
Il duello tra Ettore e Achille. Libro XXII dell’ Iliade vv. 247-371
28 Dicembre 2019
Ettore veste le armi di Achille Libro XVII dell’ Iliade vv.183-236
28 Dicembre 2019Il racconto “Il palazzo incantato” di Italo Calvino, tratto dalla raccolta Fiabe italiane , è un esempio straordinario di narrazione fiabesca che combina elementi fantastici, avventura e riflessioni morali.
Attraverso una struttura narrativa ricca di simboli e colpi di scena, Calvino riesce a creare una storia che affascina il lettore, mantenendo l’essenza delle tradizioni popolari italiane. Di seguito, analizziamo i temi principali, i personaggi e il significato del racconto.
1. La figura di Fiordinando: il passaggio dall’intelletto all’azione
Il protagonista della storia, Fiordinando , è presentato inizialmente come un giovane studioso, chiuso nella sua stanza tra i libri, completamente immerso nel mondo dell’intelletto. Tuttavia, la sua vita cambia radicalmente quando decide di provare qualcosa di nuovo, ossia la caccia, sotto l’influenza del cacciatore del Re. Questo cambiamento rappresenta il passaggio dall’intelletto all’azione, dal mondo astratto delle idee al contatto diretto con la realtà.
- Simbolismo della caccia : La caccia può essere vista come metafora della ricerca della conoscenza e della scoperta del mondo. Fiordinando, pur essendo inesperto, si impegna a seguire il cacciatore, ma finisce per perdersi nel bosco. Questa perdita simboleggia il momento di crisi in cui il giovane si trova di fronte a qualcosa di sconosciuto e misterioso.
- La trasformazione del protagonista : Dopo l’incontro con il “palazzo incantato”, Fiordinando non è più lo stesso. Il suo sguardo si distoglie dai libri e si rivolge verso il bosco, simbolo del desiderio di esplorare nuovi orizzonti. Questo cambiamento evidenzia il tema universale della crescita personale e della ricerca della propria identità.
2. Il palazzo incantato: il mistero e l’incantesimo
Il “palazzo incantato” rappresenta uno degli elementi centrali della fiaba. È un luogo magico, ricco di tesori e di bellezza, ma anche carico di mistero e di regole non dichiarate. L’incontro con la Regina velata introduce un ulteriore livello di complessità alla storia.
- La Regina velata : La figura della Regina è ambigua e sfuggente. Coperta da un velo, incarna l’ignoto e il mistero. Il suo silenzio e il suo comportamento enigmatico riflettono l’idea che alcune verità possono essere nascoste o inaccessibili fino a quando non si compie un gesto decisivo (in questo caso, lo strappo del velo).
- L’incantesimo e la rottura : L’incantesimo che lega la Regina è un elemento classico delle fiabe. Esso può essere interpretato come simbolo delle barriere che impediscono il raggiungimento di un obiettivo o di un amore. Lo strappo del velo da parte di Fiordinando rappresenta il tentativo di rompere queste barriere, ma anche l’errore fatale che rimanda la soluzione del problema.
3. Il tema del destino e della perseveranza
Un altro tema centrale della fiaba è quello del destino e della necessità di agire con determinazione per raggiungere un obiettivo. Dopo aver perso l’opportunità di sposare la Regina a causa del suo gesto impulsivo, Fiordinando intraprende un lungo viaggio per ritrovarla. Questo viaggio è pieno di ostacoli e prove, ma dimostra la sua perseveranza e il suo amore.
- Le prove di Parigi : A Parigi, Fiordinando deve affrontare un ulteriore ostacolo: il sonno indotto dall’oppio somministrato dalla figlia dell’oste. Questo episodio mette in luce il conflitto tra il desiderio personale (il matrimonio con la Regina) e le interferenze esterne (l’amore non corrisposto della figlia dell’oste). Nonostante tutto, Fiordinando non si arrende.
- La giostra di Pietroburgo : La prova finale, la giostra, rappresenta il culmine del percorso di Fiordinando. Grazie agli oggetti magici lasciati dalla Regina (l’anello, la ciocca di capelli e il fazzoletto), egli riesce a vincere e a liberare la Regina dall’incantesimo. Questo momento sottolinea l’importanza della fiducia nel destino e della capacità di cogliere le opportunità quando si presentano.
4. L’eremita: il custode della saggezza
L’eremita che osserva gli eventi da una grotta rappresenta una figura archetipica presente in molte fiabe: il saggio che guida il protagonista verso la soluzione del problema. Egli custodisce gli oggetti magici e fornisce a Fiordinando le informazioni necessarie per vincere la giostra.
