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28 Dicembre 2019Analisi e testo della poesia La finestra aperta sul mare di Sergio Corazzini, da Le aureole (1935)
La finestra aperta sul mare è una delle liriche più evocative di Sergio Corazzini (1886-1907), poeta simbolo del Crepuscolarismo italiano. Inserita nella raccolta Le aureole, questa poesia incarna perfettamente le atmosfere malinconiche, il senso di desolazione e la sottile musicalità che caratterizzano la sua produzione. Il componimento si snoda attraverso immagini suggestive, esplorando temi come la memoria, la solitudine, il tempo che passa e il rapporto tra l’uomo e una natura indifferente ma potente.
Analisi della Poesia
La lirica si sviluppa intorno all’immagine centrale di una finestra che si affaccia sul mare, trasformandosi in un simbolo polisemico che attraversa diverse dimensioni emotive e temporali.
- La Finestra: Un Occhio sull’Infinito e sul Nulla La finestra è presentata come un’entità quasi vivente: “aperta sul mare, / come un occhio a guardare, / coronata di nidi”. Questa personificazione suggerisce una connessione tra l’interno (la torre, l’anima) e l’esterno (il mare, l’infinito). Tuttavia, la memoria del poeta è incerta (“Non rammento. Io la vidi… Ma non so né dove, né quando”), conferendo all’immagine un’aura di sogno o di ricordo sbiadito, tipica del Crepuscolarismo. La finestra è descritta con ossimori che ne evidenziano la complessità: “tenebrosa / come il cuore di un usuraio” e “canora come l’anima / di un fanciullo”, suggerendo una dualità tra oscurità e purezza, avidità e innocenza. Essa è “desolata”, “terribile nel crepuscolo”, “spaventosa nella notte”, e una “triste cancellatura / nella chiarità dell’alba”, indicando una presenza che, in ogni momento del giorno, evoca un senso di malinconia e inquietudine.
- La Torre: Simbolo di Isolamento e Declino La finestra appartiene a una “torre in mezzo al mare”, un’immagine che richiama subito l’isolamento, la solitudine e l’abbandono. Le “antichissime sale morivano / di noia”, animate solo dall'”eco delle gavotte, / ballate in tempi lontani”, simbolo di un passato glorioso e irrecuperabile. La torre è un luogo dove il tempo si è fermato, dove “non c’era più nessuno / da tanti anni, […] come nel mio cuore”. Questo parallelismo tra la desolazione della torre e quella dell’anima del poeta è un tratto distintivo della poesia corazziniana, che proietta il paesaggio interiore sull’esterno. L’odore “appassito indefinito” e le “ultime rose / dell’ultima lontana primavera” rafforzano l’idea di decadenza e di morte lenta.
- La Natura: Consapevolezza e Distruzione La natura non è un semplice sfondo, ma un elemento attivo e partecipe del dramma. Il cielo “lacrimava per i soffitti / pallidi”, piangendo “dolcemente / quietamente per ore / e ore, come un piccolo fanciullo malato”. Questa personificazione del cielo che piange per lo “sfacelo delle cose” introduce un senso di partecipazione cosmica al dolore. Successivamente, il sole e il mare riappaiono, ma il mare è un “azzurro amante” che cinge la torre “tristissima” con “tenerezze improvvise”. Il suo canto è quello di un “titano”, che pur avendo “dolcezze”, è pervaso da “sconforti, / malinconie, tristezze / profonde, nostalgie / terribili”. Il mare è un’entità antica e potente che “offriva i suoi morti, / tutte le navi infrante, / naufragate lontano”, un custode di tragedie passate, che amplifica il senso di malinconia e di irrimediabilità.
