
Il duello finale e la morte di Turno, Eneide, XII, 710-885
28 Dicembre 2019
Figure retoriche di suono e di ordine
28 Dicembre 2019Il Delitto e il Suicidio di Jacopo Ortis: Una Nuova Analisi dai Testi di Foscolo
Le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo (pubblicate in diverse edizioni tra il 1798 e il 1817) sono un’opera cardine del Romanticismo italiano, che narra la tragica vicenda di un giovane patriota e innamorato. La sua storia culmina in un duplice dramma: un “delitto” involontario e il suicidio finale, entrambi espressioni di una profonda disperazione e di un’anima tormentata. È fondamentale, come suggerito dai brani forniti, distinguere la natura di questi due eventi.
1. Il Contesto della Disperazione di Jacopo
Jacopo Ortis è un giovane intellettuale veneto, animato da ardenti ideali di libertà e giustizia. La sua esistenza è segnata da una duplice, lacerante disillusione:
- Politica: Il Trattato di Campoformio (1797), con cui Napoleone cede Venezia all’Austria, annienta le sue speranze patriottiche, lasciandolo senza patria e senza un ideale per cui lottare.
- Amorosa: Esiliato sui Colli Euganei, si innamora perdutamente di Teresa, ma il loro amore è impossibile a causa del matrimonio combinato di lei con Odoardo, un uomo che Jacopo disprezza per la sua mediocrità e mancanza di ideali.
Questa doppia frustrazione lo spinge in una spirale di dolore e solitudine, che lo porta a gesti estremi.
2. Il “Delitto”: L’Incidente del 14 Marzo
Come rivelato nella lettera del 14 marzo, il “delitto” a cui Jacopo si riferisce non è l’omicidio premeditato di Odoardo, ma un tragico incidente che ha avuto conseguenze fatali per un innocente. Jacopo confessa all’amico Lorenzo un segreto che lo tormenta da mesi:
“Lorenzo, ho un secreto che da più mesi mi sta confitto nel cuore: ma l’ora della partenza sta per suonare; ed è tempo ch’io lo deponga dentro il tuo petto. Questo amico tuo ha sempre davanti un cadavere.”
Il racconto prosegue descrivendo l’evento: in un momento di “forsennato dolore”, mentre cavalca furiosamente di sera, quasi desiderando la propria morte, si imbatte in un uomo in un viale stretto. Nonostante i suoi tentativi di avvertire, il cavallo imbizzarrito investe e uccide l’uomo:
“Entrando in un viale tutto alberi, stretto, lunghissimo, vidi una persona — ripresi le briglie; ma il cavallo più s’irritava e più impetuosamente lanciavasi. Tienti a sinistra, gridai, a sinistra! Quello sfortunato m’intese; corse a sinistra; ma sentendo più imminente lo scalpito, e in quello stretto sentiero credendosi addosso il cavallo, ritornava sgomentato a diritta, e fu investito, rovesciato, e le zampe gli frantumarono le cervella.”
Jacopo assiste impotente all’agonia dell’uomo, che spira tra le sue braccia. La natura stessa sembra riflettere il suo turbamento interiore in quella notte tempestosa. Sebbene nessuno lo accusi formalmente, il senso di colpa lo divora:
“Ma mi accusavano le benedizioni di quella vedova perchè ho subitamente collocata la sua figlia col nipote del castaldo; e assegnato un patrimonio al figliuolo che si volle far prete.”
Jacopo, pur non essendo imputato legalmente, sente il peso morale di aver causato la morte e cerca di espiare la sua colpa aiutando economicamente la famiglia del defunto. Questo episodio, un’uccisione involontaria, aggiunge un ulteriore strato di tormento e rimorso alla sua già fragile psiche, alimentando la sua convinzione che gli uomini siano destinati a “struggersi scambievolmente”.
