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28 Dicembre 2019La Dignità Umana nel Lager da “Se questo è un uomo” di Primo Levi
Il brano sottostante sulla dignità umana nel lager, tratto da “Se questo è un uomo” di Primo Levi è una delle pagine più significative e commoventi, un vero e proprio manifesto della dignità umana nel contesto estremo del Lager.
Attraverso il dialogo tra il giovane Levi e il maturo Steinlauf, l’autore esplora il significato profondo della resistenza morale e dell’importanza di mantenere la propria “forma della civiltà” di fronte a un sistema che mira a ridurre l’uomo a “bestia”.
TESTO DEL BRANO
Devo confessare: dopo una sola settimana di prigionia, in me l’istinto della pulizia è sparito.
Mi aggiro ciondolando per il lavatoio, ed ecco Steinlauf, il mio amico quasi cinquantenne, a torso nudo, che si strofina collo e spalle con scarso esito (non ha sapone) ma con estrema energia. Steinlauf mi vede e mi saluta, e senza ambagi mi domanda severamente perché non mi lavo.
Perché dovrei lavarmi? Starei forse meglio di quanto sto? Piacerei di più a qualcuno? Vivrei un giorno, un’ora di più? Vivrei anzi meno, perché lavarsi è un lavoro, uno spreco di energia e di calore. Non sa Steinlauf che dopo mezz’ora ai sacchi di carbone ogni differenza fra lui e me sarà scomparsa? […]
Morremo tutti, stiamo per morire: se mi avanzano dieci minuti fra la sveglia e il lavoro, voglio dedicarli ad altro, a chiudermi in me stesso, a tirare le somme, o magari a guardare il cielo e pensare che lo vedo forse per l’ultima volta: o anche solo a lasciarmi vivere, a concedermi il lusso di un minuscolo ozio.
Ma Steinlauf mi dà sulla voce. Ha terminato di lavarsi, ora si sta asciugando con la giacca di tela che prima teneva arrotolata fra le ginocchia e che poi infilerà, e senza interrompere l’operazione mi somministra una lezione in piena regola.
Ho scordato ormai, e me ne duole, le sue parole dirette e chiare, le parole del già sergente Steinlauf dell’esercito austro-ungarico, croce di ferro della guerra ’14-’18. Me ne duole, perché dovrò tradurre il suo italiano incerto e il suo discorso piano di buon soldato nel mio linguaggio di uomo incredulo.
Ma questo ne era il senso, non dimenticato allora, né poi: che appunto perché il Lager è una macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare; che anche in questo luogo si può sopravvivere, e perciò si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere è importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l’impalcatura, la forma della civiltà […].
Dobbiamo quindi, certamente, lavarci la faccia senza sapone, nell’acqua sporca, e asciugarci nella giacca. Dobbiamo dare il nero alle scarpe, non perché così prescrive il regolamento, ma per dignità e per proprietà. Dobbiamo camminare diritti, senza strascicare gli zoccoli, non già in omaggio alla disciplina prussiana, ma per restare vivi, per non cominciare a morire.
[da Primo Levi, Se questo è un uomo]
ANALISI DEL TESTO
1. La Deumanizzazione del Lager e l’Istinto di Sopravvivenza di Levi
Primo Levi descrive come, dopo appena una settimana di prigionia, l’istinto primordiale di sopravvivenza abbia quasi completamente annullato in lui la cura per la persona, un aspetto fondamentale della civiltà. La sporcizia, il freddo, la fame e la fatica rendono ogni azione superflua, ogni energia spesa in ciò che non sia strettamente necessario alla sopravvivenza fisica, appare uno spreco insensato.
Perché dovrei lavarmi? Starei forse meglio di quanto sto? Piacerei di più a qualcuno? Vivrei un giorno, un’ora di più? Vivrei anzi meno, perché lavarsi è un lavoro, uno spreco di energia e di calore. Non sa Steinlauf che dopo mezz’ora ai sacchi di carbone ogni differenza fra lui e me sarà scomparsa? […] Morremo tutti, stiamo per morire: se mi avanzano dieci minuti fra la sveglia e il lavoro, voglio dedicarli ad altro, a chiudermi in me stesso, a tirare le somme, o magari a guardare il cielo e pensare che lo vedo forse per l’ultima volta: o anche solo a lasciarmi vivere, a concedermi il lusso di un minuscolo ozio.