- Funzione narrativa : L’eremita funge da mediatore tra il mondo umano e quello soprannaturale. La sua presenza aggiunge un ulteriore strato di misticismo alla storia, rafforzando il tema della magia e del destino.
5. Il lieto fine e il messaggio morale
Il racconto si conclude con il matrimonio tra Fiordinando e la Regina, un esito tipico delle fiabe che celebra l’unione tra amore e destino. Tuttavia, il lieto fine non è solo una conclusione narrativa, ma anche un messaggio morale.
- Il valore della perseveranza : Fiordinando riesce a raggiungere il suo obiettivo grazie alla sua tenacia e alla sua volontà di superare gli ostacoli. Questo insegna al lettore che, anche di fronte alle difficoltà, non bisogna mai arrendersi.
- Il rispetto per il mistero : Lo strappo del velo commesso da Fiordinando è un errore che ritarda la soluzione del problema. Questo dettaglio suggerisce che alcune verità devono essere rivelate nel momento giusto e con il giusto approccio.
Conclusione
“Il palazzo incantato” è una fiaba che combina elementi fantastici, avventura e riflessioni morali. Attraverso la storia di Fiordinando e della Regina velata, Calvino esplora temi universali come la crescita personale, il destino, la perseveranza e il rispetto per il mistero. La narrazione, ricca di simboli e colpi di scena, mantiene viva l’attenzione del lettore, mentre il lieto fine conferma il potere trasformativo dell’amore e della determinazione.
In sintesi, “Il palazzo incantato” è una fiaba che incarna perfettamente lo stile di Italo Calvino, combinando tradizione popolare e profondità narrativa. Attraverso una serie di prove e avventure, il protagonista Fiordinando impara a superare le sue debolezze e a perseguire il suo destino, dimostrando che l’amore e la perseveranza possono vincere anche gli ostacoli più grandi.
Testo del racconto Il palazzo incantato (Montale Pistoiese)
Un Re dei tempi antichi aveva un figlio chiamato Fiordinando che non si levava mai d’in sui libri. Leggeva, sempre chiuso nella sua stanza, chiudeva il libro e guardava dalla finestra il giardino e le foreste, e riprincipiava a leggere e a pensare. Dalla sua camera non usciva che per colazione o per pranzo; di rado lo si vedeva far due passi nel giardino.
Un giorno, il cacciatore del Re, giovane svelto, che era stato bambino con il Principe, disse al Re: – Mi permette, Maestà, d’andare a far visita a Fiordinando? È tanto tempo che non lo vedo! Disse il Re: – Va’ pure. La tua visita servirà di svago a quel mio bravo figlio.
Andò dunque il cacciatore nella camera di Fiordinando, che gli chiese: – Che mestiere fai tu, a Corte, con codesti scarponi? Rispose il giovane: – Sono il cacciatore del Re, – e gli descrisse la varietà della selvaggina, le astuzie degli uccelli e delle lepri e le località della foresta. A Fiordinando s’accese la fantasia. – Senti, – disse al giovane, – voglio provare anch’io a cacciare. Tu non dir nulla a mio padre, che io non paia messo su da te; gli chiederò io se mi lascia venire un mattino con te. – Sempre al suo comando, – disse il giovane.
Il giorno dopo a colazione Fiordinando disse al Re: – Ho letto ieri un libro che parla di caccia, e m’è tanto piaciuto che non vedo l’ora di far la prova anch’io. Me lo permette? – La caccia è uno spasso pieno di pericoli, – rispose il Re, – per chi non v’è avvezzo. Pure, non voglio che tu rinunci a una cosa che ti piace. Ti darò per compagno il mio cacciatore, che sa il mestiere come nessun altro. Non t’allontanare mai da lui.
E la mattina al levar del sole, Fiordinando e il cacciatore montarono a cavallo con l’arma a tracolla, e via nel bosco. Il cacciatore ogni uccello o lepre che vedeva tirava e li stendeva morti; Fiordinando s’industriava a stargli dietro e a tirare lui pure, ma non pigliava mai nulla. Passò il giorno e il cacciatore aveva un carniere così pieno che non ce la faceva più a reggerlo, e Fiordinando non aveva buttato giù neanche una piuma. Venne sera: e lì tra il chiaro e il buio, Fiordinando vide un leprottino acquattarsi in un cespuglio, e fece per tirargli; ma era tanto piccolo e spaurito, che pensò di poterlo acchiappare con le mani. Corse al cespuglio ma proprio in quel momento il leprotto schizzò via; e Fiordinando dietro.
