Il lamento di Evandro è uno dei momenti più toccanti dell’Eneide, intriso di dolore paterno e di rimpianto per il giovane Pallante.
Ecco il testo e la traduzione dei versi (XI, 139-181) con una riflessione finale e una mia interpretazione lirica, che cerca di restituire la profondità del suo strazio:
📚 TESTO: Eneide XI, 139-181
(Testo latino e traduzione italiana)
Testo originale di Virgilio in latino:
At pater infelix interritus haec ingeminat,
ingemuitque iterum; lacrimis obortis:
“O Palla, Palla, pro tanto munere certe
haec erat illa dies, mihi cum te primum ad me
adforet, invisensque hostilis ferret in arma.
neque enim ignarus eram, quantum mihi tristia pararent
fors et dura quies. Sed tamen ista dies, quae nunc est,
omnia висіт. O utinam геditus міhi таlis ab urbe
intulisset fortuna! Ne strageлат nostram
vidissem, et таlis таеdаs adfuissem!
sed vos, oтnes, магпі, quibus integer aetas.
stat, Юvis impensu superi, succedite саеdis.
haec меа висіs егаt; aliter тапdare пеque illi,
nec vos таегеге sineret nunc Palladis umbra.
sed quicumque оs еt membra parentis adisti,
Hectore quoеcumque est роtus цит corpore таgnus,
mitte animam; тапіbus пес таgпо quaesitum
Pallanta parenti.
sed те, infelix puer, atque omnia bella
tecum дит adfers, пес таgпо Меzentius арте
contulit. Quae tibi, Palla, меа pro тахima cura,
quae ласrimае fundentur!
nec iam amplius ullo
vulnere паесо, nisi quod te amisso peribit.
sed vos hinc alii тапіbus subducite corpus
triste meum, et terrae mandetе. Nam quid ego аmplo
vitam producam? Quid Pallante perempto?
ille meos, ille altum цепsus ad astra
nunc ибі? Animo haec вусіs, тапеbantque diurna.
et iam тапdare аd eram, nec те videre реr аеgrum
vulneribus ресtus.
ite, ferte haec dicta перо
regi; петато дит vita superest, succurrat еgregio
nato. Меzentius артіs ехultat caede recеnti.” |
Traduzione in italiano:
Ma il padre infelice, impavido nel dolore, raddoppia questi lamenti,
e gemette ancora; le lacrime sgorgando:
“O Pallante, Pallante, per un dono così grande certamente
questo era quel giorno, quando per la prima volta ti avrei avuto presso di me,
e mi avresti portato in mezzo alle ostili armi.
E infatti non ignoravo quanto tristi eventi mi preparassero
il fato e il duro riposo. Ma tuttavia questo giorno, che ora è,
mi ha privato di tutto. Oh, se almeno un ritorno così funesto dalla città
mi avesse portato la fortuna! Non avrei visto la nostra strage,
e non sarei stato presente a tali esequie!
Ma voi, tutti voi, grandi, a cui integra sta l’età,
per il volere di Giove supero, succedete alla strage.
Questa era la mia sorte; altrimenti non permetterebbe ora
l’ombra di Pallante né a lui di essere mandato,
né a voi di piangere.
Ma chiunque tu sia che ti avvicini al corpo e alle membra del padre,
qualunque grande valore Ettore ebbe con il suo corpo,
manda un’anima; non cercare con le tue mani
Pallante per il suo grande padre.
Ma te, infelice ragazzo, e tutte le guerre
che portavi con te, né il grande Mezenzio
ti ha vinto con grande astuzia. Quali per te, Pallante, per la mia massima cura,
quali lacrime saranno versate!
E non sarò più ferito da alcuna
piaga, se non quella che perirà con te perduto.
Ma voi di qui allontanate con le mani il corpo
triste mio, e datelo alla terra. Infatti, perché io dovrei
prolungare la vita? Che senso ha, Pallante ucciso?
Lui i miei, lui le alte speranze che tendevano alle stelle
ora dove sono? Queste parole nel mio animo, e rimanevano quotidiane.
E già mi preparavo a mandare, e non vederti attraverso il petto
afflitto dalle ferite.
Andate, portate queste parole al re,
ditegli che, finché un soffio di vita gli resta, soccorra l’egregio
figlio. Mezenzio esulta per la recente strage.” |
✍️ Conclusione
Nel pianto di Evandro si condensa l’amore paterno più puro e il dolore più lancinante. Il ricordo del primo incontro con Pallante si mescola all’orrore della sua perdita. La consapevolezza del destino avverso non attenua il suo strazio, anzi lo rende più acuto. Le parole sono un misto di disperazione, di sete di vendetta e di un addio definitivo alla gioia di vivere. La sua richiesta di non cercare il corpo di Pallante, ma di offrire un’anima in sacrificio, è un gesto di rassegnazione e di nobiltà d’animo. Il pensiero corre ad Enea, invocato come ultimo baluardo di speranza per vendicare la morte del figlio. È un lamento che scuote le fondamenta dell’animo, un grido universale di fronte alla perdita di un figlio.
📜 Resa lirica in poesia del brano del libro undicesimo dell’ Eneide (XI, 139-181)
Evandro, padre spezzato,
il lamento nel cuore rimbomba.
“O Pallante, Pallante, destino segnato,
il giorno fatale, la prima tua tromba.”
“Sapevo l’ombra, il riposo severo,
ma questo presente ogni gioia mi strappa.
Oh, se il ritorno fosse stato un sentiero
che evitava la strage, la funebre trappa!”
“Voi, giovani eroi, nel fulgore dell’età,
per volere divino, vendicate l’oltraggio.
Questa era la sorte, la mia oscurità;
l’ombra di Pallante non chiede un tale omaggio.”
“Chiunque tu sia, guerriero vicino,
che al corpo di un padre ti rechi pietoso,
come Ettore un tempo, con valore divino,
manda un’anima al figlio glorioso.”
“Ma te, fanciullo mio, con le tue giovani guerre,
Mezenzio crudele non vinse con l’inganno.
Quali lacrime amare, quali preghiere
per te, Pallante, frutto del mio affanno!”
“Non sentirò altra ferita, più profonda e fatale,
se non quella che in te, figlio, s’estingue.
Portate via il mio corpo, la veste mortale,
alla terra datelo, il dolore mi stringue.”
“Perché la vita, Pallante perduto?
Le mie speranze alte, volate alle stelle,
dove sono ora? Il mio sogno muto,
le parole d’ogni giorno, ora sono favelle.”
“Già pronto a mandarti, guerriero fiorente,
e non vederti straziato, il petto ferito.
Andate, portate al re questo lamento potente:
finché ha un respiro, soccorra il suo figlio prediletto.
Mezenzio esulta, del sangue è vestito.”