3. Il Suicidio: La Scelta Finale di Libertà
Il suicidio di Jacopo non è un gesto improvviso, ma la conclusione inevitabile di un lungo percorso di disillusione, dolore e incapacità di trovare un posto nel mondo. Nelle sue ultime parole, egli preannuncia la sua decisione:
“Sto col piè nella fossa; eppure tu anche in questo frangente ritorni, come solevi, davanti a questi occhi che morendo si fissano in te, in te che sacra risplendi di tutta la tua bellezza. E fra poco! Tutto è apparecchiato; la notte è già troppo avvanzata – addio – fra poco saremo disgiunti dal nulla, o dalla incomprensibile eternità.”
Il suicidio è per Jacopo l’atto estremo di libertà e di affermazione di sé in un’esistenza che gli ha negato ogni possibilità di realizzazione. Egli desidera morire “incontaminato, e padrone di me stesso, e pieno di te [Teresa], e certo del tuo pianto!”. Le sue ultime righe sono dedicate a Teresa, scagionandola da ogni colpa e chiedendole di vivere per i loro genitori.
Il resoconto finale di Lorenzo descrive il momento della morte:
“Jacopo agonizzante nel proprio sangue. Spalancò le finestre chiamando gente, e perché nessuno accorreva, s’affrettò a casa del chirurgo, ma non lo trovò… S’era piantato un pugnale sotto la mammella sinistra ma se l’era cavato dalla ferita, e gli era caduto a terra.”
Jacopo muore con il ritratto di Teresa al collo, un simbolo del suo amore disperato. La sua scelta di lasciare perdere il sangue, pur non avendo colpito direttamente il cuore, mostra la sua ferma volontà di porre fine alla sua vita.
4. Il Legame tra l’Incidente e il Suicidio: La Spirale della Disperazione
Sebbene il “delitto” sia un incidente e il suicidio un atto volontario, entrambi sono manifestazioni della profonda disperazione di Jacopo e della sua incapacità di affrontare un mondo che lo soffoca:
- Il Peso del Rimorso: L’incidente del 14 marzo aggiunge un ulteriore, insopportabile peso di colpa e tormento all’animo già provato di Jacopo. Questo rimorso lo accompagna fino alla fine, come confessa a Lorenzo: “non posso allontanarmi con questo rimorso sepolto.”
- L’Inettitudine alla Vita: Entrambi gli eventi sottolineano l’estrema sensibilità di Jacopo e la sua inettitudine a vivere in un mondo che non corrisponde ai suoi ideali. La sua incapacità di gestire le passioni e le delusioni lo porta a gesti estremi, sia involontari (l’incidente) che volontari (il suicidio).
- La Morte come Unica Via: L’incidente, con il suo carico di colpa, e le delusioni politiche e amorose, convergono nel convincere Jacopo che la morte sia l’unica liberazione da un’esistenza insopportabile. Il suicidio diventa l’atto finale di un uomo che, pur non essendo un assassino nel senso comune del termine, è schiacciato dal peso della vita e del proprio animo tormentato.
5. Temi Centrali
La vicenda di Jacopo Ortis, con il suo “delitto” involontario e il suo suicidio, esplora temi fondamentali del Romanticismo:
- Il Disincanto Politico: La perdita degli ideali e la sofferenza per la patria tradita.
- L’Amore Assoluto e Impossibile: Una passione che, non potendo realizzarsi, conduce alla distruzione.
- Il Conflitto tra Ideale e Reale: L’impossibilità per l’eroe romantico di conciliare i propri sogni con la cruda realtà.
- La Solitudine e l’Alienazione: L’isolamento di un animo sensibile in un mondo che non lo comprende.
- La Morte come Libertà Estrema: Il suicidio come unico atto di autodeterminazione in un’esistenza senza speranza.
- Il Senso di Colpa e l’Espiazione: Il tormento per l’incidente, che aggiunge complessità al suo percorso di sofferenza.
Conclusione
Il “delitto” di Jacopo Ortis, ovvero l’uccisione involontaria di un contadino, è un episodio cruciale che intensifica il suo tormento interiore, aggiungendosi alle delusioni politiche e amorose. Non si tratta di un omicidio premeditato di Odoardo, ma di un tragico incidente che lo perseguita con un profondo senso di colpa. Questo evento, unito all’amore impossibile per Teresa e alla disillusione politica, lo spinge verso il suicidio, l’atto finale di un’anima che non trova pace. Jacopo Ortis incarna così l’eroe romantico per eccellenza, la cui vicenda, intrisa di dolore e disperazione, continua a risuonare per la sua potente esplorazione dei limiti della condizione umana di fronte a un destino avverso.