Ogni volta che gli era sopra, il leprotto scappava lontano, e poi si sarebbe detto si fermasse ad aspettarlo, per scappare ancora via di nuovo. Ora Fiordinando s’era tanto allontanato dal cacciatore, che non avrebbe più saputo ritrovar la strada. Lanciò un grido di richiamo, poi un altro, e un altro ancora: nessuno gli rispose. Era buio. Il leprotto era sparito.
Fiordinando scese di sella, stanco morto, e si sedette a piè d’un albero, col cuore in pena. Ed ecco che di tra gli alberi, nel buio, gli sembrò di vedere un luccichio. Prese il cavallo per la briglia e si addentrò nel folto. In mezzo al bosco s’apriva un grande prato, e in fondo al prato era un ricchissimo palazzo.
Il portone era aperto e Fiordinando chiese: – Ehi, di casa! – Nessuno rispondeva, neanche l’eco. Entrò. C’era una sala, il caminetto acceso, vino e bicchieri. Fiordinando sedette a riposarsi e scaldarsi e bere un po’ di vino. Poi s’alzò, e passò in una sala, con una tavola imbandita per due persone. Posate, piatti e bicchieri erano d’oro e d’argento; le tende, la tovaglia e i tovaglioli erano tutta seta trapuntata di perle e diamanti; e dal soffitto penzolavano lampadari d’oro massiccio grandi come corbe. Visto che non c’era nessuno e che aveva una gran fame, Fiordinando si sedette.
Aveva appena portato alla bocca la prima cucchiaiata, quando sentì un fruscìo di vestiti giù per la scala, si voltò e vide entrare una Regina con un seguito di dodici damigelle. La Regina era giovane e bellissima nella persona, ma il viso l’aveva nascosto da un gran velo: non parlò e pure le dodici damigelle restarono mute. Così silenziosa, la Regina si sedette di fronte a Fiordinando, e le damigelle servivano e mescevano, zitte. Il pranzo si svolse così in silenzio e la Regina si portava i cibi alla bocca sotto quel fitto velo. Finito che ebbero, la Regina s’alzò e le damigelle la riaccompagnarono via su per la scala. Fiordinando s’alzò lui pure e riprese a girare il palazzo.
C’era una camera principesca con un letto pronto pel riposo, e Fiordinando si spogliò e si gettò tra le coltri. Dietro al baldacchino c’era una porticina segreta: s’aperse ed entrò la Regina sempre zitta e velata, con le dodici damigelle dietro. Fiordinando con un gomito puntato al capezzale, stava a vedere a bocca aperta. Le damigelle spogliarono la Regina lasciandole soltanto il velo in capo, la posero a giacere a fianco di Fiordinando e se n’andarono. Adesso Fiordinando s’aspettava che dicesse qualcosa o si scoprisse: invece era già caduta addormentata. Lui stette un po’ a guardare il velo che s’alzava e s’abbassava al suo respiro, ci pensò un po’ su, e si buttò a dormire anche lui.
All’alba tornarono le damigelle, rivestirono la Regina e la ricondussero via. Fiordinando s’alzò anche lui, fece una buona colazione che trovò già apparecchiata e poi scese nelle stalle. C’era il suo cavallo che mangiava biada; Fiordinando montò in sella e galoppò nel bosco: per tutto il giorno cercò di ritrovare una strada che lo riportasse a casa o una traccia del suo compagno cacciatore, ma si perdette ancora, e quando venne buio, gli riapparvero il prato ed il palazzo.
Entrò, e gli successero di nuovo tutte le cose della prima sera: ma l’indomani, mentre galoppava di nuovo nel bosco, s’imbatté nel cacciatore che da tre giorni stava cercandolo, e insieme tornarono in città. Alle domande del cacciatore, Fiordinando abborracciò una storia di lunghi contrattempi, ma non rivelò la sua avventura.
Tornato alla Reggia, Fiordinando non si mostrava più quello di prima. Il suo sguardo non riusciva a fermarsi sulle pagine dei libri e correva fuori della finestra, verso il bosco. A vederlo così imbronciato, uggito e appassionato, la madre cominciò a metterglisi intorno senza dargli tregua, per sapere il segreto che covava. Una domanda oggi, una preghiera domani, finalmente Fiordinando le raccontò da cima a fondo quel che gli era successo nel bosco, e le disse chiaro e tondo che era innamorato di quella bella Regina e che non sapeva come fare ad averla in sposa, dato che lei non parlava e non mostrava neanche il viso.
