
Cola di Rienzo
28 Dicembre 2019
Le crociate
28 Dicembre 2019Il XII secolo rappresenta l’epoca d’oro del fenomeno comunale italiano, un’esperienza politica rivoluzionaria che trasformò radicalmente il panorama dell’Europa medievale e creò forme di autogoverno urbano senza precedenti nella storia occidentale.
Le origini del movimento comunale
Il movimento comunale italiano affonda le radici nella crisi dell’autorità imperiale seguita alla morte di Enrico III nel 1056 e nella conseguente lotta per le investiture. Il vuoto di potere creato dall’indebolimento dell’autorità centrale permise alle città italiane di sviluppare forme autonome di organizzazione politica.
Le prime manifestazioni comunali si verificarono nella seconda metà dell’XI secolo. Milano (1057), Lucca (1080), Pisa (1085) e Genova (1096) furono tra i primi centri a sviluppare istituzioni comunali stabili. Questi esperimenti iniziali nacquero dalla necessità pratica di gestire problemi urbani che l’autorità imperiale non riusciva più a risolvere: la difesa della città, l’amministrazione della giustizia, la regolamentazione dei commerci.
Il comune nasceva tipicamente da un giuramento collettivo (coniuratio) prestato dai cittadini più influenti, che si impegnavano a collaborare per il bene comune e a sottomettersi alle decisioni prese dalla comunità. Questo patto fondativo, spesso accompagnato da rituali religiosi, creava un nuovo soggetto politico basato sul consenso piuttosto che sulla tradizionale legittimità feudale.
La composizione sociale dei primi comuni
La società comunale del XII secolo era caratterizzata da una struttura sociale complessa che rifletteva le trasformazioni economiche dell’epoca. I primi comuni erano dominati dall’aristocrazia urbana, composta da famiglie di origine feudale che avevano trasferito la propria residenza in città mantenendo però estesi possedimenti rurali.
Accanto all’aristocrazia tradizionale emergeva una nuova classe di mercanti arricchitisi attraverso i commerci a lunga distanza. Queste famiglie, spesso di origine modesta, acquisivano rapidamente influenza politica grazie alla loro ricchezza e alle loro competenze amministrative. La fusione tra vecchia aristocrazia e nuova borghesia mercantile creò il ceto dirigente comunale.
Gli artigiani, organizzati in corporazioni sempre più potenti, costituivano il “popolo” comunale. Benché esclusi inizialmente dalle cariche più importanti, rappresentavano una forza economica e politica crescente. Le loro associazioni professionali divennero progressivamente anche strumenti di partecipazione politica.
Le istituzioni comunali
L’organizzazione istituzionale dei comuni del XII secolo variava da città a città, ma presentava caratteristiche comuni che la distinguevano nettamente dalle strutture feudali tradizionali. Il potere esecutivo era affidato ai consoli, magistrati eletti per periodi limitati (generalmente un anno) e sottoposti al controllo della comunità.
Il numero dei consoli variava: Milano ne aveva diciotto, Genova otto, Pisa sei. Questa molteplicità rifletteva la volontà di distribuire il potere ed evitare concentrazioni autoritarie. I consoli erano responsabili dell’amministrazione quotidiana, della giustizia civile e penale, della difesa militare e delle relazioni diplomatiche.
Il Consiglio generale (concio, parlamento) rappresentava l’assemblea di tutti i cittadini aventi diritto politico. Questa istituzione, derivata dalle antiche assemblee popolari, manteneva il potere di controllo sui magistrati e decideva le questioni più importanti: dichiarazioni di guerra, trattati di pace, imposizione di tasse straordinarie, modifiche statutarie.
Il Consiglio di credenza (o consiglio ristretto) fungeva da organo intermedio tra i consoli e l’assemblea generale. Composto da cittadini esperti e influenti, aveva funzioni consultive e preparatorie, elaborando le proposte da sottoporre all’assemblea plenaria.
L’espansione territoriale
I comuni del XII secolo non si limitarono al controllo urbano ma svilupparono ambiziose politiche di espansione territoriale. Il contado (territorio rurale circostante) divenne obiettivo primario della politica comunale, sia per ragioni economiche che strategiche.
Milano estese il proprio controllo su gran parte della Lombardia occidentale, sottomettendo città minori come Como, Lodi e Cremona. Firenze iniziò la sua espansione in Toscana, mentre Venezia consolidava il dominio sulla laguna e iniziava la penetrazione nell’entroterra veneto. Genova e Pisa svilupparono i loro domini marittimi, creando reti commerciali che si estendevano per tutto il Mediterraneo.
Questa espansione avveniva attraverso vari strumenti: conquista militare, sottomissione volontaria di comunità minori, acquisto di diritti signorili, concessioni imperiali. I comuni più potenti imposero spesso la propria egemonia su centri minori, creando sistemi di alleanze subordinate che anticipavano le future signorie territoriali.
L’economia comunale
Il XII secolo coincise con una straordinaria espansione economica che fornì le basi materiali dello sviluppo comunale. La ripresa demografica, l’intensificazione degli scambi commerciali, lo sviluppo dell’artigianato specializzato trasformarono le città italiane in centri economici di rilevanza europea.
Le repubbliche marinare – Venezia, Genova, Pisa, Amalfi – svilupparono reti commerciali che collegavano l’Europa occidentale con Bisanzio e il mondo islamico. I privilegi commerciali ottenuti nell’Impero bizantino e negli stati crociati fornirono alle città italiane vantaggi competitivi decisivi.