Tre brani tratti da Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo
1) Il delitto ( dalla lettera del 14 marzo)
Lorenzo, ho un secreto che da più mesi mi sta confitto nel cuore: ma l’ora della partenza sta per suonare; ed è tempo ch’io lo deponga dentro il tuo petto.
Questo amico tuo ha sempre davanti un cadavere. — Ho fatto quanto io doveva; quella famiglia è da quel giorno men povera — ma il padre loro rivive più?
In uno di que’ giorni del mio forsennato dolore, son omai dieci mesi, io cavalcando m’allontanai più miglia. Era la sera; io vedeva sorgere un tempo nero, e tornando affrettavami:
il cavallo divorava la via, e nondimeno i miei sproni lo insanguinavano; e gli abbandonai tutte le briglie sul collo, invocando quasi ch’ei rovinasse e si seppellisse con me. Entrando in un viale tutto alberi, stretto, lunghissimo, vidi una persona — ripresi le briglie; ma il cavallo più s’irritava e più impetuosamente lanciavasi. Tienti a sinistra, gridai, a sinistra! Quello sfortunato m’intese; corse a sinistra; ma sentendo più imminente lo scalpito, e in quello stretto sentiero credendosi addosso il cavallo, ritornava sgomentato a diritta, e fu investito, rovesciato, e le zampe gli frantumarono le cervella.
In quel violento urto il cavallo stramazzò, balzandomi di sella più passi. Perchè rimasi vivo ed illeso? — Corsi ove intendeva un lamento di moribondo: l’uomo agonizzava boccone in una palude di sangue: lo scossi: non aveva nè voce nè sentimento; dopo minuti spirò. Tornai a casa. Quella notte fu anche burrascosa per tutta la natura; la grandine desolò le campagne; le folgori arsero molti alberi, e il turbine fracassò la cappella di un crocefisso: ed io uscii a perdermi tutta la notte per le montagne con le vesti e l’anima insanguinata, cercando in quello sterminio la pena della mia colpa. Che notte! Credi tu che quel terribile spettro mi abbia perdonato mai?
– La mattina dopo, assai se ne parlò: si trovò il morto in quel viale, mezzo miglio più lontano, sotto un mucchio di sassi fra due castagni schiantati che attraversavano il cammino; la pioggia che sino all’alba cascò dalle alture a torrenti ve lo strascinò con que’ sassi; aveva le membra e la faccia a brani; e fu conosciuto per le strida della moglie che lo cercava. Nessuno fu imputato. Ma mi accusavano le benedizioni di quella vedova perchè ho subitamente collocata la sua figlia col nipote del castaldo; e assegnato un patrimonio al figliuolo che si volle far prete. E jer sera vennero a ringraziarmi di nuovo dicendomi, ch’io gli ho liberati dalla miseria in cui da tanti anni languiva la famiglia di quel povero lavoratore. –
Ah! vi sono pure tanti altri miseri come voi; ma hanno un marito ed un padre che li consola con l’amor suo, e che essi non cangerebbero per tutte le ricchezze della terra – e voi!
Così gli uomini nascono a struggersi scambievolmente.
Fuggono da quel viale tutti i villani, e tornandosi da’ lavori, per iscansarlo, passano per le praterie. Si dice che le notti vi si sentono spiriti; che l’uccello del mal augurio siede fra quelle arbori, e dopo la mezzanotte urla tre volte; che qualche sera si è veduta passare una persona morta – nè io ardisco disingannarli, nè ridere di tali prestigj. Ma svelerai tutto dopo la mia morte. Il viaggio è rischioso, la mia salute è incerta; non posso allontanarmi con questo rimorso sepolto. Que’ due figliuoli in ogni loro disgrazia e quella vedova sieno sacri nella mia casa. Addio.
