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24 Luglio 2025Un buon padre di famiglia osserva i fatti, ne valuta le contraddizioni e, se necessario, interviene per correggere ciò che non funziona.
Applicando questo principio alla scuola emerge una contraddizione evidente: negli ultimi tre anni il 99% degli studenti ha superato l’esame di Stato, ma le rilevazioni INVALSI mostrano che solo il 66% ha raggiunto le competenze minime in italiano e matematica.
Come si spiega questa divaricazione?
All’origine sembra esserci confusione sul concetto “competenza”.
Le prove INVALSI, attraverso l’applicazione dei saperi, misurano le capacità: ad esempio, comprendere, argomentare, operare logicamente.
In sintesi: la competenza è l’integrazione tra capacità e conoscenze per risolvere problemi concreti.
La scuola, invece, continua a trattare la “competenza” come un termine vago e generico, privo di una struttura operativa definita. Ne è prova la recente legge 22/2025 che, parlando di “competenze non cognitive”, si muove su un terreno teorico confuso, privo di chiari riferimenti alla misurabilità e all’efficacia formativa. E’ un po’ come parlare d’acqua senza ossigeno.
Come si può riallineare questa discrepanza?
Una possibile risposta risale al 2020, quando il Ministero dell’Istruzione è stato separato da quello dell’Università e della Ricerca. Alla scuola è stato affidato il compito di “sviluppare le capacità e le competenze attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche”.
Questa indicazione chiarisce che le competenze non sono entità primitive: si costruiscono sviluppando capacità, alimentate dalle conoscenze.
Tocca ora al governo e all’amministrazione scolastica sanare la situazione.
Non possono più sottrarsi ai principi della cultura sistemica, nel rispetto degli orientamenti legislativi: la didattica deve essere finalizzata allo sviluppo delle capacità.
Come ricomporre la frattura tra ciò che la scuola certifica e ciò che gli studenti sanno fare? “Un approccio scientifico alla riforma della scuola”, disponibile in rete, documenta l’esperienza di un istituto lecchese che ha riorganizzato la propria struttura decisionale, sanando l’inammissibile paradosso.