in Milano: son gente che non ha nè casa nè tetto, e trovan per tutto da alloggiare e da rintanarsi: però finchè il diavolo può, e vuole aiutarli: ci dan poi dentro quando meno se lo pensano; perchè, quando la pera è matura, convien che caschi. Per ora si sa di sicuro che le lettere son rimaste in mano della giustizia, e che câè descritta tutta la cabala; e si dice che nâanderĂ di mezzo molta gente. Peggio per loro; che hanno messo a soqquadro mezzo Milano, e volevano anche far peggio. Dicono che i fornai son birboni. Lo so anchâio; ma bisogna impiccarli per via di giustizia. Câè del grano nascosto. Chi non lo sa? Ma tocca a chi comanda a tener buone spie, e andarlo a disotterrare, e mandare anche glâincettatori a dar calci allâaria, in compagnia deâ fornai. E se chi comanda non fa nulla, tocca alla cittĂ a ricorrere; e se non danno retta alla prima, ricorrere ancora; chè a forza di ricorrere sâottiene; e non metter su unâusanza cosĂŹ scellerata dâentrar nelle botteghe e neâ fondachi, a prender la roba a man salva. â
A Renzo quel poco mangiare era andato in tanto veleno. Gli pareva millâanni dâesser fuori e lontano da quellâosteria, da quel paese; e piĂš di dieci volte aveva detto a sè stesso: andiamo, andiamo. Ma quella paura di dar sospetto, cresciuta allora oltremodo, e fatta tiranna di tutti i suoi pensieri, lâaveva tenuto sempre inchiodato sulla panca. In quella perplessitĂ , pensò che il ciarlone doveva poi finire di parlar di lui; e concluse tra sè, di moversi, appena sentisse attaccare qualche altro discorso.
â E per questo, â disse uno della brigata, â io che so come vanno queste faccende, e che neâ tumulti i galantuomini non ci stanno bene, non mi son lasciato vincere dalla curiositĂ , e son rimasto a casa mia. â
â E io, mi son mosso? â disse un altro.
â Io? â soggiunse un terzo: â se per caso mi fossi trovato in Milano, avrei lasciato imperfetto qualunque affare, e sarei tornato subito a casa mia. Ho moglie e figliuoli; e poi, dico la veritĂ , i baccani non mi piacciono. â
A questo punto, lâoste, châera stato anche lui a sentire, andò verso lâaltra cima della tavola, per veder cosa faceva quel forestiero. Renzo colse lâoccasione, chiamò lâoste con un cenno, gli chiese il conto, lo saldò senza tirare, quantunque lâacque fossero molto basse; e, senza far altri discorsi, andò diritto allâuscio, passò la soglia, e, a guida della Provvidenza, sâincamminò dalla parte opposta a quella per cui era venuto.