2) Il suicidio preannunziato nelle parole di Jacopo
XXX – Ore 1
Ho visitato le mie montagne, ho visitato il lago de’ cinque fonti, ho salutato per sempre le selve, i campi, il cielo. O mie solitudini! o rivo, che mi hai la prima volta insegnato la casa di quella fanciulla celeste! quante volte ho sparpagliato i fiori su le tue acque che passavano sotto le sue finestre! quante volte ho passeggiato con Teresa per le tue sponde, mentr’io inebbriandomi della voluttà di adorarla, vuotava a gran sorsi il calice della morte.
Sacro gelso! ti ho pure adorato; ti ho pure lasciati gli ultimi gemiti, e gli ultimi ringraziamenti. Mi sono prostrato, o mia Teresa, presso a quel tronco; e quell’erba ha dianzi bevute le più dolci lagrime ch’io abbia versato mai; mi pareva ancora calda dell’orma del tuo corpo divino; mi pareva ancora odorosa. Beata sera! come tu sei stampata nel mio petto! – io stava seduto al tuo fianco, o Teresa, e il raggio della luna penetrando fra i rami illuminava il tuo angelico viso! io vidi scorrere su le tue guance una lagrima; e la ho succhiata, e le nostre labbra, e i nostri respiri, si sono confusi, e l’anima mia si trasfondea nel tuo petto.
Era la sera de’ 13 Maggio era giorno di giovedì. Da indi in qua non è passato momento ch’io non mi sia confortato con la ricordanza di quella sera: mi sono reputato persona sacra, e non ho degnata più alcuna donna di un guardo credendola immeritevole di me – di me che ho sentita tutta la beatitudine di un tuo bacio.
T’amai dunque t’amai, e t’amo ancor di un amore che non si può concepire che da me solo. È poco prezzo, o mio angelo, la morte per chi ha potuto udir che tu l’ami, e sentirsi scorrere in tutta l’anima la voluttà del tuo bacio, e piangere teco – io sto col piè nella fossa; eppure tu anche in questo frangente ritorni, come solevi, davanti a questi occhi che morendo si fissano in te, in te che sacra risplendi di tutta la tua bellezza. E fra poco! Tutto è apparecchiato; la notte è già troppo avvanzata – addio – fra poco saremo disgiunti dal nulla, o dalla incomprensibile eternità.
Nel nulla? Sì. – Sì, sì; poiché sarò senza di te, io prego il sommo Iddio, se non ci riserba alcun luogo ov’io possa riunirmi teco per sempre, le prego dalle viscere dell’anima mia, e in questa tremenda ora della morte, perché egli m’abbandoni soltanto nel nulla. Ma io moro incontaminato, e padrone di me stesso, e pieno di te, e certo del tuo pianto! Perdonami, Teresa, se mai – ah consolati, e vivi per la felicità de’ nostri miseri genitori; la tua morte farebbe maledire le mie ceneri.
Che se taluno ardisse incolparti del mio infelice destino, confondilo con questo mio giuramento solenne ch’io pronunzio gittandomi nella notte della morte: Teresa è innocente. – Ora tu accogli l’anima mia.
3) Il suicidio nel resoconto di Lorenzo, con il quale si chiude il romanzo
Il ragazzo, che dormiva nella camera contigua all’appartamento di Jacopo, fu scosso come da un lungo gemito: tese l’orecchio per sincerarsi s’ei lo chiamava; aprì la finestra sospettando ch’io avessi gridato all’uscio, da che stava avvertito ch’io sarei tornato sul far del dì; ma chiaritosi che tutto era quiete e la notte ancor fitta, tornò a coricarsi e si addormentò. Mi disse poi che quel gemito gli aveva fatto paura: ma che non vi badò più che tanto perché il suo padrone soleva alle volte smaniare fra il sonno.