E la madre: – Adesso ti dico io come devi fare. Va’ a cena con lei ancora una volta, e quando siete a tavola fa’ in modo di farle cadere una posata in terra. Appena lei si china a raccattarla, tu tirale via il velo dal capo. Sta’ sicuro che qualcosa dirà.
Fiordinando, appena sentito quel consiglio, sellò il cavallo e corse a gran carriera al palazzo nel bosco, dove fu ricevuto come al solito. A cena, con un gomito fece cadere una forchetta della Regina; lei si chinò e lui le strappò il velo. A quell’atto la Regina s’alzò, bella come un raggio di luna e infiammata come una vampa di sole. – Malaccorto giovane! – gridò. – Tu m’hai tradita. Se potevo dormire un’altra notte al tuo fianco senza parlare e senza scoprirmi, ero libera dall’incantesimo e tu saresti stato il mio sposo. Ora dovrò andarmene a Parigi per otto giorni e di lì a Pietroburgo dove sarò messa in palio ad una giostra, e chissamai a chi toccherò. Addio! E sappi che io sono la Regina del Portogallo!
In quel momento sparirono, lei e tutto il palazzo, e Fiordinando si trovò solo abbandonato nel folto della macchia, e gli ci volle del bello e del buono per scoprire la strada di casa. Ma una volta a casa, non stette a perder tempo: riempì una borsa di quattrini, prese con sé il fido cacciatore e partì a cavallo per Parigi. Galoppa galoppa, stanco morto, non smontò di sella finché non giunse ad un albergo di quella famosa città.
Non stette nemmeno tanto a riposare, perché voleva sapere se davvero la Regina del Portogallo fosse lì a Parigi. E cominciò a lavorarsi l’oste: – Non ci sono novità da queste parti? Rispose l’oste: – No che non ce ne sono. Che novità vuol che ci siano? E Fiordinando: – Le novità sono di tante specie. Guerre, feste, personaggi di nome che passano. – Ah! – esclamò l’oste. – Allora una novità c’è. Da cinque giorni è venuta a Parigi la Regina del Portogallo, e fra tre se ne riparte per Pietroburgo. È una signora molto bella e molto istruita: si diverte a visitare le cose rare, e ogni pomeriggio passeggia con dodici damigelle qui vicino, fuori porta. – E la si può vedere? – chiese Fiordinando. E l’oste: – E come no? Quando lei cammina in pubblico, ognuno che passa può vederla. – Bene bene, – disse Fiordinando, – intanto preparateci da desinare e una bottiglia di vino nero.
Ora bisogna sapere che quest’oste aveva una figliola, che rifiutava tutti i pretendenti, perché non trovava mai nessuno che le piacesse. Appena aveva visto Fiordinando smontare da cavallo, questa ragazza si disse che o avrebbe sposato questo o non si sarebbe sposata mai. E andò subito da suo padre, a dirgli che s’era innamorata e che trovasse il modo di sposarla a quel forestiero. Così l’oste domandò a Fiordinando: – Io spero che si troverà bene a Parigi e che sia tanto fortunato di trovare qui una bella sposa. Disse Fiordinando: – La mia sposa è la più bella Regina del mondo e io la sto inseguendo per tutta la terra.
La figlia dell’oste, che stava ad ascoltare dietro la porta, fu presa da una gran rabbia, e quando il padre la mandò in cantina a prendere il vino, ficcò una manciata d’oppio nella bottiglia. Quando Fiordinando e il cacciatore andarono fuor di porta ad aspettare il passaggio della Regina del Portogallo, furono colti da un sonno tanto greve, che s’addormentarono sull’erba come sassi. Di lì a poco, la Regina passò, riconobbe Fiordinando, si chinò su di lui, lo chiamò, lo carezzò, lo scosse, lo voltò e rivoltò, ma non ci fu verso di svegliarlo. Allora si sfilò dal dito un anello di diamante e glielo posò in fronte.
Bisogna sapere che lì vicino in una grotta ci abitava un eremita, che tra gli alberi era stato a spiare tutta la scena.
Appena la Regina fu andata via, l’eremita uscì pian piano, prese l’anello dalla fronte di Fiordinando e tornò nella sua tana.
Quando Fiordinando si svegliò, era già buio, e ci mise un bel po’ per ricordarsi dove si trovava. Svegliò a scossoni il cacciatore, e insieme diedero la colpa al vino nero troppo gagliardo, e si rammaricarono di non aver potuto incontrare la Regina.
Il secondo giorno dissero all’oste: – Dateci vino bianco, mi raccomando, che non sarà tanto forte. – Ma la figlia alloppiò anche il vino bianco e i due tornarono a russare in mezzo al prato.
