L’incendio delle navi troiane Eneide, V, vv. 654-683

haec effata.
at matres primo ancipites oculisque malignis
ambiguae spectare rates miserum inter amorem       655
praesentis terrae fatisque uocantia regna,
cum dea se paribus per caelum sustulit alis
ingentemque fuga secuit sub nubibus arcum.

tum uero attonitae monstris actaeque furore
conclamant, rapiuntque focis penetralibus ignem,       660
pars spoliant aras, frondem ac uirgulta facesque
coniciunt. furit immissis Volcanus habenis
transtra per et remos et pictas abiete puppis.

Nuntius Anchisae ad tumulum cuneosque theatri
incensas perfert nauis Eumelus, et ipsi       665
respiciunt atram in nimbo uolitare fauillam.

primus et Ascanius, cursus ut laetus equestris
ducebat, sic acer equo turbata petiuit
castra, nec exanimes possunt retinere magistri.

‘quis furor iste nouus? quo nunc, quo tenditis’ inquit       670
‘heu miserae ciues? non hostem inimicaque castra
Argiuum, uestras spes uritis. en, ego uester
Ascanius!’—galeam ante pedes proiecit inanem,
qua ludo indutus belli simulacra ciebat.

accelerat simul Aeneas, simul agmina Teucrum.       675
ast illae diuersa metu per litora passim
diffugiunt, siluasque et sicubi concaua furtim
saxa petunt; piget incepti lucisque, suosque
mutatae agnoscunt excussaque pectore Iuno est.

Sed non idcirco flamma atque incendia uiris       680
indomitas posuere; udo sub robore uiuit
stuppa uomens tardum fumum, lentusque carinas
est uapor et toto descendit corpore pestis,
nec uires heroum infusaque flumina prosunt.

Così disse [Iride].
Ma le donne, dapprima incerte e con sguardi torvi,
fissavano le navi, divise tra l’amore doloroso
della terra presente e i regni chiamati dal destino.
Mentre parlava ancora, la dea (Iride) si levò in volo
con ali uguali, fendendo un arco immenso sotto le nuvole.

Allora esse, colpite da stupore e prese da furore,
gridarono, afferrarono il fuoco dagli altari domestici,
alcune saccheggiarono gli altari, gettando fronde, rami
e torce sulle navi. Vulcania irrompe senza freni
tra i travi, i remi e i rostri dipinti d’abete.

Il messaggero Eumelo corre alla tomba di Anchise
e al teatro gremito di uomini a portare notizia
che le navi sono in fiamme; tutti guardano
il fumo nero turbinare nel cielo.

Primo accorre Ascanio, che poco prima
guidava allegro i suoi giochi a cavallo,
ma ora sprona veloce il cavallo verso il campo,
e neppure i suoi stanchi cavalli riescono a fermarlo.

Esclama: «Qual nuovo furore vi prende? Dove andate?
Povera gente, non è nemico né campo ostile
dei Greci che bruciate: sono le vostre speranze!
Eccomi, io sono Ascanio, vostro re!» — e getta
davanti a loro un elmo vuoto, con cui giocava in guerra.

Intanto anche Enea accorre, e con lui i Troiani.
Ma quelle, prese da terrore, si disperdono
lungo la costa, cercando rifugio nei boschi
o tra le rocce più nascoste. Sono pentite
del gesto compiuto, e smettono di odiare la luce.
Giunone è stata scacciata dal loro cuore.

Tuttavia non per questo le fiamme e l’incendio
si placano: sotto il legno umido sopravvive
uno straccio acceso, che emette fumo lento;
un vapore denso avvolge le carene
e una piaga mortale scende su ogni nave.
Non giovano la forza degli eroi né l’acqua versata a fiotti.