L’artigianato urbano raggiunse livelli di specializzazione sconosciuti dall’epoca carolingia. Le corporazioni artigiane (arti) regolavano la produzione, garantivano la qualità dei prodotti, proteggevano i segreti tecnici. Settori come la lavorazione della lana, della seta, dei metalli, del cuoio divennero fonti di ricchezza e prestigio internazionale.
Il sistema bancario, sviluppatosi inizialmente per finanziare i commerci, divenne strumento di influenza politica. Le famiglie bancarie fiorentine, genovesi, lombarde finanziavano sovrani e città, acquisendo un’influenza che trascendeva i confini comunali.
I conflitti con l’Impero
Il XII secolo fu caratterizzato dallo scontro crescente tra i comuni italiani e l’autorità imperiale. Federico Barbarossa (1152-1190) tentò di restaurare l’autorità imperiale in Italia, considerando i comuni come usurpatori di diritti regi.
La dieta di Roncaglia (1158) rappresentò il momento di massima tensione. Federico proclamò la regalìa imperiale su tutti i diritti di sovranità: amministrazione della giustizia, riscossione delle tasse, controllo delle fortificazioni, nomina dei magistrati. Questi decreti colpivano direttamente l’autonomia comunale.
La risposta dei comuni fu la formazione della Lega Lombarda (1167), un’alleanza militare che univa le principali città dell’Italia settentrionale sotto la protezione spirituale del papa Alessandro III. La lega costruì Alessandria come simbolo della resistenza comunale e baluardo contro l’imperatore.
La battaglia di Legnano (29 maggio 1176) segnò la vittoria decisiva dei comuni. La cavalleria imperiale fu sconfitta dalla fanteria comunale, dimostrando che il nuovo sistema urbano possedeva una forza militare superiore a quella feudale tradizionale. Federico stesso rischiò la vita nello scontro e dovette riconoscere la sconfitta.
La pace di Costanza e il riconoscimento dell’autonomia
La pace di Costanza (25 giugno 1183) sancì il compromesso tra l’Impero e i comuni lombardi. Federico Barbarossa riconosceva l’autonomia comunale in cambio del riconoscimento formale della supremazia imperiale e del pagamento di tributi simbolici.
I comuni ottenevano il diritto di eleggere i propri magistrati, amministrare la giustizia, riscuotere tasse, mantenere fortificazioni, stringere alleanze. L’imperatore conservava alcuni diritti teorici ma perdeva ogni possibilità di controllo effettivo.
Questo accordo costituì un precedente fondamentale per il diritto pubblico europeo: per la prima volta nella storia medievale, un imperatore riconosceva formalmente l’autonomia di comunità urbane, legittimando il principio dell’autogoverno cittadino.
Le trasformazioni culturali
Il XII secolo comunale produsse una rivoluzione culturale che accompagnò quella politica. Lo sviluppo del diritto comunale, basato su statuti scritti piuttosto che su consuetudini orali, richiese la formazione di una classe di giuristi specializzati.
La scuola di Bologna, con Irnerio e i suoi successori, divenne il centro di elaborazione del diritto romano giustinianeo, fornendo ai comuni gli strumenti giuridici per legittimare la propria autonomia. Il diritto romano, riscoperto e adattato alle esigenze contemporanee, offriva alternative al diritto feudale tradizionale.
L’architettura comunale rifletteva le nuove esigenze politiche. I palazzi comunali, le torri gentilizie, le cattedrali urbane esprimevano la ricchezza e l’orgoglio civico. Città come San Gimignano, con le sue settantadue torri, divennero simboli della civiltà comunale.
I limiti dell’esperienza comunale
Nonostante i successi, i comuni del XII secolo portavano già in sé i germi delle future crisi. La partecipazione politica, benché più ampia rispetto ai sistemi feudali, rimaneva limitata ai cittadini più abbienti. Gli abitanti del contado erano spesso esclusi dai diritti politici pur essendo sottoposti all’autorità comunale.
Le rivalità tra comuni impedirono spesso la creazione di alleanze stabili. Le guerre intercittadine – Milano contro Cremona, Firenze contro Siena, Genova contro Pisa – dissipavano risorse e energie che avrebbero potuto essere utilizzate per il consolidamento istituzionale.
All’interno delle singole città, le divisioni tra famiglie aristocratiche generavano instabilità croniche. Le fazioni, spesso aggregate intorno a simboli e colori (guelfi e ghibellini, poi), trasformavano i contrasti politici in vendette private e guerre civili.
L’eredità del XII secolo comunale
Il XII secolo comunale lasciò un’eredità duratura nella storia europea. L’idea che l’autorità politica potesse derivare dal consenso dei governati piuttosto che dalla grazia divina o dalla forza militare rappresentò una rivoluzione concettuale di portata storica.
Le istituzioni comunali – elezione dei magistrati, controllo popolare, divisione dei poteri, statuti scritti – anticiparono di secoli principi che sarebbero diventati fondamentali nelle democrazie moderne. Benché l’esperienza comunale si esaurisse progressivamente nelle signorie, l’esempio italiano influenzò lo sviluppo urbano in tutta Europa.
Il XII secolo comunale italiano rappresenta così uno dei momenti più creativi della storia politica occidentale: un laboratorio di sperimentazione istituzionale che produsse forme di governo innovative e durature, dimostrando che alternative al sistema feudale erano possibili e praticabili.