La mattina, Michele dopo aver bussato e chiamato un pezzo alla porta, sconficcò il chiavistello; e non udendosi rispondere nella prima camera, s’innoltrò perplesso; e al chiarore della lucerna che ardeva tuttavia, gli si affacciò Jacopo agonizzante nel proprio sangue. Spalancò le finestre chiamando gente, e perché nessuno accorreva, s’affrettò a casa del chirurgo, ma non lo trovò perché assisteva a un moribondo; corse al parroco, ed anch’esso era fuori per lo stesso motivo.
Entrò ansante nel giardino di casa T*** mentre Teresa scendeva per uscire di casa con suo marito, il quale appunto dicevale come dianzi avea risaputo che in quella notte Jacopo non era altrimenti partito; ed ella sperò di potergli dire addio un’altra volta: e scorgendo il servo da lontano voltò il viso verso il cancello donde Jacopo soleva sempre venire, e con una mano si sgombrò il velo che cadevale sulla fronte, e rimirava intentamente, costretta da dolorosa impazienza di accertarsi s’ei pur veniva:
e le si accostò a un tratto Michele domandando aiuto, perché il suo padrone s’era ferito, e che non gli parea ancora morto: ed essa ascoltavalo immobile con le pupille fitte sempre verso il cancello: poi senza mandare lagrima né parola, cascò tramortita fra le braccia di Odoardo.
Il signore T*** accorse sperando di salvare la vita del suo misero amico. Lo trovò steso sopra un sofà con tutta quasi la faccia nascosta fra’ cuscini: immobile, se non che ad ora ad ora anelava. S’era piantato un pugnale sotto la mammella sinistra ma se l’era cavato dalla ferita, e gli era caduto a terra. Il suo abito nero e il fazzoletto da collo stavano gittati sopra una sedia vicina. Era vestito del gilè, de’ calzoni lunghi e degli stivali; e cinto d’una fascia larghissima di seta di cui un capo pendeva insanguinato, perché forse morendo tentò di svolgersela dal corpo.
Il signore T*** gli sollevava lievemente dal petto la camicia, che tutta inzuppata di sangue gli si era rappressa su la ferita. Jacopo si risentì; e sollevò il viso verso di lui; e riguardandolo con gli occhi nuotanti nella morte, stese un braccio, come per impedirlo, e tentava con l’altro di stringergli la mano – ma ricascando con la testa su i guanciali, alzò gli occhi al cielo, e spirò.
La ferita era assai larga, e profonda; e sebbene non avesse colpito il cuore, egli si affrettò la morte lasciando perdere il sangue che andava a rivi per la stanza. Gli pendeva dal collo il ritratto di Teresa tutto nero di sangue, se non che era alquanto polito nel mezzo; e le labbra insanguinate di Jacopo fanno congetturare ch’ei nell’agonia baciasse la immagine della sua amica. Stava su lo scrittojo la Bibbia chiusa, e sovr’essa l’oriuolo; e presso, varj fogli bianchi;
in uno de’ quali era scritto: Mia cara madre: e da poche linee cassate, appena si potea rilevare, espiazione; e più sotto; di pianto eterno. In un altro foglio si leggeva soltanto l’indirizzo a sua madre, come se pentitosi della prima lettera ne avesse incominciata un’altra che non gli bastò il cuore di continuare.
Appena io giunsi da Padova ove m’era convenuto indugiare più ch’io non voleva, fui sopraffatto dalla calca de’ contadini che s’affollavano muti sotto i portici del cortile; ed altri mi guardavano attoniti, e taluno mi pregava che non salissi. Balzai tremando nella stanza, e mi s’appresentò il padre di Teresa gettato disperatamente sopra il cadavere; e Michele ginocchione con la faccia per terra. Non so come ebbi tanta forza d’avvicinarmi e di porgli una mano sul cuore presso la ferita; era morto, freddo.
Mi mancava il pianto e la voce; ed io stava guardando stupidamente quel sangue: finché venne il parroco e subito dopo il chirurgo, i quali con alcuni famigliari ci strapparono a forza dal fiero spettacolo. Teresa visse in tutti que‘ giorni fra il lutto de’ suoi in un mortale silenzio. – La notte mi strascinai dietro al cadavere che da tre lavoratori fu sotterrato sul monte de’ pini.
FINE