In questo passo, emerge con chiarezza la logica disperata del prigioniero, per cui ogni gesto non direttamente legato al mantenimento in vita sembra inutile, un lusso che non ci si può permettere. La sporcizia non è più solo una condizione, ma diventa una conseguenza naturale della riduzione dell’uomo a semplice “pezzo” nel meccanismo del campo.
Il lavatoio del campo di concentramento, luogo di una lotta quotidiana per l’igiene e la dignità.
2. La Lezione di Steinlauf: Resistere alla Bestialità
A questo fatalismo razionale di Levi si contrappone la figura di Steinlauf, un ex sergente dell’esercito austro-ungarico, un uomo che, nonostante l’età e le condizioni del Lager, si sforza con estrema energia di lavarsi. La sua è una lezione non solo pratica, ma profondamente filosofica e morale.
Levi, pur rammaricandosi di non poter riportare le parole esatte di Steinlauf, ne cattura l’essenza:
…che appunto perché il Lager è una macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare; che anche in questo luogo si può sopravvivere, e perciò si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere è importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l’impalcatura, la forma della civiltà…
Le parole di Steinlauf sono un monito potente: il Lager non è solo un luogo di annientamento fisico, ma soprattutto morale. Il suo scopo è distruggere l’umanità dei prigionieri, ridurli a un livello subumano in cui ogni gesto di cura personale, ogni pensiero che vada oltre la mera sussistenza, diventi superfluo e assurdo. Steinlauf ribalta questa logica: proprio perché il sistema mira a deumanizzare, ogni atto di mantenimento della propria dignità, per quanto minimo e apparentemente inutile, diventa un atto di resistenza e di affermazione della propria umanità.
Le mani che si lavano con fatica nell’acqua sporca sono il simbolo di un atto di resistenza.
3. La Dignità come Atto di Sopravvivenza e Testimonianza
La lezione di Steinlauf si traduce in azioni concrete, apparentemente banali, ma cariche di significato:
- Lavarsi la faccia senza sapone, nell’acqua sporca, e asciugarsi nella giacca: Non è per pulizia reale, ma per affermare un principio.
- Dare il nero alle scarpe: Non per il regolamento, ma “per dignità e per proprietà”.
- Camminare diritti, senza strascicare gli zoccoli: Non per la disciplina, ma “per restare vivi, per non cominciare a morire”.
Questi gesti, privi di utilità pratica immediata nel contesto brutale del Lager, acquisiscono un valore immenso: sono la dimostrazione che l’individuo si rifiuta di essere completamente assorbito e annullato dal sistema. Mantenere l’igiene, la postura eretta, la cura dell’aspetto, sono modi per non “cominciare a morire”, per non cedere alla completa disperazione e all’annullamento della volontà.
La dignità, in quest’ottica, non è un lusso o un concetto astratto, ma una vera e propria strategia di sopravvivenza. Preservare la “forma della civiltà” significa mantenere il proprio legame con il mondo esterno, con il passato di uomo libero e con la speranza di un futuro. Questo è strettamente connesso all’imperativo di “sopravvivere per raccontare, per portare testimonianza”. Se ci si lascia andare completamente, si perde anche la capacità di essere testimoni, di distinguere tra ciò che è umano e ciò che non lo è.
Anche le scarpe, pulite e lucidate, possono rappresentare un piccolo, ma significativo, atto di dignità nel Lager.
Conclusione
Il dialogo con Steinlauf è un momento epifanico per Primo Levi. Gli permette di comprendere che la lotta nel Lager non è solo fisica, ma anche, e forse soprattutto, morale. La dignità umana, anche nelle condizioni più estreme, non è un dato acquisito, ma una conquista quotidiana, un atto di volontà contro la macchina della deumanizzazione. Il messaggio di Steinlauf, e di conseguenza di Levi, è un monito universale: la cura di sé, il rispetto per la propria persona e per gli altri, anche di fronte all’orrore, sono baluardi fondamentali per preservare l’essenza dell’essere umano e per rivendicare il diritto alla memoria e alla testimonianza.
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