- La Dissoluzione Finale: Resa e Fusione La poesia culmina in un atto di resa e dissoluzione. Le “ultime rondini”, con il cuore “pieno di tremore”, volano via, e i nidi cadono nel mare. Questo è il preludio alla fine della torre stessa. “Qualche cosa tremò / si spezzò / nella torre e, quasi / in un inginocchiarsi lento / di rassegnazione / davanti al grigio altare / dell’aurora, / la torre / si donò al mare.” L’immagine della torre che si “dona” al mare è un atto di rassegnazione finale, un ritorno all’elemento primordiale. Non è una distruzione violenta, ma una lenta, quasi mistica, fusione con l’infinito, che chiude il ciclo di solitudine e attesa. L’altare “grigio” dell’aurora suggerisce una fine non priva di una sua, seppur malinconica, sacralità.
Stile e Linguaggio
Corazzini utilizza un linguaggio semplice, quasi prosastico, ma carico di suggestioni. La musicalità è data dalle assonanze, dalle allitterazioni e da un ritmo lento e cadenzato che riflette la malinconia del tema. Le immagini sono spesso concrete ma trasfigurate da un velo di tristezza e di sogno. L’uso frequente di aggettivi che esprimono uno stato d’animo (“desolata”, “terribile”, “spaventosa”, “triste”, “malinconia”, “tristezze profonde”) contribuisce a creare l’atmosfera crepuscolare.
Conclusione
La finestra aperta sul mare è una lirica che incarna la quintessenza del Crepuscolarismo di Sergio Corazzini. Attraverso l’immagine di una torre isolata e di una finestra che è occhio e soglia, il poeta esplora la solitudine dell’anima, la nostalgia per un passato irrecuperabile e la rassegnazione di fronte al declino. Il mare, con la sua grandezza e la sua memoria di tragedie, diventa un complice silenzioso di questa dissoluzione, che si compie in un atto di pacifica, seppur triste, fusione. La poesia è un inno alla malinconia, alla bellezza effimera e alla dignità della resa, un invito a contemplare la fine con una quieta accettazione.
Testo della poesia
LA FINESTRA APERTA SUL MARE
Non rammento. Io la vidi
aperta sul mare,
come un occhio a guardare,
coronata di nidi.
Ma non so nè dove, nè quando, 5
mi apparve: tenebrosa
come il cuore di un usuraio,
canora come l’anima
di un fanciullo, era
la finestra di una torre in mezzo al mare, desolata 10
terribile nel crepuscolo,
spaventosa nella notte,
triste cancellatura
nella chiarità dell’alba,
Le antichissime sale morivano 15
di noia: solamente l’eco delle gavotte,
ballate in tempi lontani
da piccole folli signore incipriate,
le confortava un poco.
Qualche gufo coi tristi 20
occhi dall’alto nido
scricchiolante, incantava
l’ombra vergine di stelle
E non c’era più nessuno
da tanti anni, nella torre, 25
come nel mio cuore.
Sotto la polvere ancòra,
un odore appassito indefinito,
esalavano le cose,
come se le ultime rose 30
dell’ultima lontana primavera
fossero tutte morte
in quella torre triste, in una sera triste.
E lacrimava per i soffitti
pallidi, il cielo, talvolta 35
sopra lo sfacelo delle cose.
Lacrimava dolcemente
quietamente per ore
e ore, come un piccolo fanciullo malato.
Dopo, per la finestra 40
veniva il sole, e il mare,
sotto cantava.
Cantava l’azzurro amante,
cingendo la torre tristissima
di tenerezze improvvise, 45
e il canto del titano
aveva dolcezze, sconforti,
malinconie, tristezze
profonde, nostalgie
terribili… Ed egli le offriva i suoi morti, 50
tutte le navi infrante,
naufragate lontano.
Una sera per la malinconia
di un cielo che invano
chiamava da ore e ore 55
le stelle, volarono via
con il cuore
pieno di tremore
le ultime rondini e a poco
a poco nel mare 60
caddero i nidi: un giorno
non vi fu più nulla intorno
alla finestra. Allora
qualche cosa tremò
si spezzò 65
nella torre e, quasi
in un inginocchiarsi lento
di rassegnazione
davanti al grigio altare
dell’aurora, 70
la torre
si donò al mare.