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La sua scrittura e il suo parlato, con un linguaggio ricco e denso di significato, sono caratterizzati da un utilizzo particolare di parole “peregrine”, cioè rare, desuete, talvolta arcaiche, che spesso si riflettono in una sintassi “antica”. In questo articolo, esploreremo come le parole desuete come “debordare” e la costruzione sintattica caratteristica del suo stile contribuiscano alla bellezza e al valore del suo pensiero.
L’uso delle parole “peregrine” e desuete nel linguaggio di Don Luigi Giussani
Don Luigi Giussani era un maestro della lingua, ma non nel senso sterile della purezza linguistica. Al contrario, il suo linguaggio si distingue per la capacità di risvegliare il lettore, costringendolo a fermarsi e riflettere su ogni singola parola. Le parole che Giussani utilizza non sono solo strumenti comunicativi, ma veri e propri veicoli di significato profondo.
Una delle parole che meglio rappresentano questa caratteristica è “debordare”. Sebbene oggi non sia più di uso comune, in Giussani viene utilizzata con una forza emotiva e concettuale che trascende il suo semplice significato di “superare un limite”. Per Giussani, infatti, “debordare” non è solo un atto fisico o spaziale, ma diventa una metafora esistenziale. Esprime l’idea di un’esperienza che travalica i confini imposti dalla razionalità e dalla normalità, aprendo nuove dimensioni di comprensione della realtà.
Utilizzare una parola come “debordare”, con la sua carica di antico e quasi poetico significato, permette a Giussani di trasmettere la sensazione di un movimento esistenziale che travalica la quotidianità, un passaggio dalla vita ordinaria a quella straordinaria che segna l’incontro con il Mistero, il Divino. In un’epoca in cui il linguaggio si fa sempre più superficiale, la scelta di parole rare, ma ricche di connotazioni, diventa un atto di grande profondità e di richiamo all’intimità dell’esperienza umana.
La sintassi “antica” nel parlato e negli scritti di Don Luigi Giussani
Un altro aspetto distintivo del linguaggio di Don Luigi Giussani è la sintassi “antica”. L’uso di strutture sintattiche complesse, talvolta articolate e apparentemente arcaiche, conferisce ai suoi scritti una gravitas che rimanda ad una tradizione culturale più profonda, lontana dalla modernità più superficiale.
Giussani non temeva di combinare frasi lunghe, subordinate e riflessioni intricate, che potessero sfidare il lettore a seguire il suo pensiero con attenzione e passione. Questo stile non era solo un esercizio formale, ma una scelta di comunicazione che richiamava la necessità di un incontro profondo con il contenuto, che andava ben oltre la comprensione immediata. La sintassi di Giussani rimandava a una scrittura che invita al silenzio, alla riflessione profonda, quasi come se ogni parola, ogni pensiero, dovesse essere ponderato con il massimo della consapevolezza.
Nel suo linguaggio, infatti, non ci sono frasi brevi e sbrigative, ma periodi che scorrono lentamente, pieni di significato, capaci di coinvolgere l’intero lettore o ascoltatore. Questo non è solo un aspetto stilistico, ma esprime anche un’attitudine esistenziale. La vita non si riduce a un passaggio veloce. La realtà, secondo Giussani, va affrontata con pazienza, in profondità, senza fretta, e il suo linguaggio ne è la riprova.
Il valore della parola come strumento di conoscenza
Nel suo utilizzo delle parole “peregrine” e della sintassi “antica”, Giussani non mira solo a distinguersi stilisticamente, ma soprattutto a spingere il lettore o l’ascoltatore verso una maggiore consapevolezza. La parola, per lui, non è semplicemente un mezzo per esprimere concetti, ma uno strumento che modella il pensiero e il cuore dell’individuo.
Quando Giussani utilizza un termine come “debordare”, sta invitando a “oltrepassare” i confini della normalità per entrare in una dimensione superiore della vita. Allo stesso modo, quando adotta una sintassi “antica”, lo fa per concentrare l’attenzione sull’essenza delle cose, sfidando il lettore a non rimanere sulla superficie ma ad immergersi in un significato più profondo, a ragionare sulla propria esistenza in modo diverso.
Conclusioni
Lo stile linguistico di Don Luigi Giussani, ricco di parole “peregrine” e di una sintassi “antica”, è un invito ad una riflessione profonda e continua sulla realtà che ci circonda. Le sue parole, anche se desuete o difficili da comprendere, possiedono una forza emotiva e intellettuale che va ben oltre la superficie del linguaggio quotidiano, mettendo in evidenza la necessità di oltrepassare il consueto per arrivare al cuore delle cose. Giussani ci insegna che il linguaggio, quando è usato con consapevolezza, è un potente strumento per comprendere e vivere la realtà in modo autentico e profondo.
Il suo linguaggio, con le sue parole desuete e la sintassi complessa, ci ricorda che la vera comprensione delle cose richiede tempo, pazienza, e un’inclinazione all’approfondimento, qualità che oggi sono troppo spesso dimenticate nella frenesia del vivere quotidiano.