La Regina del Portogallo, disperata, non riuscendo a destare Fiordinando, gli mise sulla fronte una ciocca di capelli e fuggì via. L’eremita sbucò fuori dagli alberi, prese la ciocca, e quando Fiordinando e il cacciatore si svegliarono a tarda notte non seppero nulla di quel che era successo.
Di questo sonno che lo pigliava ogni pomeriggio, Fiordinando cominciava a sospettare. Ormai era l’ultimo giorno, prima che la Regina partisse per Pietroburgo, e voleva vederla a tutti i costi. Così ordinò all’oste di non portargli più vino: ma la figlia alloppiò il brodo della minestra. E, arrivati al prato, Fiordinando si sentiva già pesar la testa. Allora tirò fuor di tasca due pistole e le mostrò al cacciatore. – Tu mi sei fedele, lo so, – gli disse, – ma ti prometto che se stavolta non riesci a star sveglio e a tenermi sveglio, queste sono per te. Te le scarico nel cervello, sta’ sicuro.
Detto questo, si sdraiò lungo disteso e cominciò a russare. Il cacciatore, per tenersi desto, cominciò a darsi pizzicotti, ma tra un pizzicotto e l’altro chiudeva gli occhi e i pizzicotti si facevano sempre più radi, finché non cominciò a russare pure lui.
Arrivò la Regina: con urli, abbracci, schiaffi in viso, baci e scossoni, cercava di svegliare Fiordinando. E vedendo che non ci riusciva, prese a piangere così forte che invece di lagrime le scesero per le gote due gocciole di sangue. Con il fazzoletto si asciugò il sangue dalle gote e mise il fazzoletto sul viso di Fiordinando. Poi rimontò in carrozza difilato fino a Pietroburgo. Intanto l’eremita uscì dalla grotta, prese il fazzoletto e restò a guardare attento quel che succedeva.
Quando, a notte, Fiordinando si svegliò, la rabbia d’aver perso quest’ultima occasione fu tanta, che tirò fuori le pistole e già stava per mantenere la sua promessa di scaricarle in testa al cacciatore ancora addormentato, quando l’eremita lo fermò afferrandolo per i polsi e disse: – Quel disgraziato non ci ha colpa. La colpa è della figlia dell’oste, che ha oppiato il vino nero, il vino bianco e il brodo.
- E perché mai? – disse Fiordinando. – E voi come lo sapete?
- È innamorata di lei e le ha dato l’oppio. Io so tutto perché, di tra gli alberi, sto a guardare ogni cosa che succede. Sono tre giorni che di qui passa la Regina del Portogallo e voleva destarla e le ha lasciato in fronte un diamante, una ciocca di capelli e un fazzoletto bagnato di lagrime di sangue.
- E dov’è tutto questo?
Disse l’eremita: – Ho preso tutto io per custodirlo, perché intorno c’è pieno di ladri che l’avrebbero rubato senza che lei ne sapesse mai nulla. Prenda qui: tenga queste cose da conto, perché se lei agisce con senso ne avrà la sua fortuna. - E come, dunque?
E l’eremita: – La Regina del Portogallo è andata a Pietroburgo dove sarà giocata in giostra. Ora, il cavaliere che giostrerà con quest’anello, questa ciocca e questo fazzoletto in cima alla lancia sarà invincibile e sposerà la Regina.
Fiordinando non se lo fece dire due volte. Corse per le poste da Parigi a Pietroburgo, e gli riuscì d’arrivare in tempo a mettersi in nota tra i giostratori, ma sotto falso nome. Da tutte le parti del mondo erano arrivati a Pietroburgo guerrieri famosi, con gran traini e servitori, e armi luccicanti come la sfera del sole. In mezzo alla città era stato tirato su un recinto coi palchi intorno, e lì bisognava combattere a cavallo per guadagnarsi la Regina del Portogallo.
Fiordinando, a visiera calata, vinse il primo giorno col diamante in cima alla lancia: vinse il secondo giorno colla ciocca dei capelli; vinse il terzo con il fazzoletto: e i cavalli e i cavalieri cascavano in terra come pipistrelli finché non ne restò in piedi nessuno. Fu proclamato vittorioso e sposo della Regina; solo allora aperse l’elmo. La Regina lo riconobbe e dalla contentezza si rovesciò sulla poltrona svenuta.
Si fece un grande sposalizio, e Fiordinando mandò a chiamare suo padre e sua madre che già lo piangevano per morto. Presentò loro la sposa, e disse: – Questa è la lepretta che ho inseguita, questa è la donna velata, questa è la Regina del Portogallo che ho liberato da un terribile incantesimo.