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28 Dicembre 2019🌊 La casa dei doganieri di Eugenio Montale: la memoria spezzata dell’amore perduto
Ci sono luoghi che sembrano conservare il tempo. Luoghi che, pur cambiando sotto l’azione del vento, del mare, dell’abbandono, sembrano fissare nella pietra e nel silenzio un attimo irripetibile. Per Montale, uno di questi luoghi è la casa dei doganieri, sul ciglio di una scogliera, dove passato e presente si confondono nella nebbia della memoria e del rimpianto.
Il componimento, contenuto nella raccolta Le occasioni (1939), è uno dei più celebri della lirica montaliana. Vi si intrecciano due fili: quello dell’amore perduto e quello dell’impossibilità della conoscenza. La casa, ormai disabitata e corrosa dalla salsedine e dal libeccio, diventa il simbolo di una relazione interrotta, mai davvero vissuta, ma ancora viva nel ricordo ossessivo del poeta.
🕯️ Un dialogo con l’assenza
Fin dal primo verso, Montale si rivolge a una donna: “Tu non ricordi la casa dei doganieri…”. È un apostrofe malinconica, quasi un rimprovero dolceamaro. Lei ha dimenticato, o ha scelto di dimenticare; lui, invece, conserva con ostinazione un capo del filo, come un moderno Teseo perso nel labirinto dell’esistenza.
Quella casa, che un tempo fu rifugio e promessa, ora è solo rovina. Il riso della donna non riecheggia più tra le pareti, la bussola impazzisce, i dadi del destino non danno più i numeri attesi. Ogni riferimento oggettivo (la banderuola, la scogliera, la petroliera in lontananza) si carica di valenze emotive, in una poetica della “cosa” che diventa emblema dell’interiorità.
⛓️ Il tempo e la disillusione
Montale parla della memoria come di un filo che si “addipana”, si scioglie: resta un solo capo tra le dita, ma l’altro è sfuggito. Questo smarrimento non è solo amoroso, è esistenziale. Non è chiaro chi “va e chi resta”, chi ha abbandonato chi, se davvero si sia mai stati insieme. La casa dei doganieri non è solo il teatro di un incontro: è il simbolo stesso dell’impossibilità della comunione umana, della fragilità di ogni legame.
L’ultima domanda – “Il varco è qui?” – risuona come una delle più enigmatiche e struggenti dell’intera poesia italiana del Novecento. È la speranza di trovare ancora un passaggio, un senso, un accesso a qualcosa che sia autentico. Ma subito dopo, l’onda si infrange ancora sulla balza: la natura resta indifferente, il tempo continua, e la risposta non arriva.
📖 Un simbolo del male di vivere
In pochi versi, Montale riesce a condensare l’essenza della sua poetica: l’incomunicabilità, il rimpianto, la ricerca vana di un senso, l’amore come occasione mancata. La casa dei doganieri non è solo una poesia sull’assenza, ma sull’inesorabile erosione del significato: delle parole, dei ricordi, delle relazioni.
Eppure, in questa rovina, qualcosa resiste: la voce del poeta, la memoria custodita, la bellezza dura dei versi.
📘 Testo della poesia
La casa dei doganieri – Eugenio Montale
- Tu non ricordi la casa dei doganieri
- sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
- desolata t’attende dalla sera,
- in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
- e vi sostò irrequieto.
- Libeccio sferza da anni le vecchie mura
- e il suono del tuo riso non è più lieto:
- la bussola va impazzita all’avventura
- e il calcolo dei dadi più non torna.
- Tu non ricordi; altro tempo frastorna
- la tua memoria; un filo s’addipana.
- Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
- la casa e in cima al tetto la banderuola
- affumicata gira senza pietà.
- Ne tengo un capo; ma tu resti sola
- né qui respiri nell’oscurità.
- Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
- rara la luce della petroliera!
- Il varco è qui? (Ripullula il frangente
- ancora sulla balza che scoscende…).
- Tu non ricordi la casa di questa
- mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
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