La morte di Laocoonte, Eneide, II, 199-245

Testo originale di Virgilio:

📖 TESTO LATINO

(Eneide II, vv. 199–249)

Ecce autem gemini a Tenedo tranquilla per alta
(horresco referens) immensis orbibus angues
incumbunt pelago pariterque ad litora tendunt;

pectora quorum inter fluctus arrecta iubaeque
sanguineae superant undas, pars cetera pontum
pone legit sinuatque immensa volumine terga.

fit sonitus spumante salo; iamque arva tenebant
ardentisque oculos suffecti sanguine et igni
sibila lambebant linguis vibrantibus ora.

diffugimus visu exsangues. Illi agmine certo
Laocoonta petunt; et primum parva duorum
corpora natorum serpens amplexus uterque
implicat et miseros morsu depascitur artus;

post ipsum auxilio subeuntem ac tela ferentem
corripiunt spirisque ligant ingentibus; et iam
bis medium amplexi, bis collo squamea circum
terga dati superant capite et cervicibus altis.

Ille simul manibus tendit divellere nodos
perfusus sanie vittas atroque veneno,
clamores simul horrendos ad sidera tollit:
qualis mugitus, fugit cum saucius aram
taurus et incertam excussit cervice securim.

At gemini lapsu delubra ad summa dracones
effugiunt saevaeque petunt Tritonidis arcem,
sub pedibusque deae clipeique sub orbe teguntur.

Tum vero tremefacta novus per pectora cunctis
insinuat pavor, et scelus expendisse merentem
Laocoonta ferunt, sacrum qui cuspide robur
laeserit et tergo sceleratam intorserit hastam.

Ducendum ad sedes simulacrum orandaque divae
numina conclamant. Dividimus muros et moenia pandimus urbis.

Accingunt omnes operi pedibusque rotarum
subiciunt lapsus, et stuppea vincula collo
intendunt; scandit fatalis machina muros
feta armis.

Pueri circum innuptaeque puellae
sacra canunt, funemque manu contingere gaudent;
illa subit mediaeque minans inlabitur urbi.

O patria, o divum domus Ilium et incluta bello
moenia Dardanidum! Quater ipso in limine portae
substitit atque utero sonitum quater arma dedere;

instamus tamen immemores caecique furore,
et monstrum infelix sacrata sistimus arce.

🇮🇹 TRADUZIONE ITALIANA

Ed ecco, improvvisamente, da Tenedo, attraverso il mare calmo
(rabbrividisco a raccontarlo), due enormi serpenti
si sollevano sull’acqua con immense spire,
muovendosi affiancati verso la riva.

I loro petti emergono tra i flutti, e le creste sanguigne
sovrastano le onde; il resto del corpo
scivola dietro sul mare, arrotolandosi in enormi volute.

Si leva un rombo sul mare schiumoso; ed ecco che toccano terra,
con occhi ardenti, iniettati di sangue e fuoco,
e le lingue guizzanti lambiscono con sibilo le fauci.

Fuggiamo, atterriti alla vista. Ma loro, con traiettoria sicura,
si dirigono verso Laocoonte; e per primi
i corpi dei suoi due figli piccoli i serpenti afferrano,
li stringono, e ne dilaniano i miseri arti a morsi.

Poi assalgono lui stesso, che accorreva con armi
per aiutarli: lo afferrano e lo avvolgono nelle spire,
due volte lo stringono al centro del corpo,
due volte gli avvolgono il collo con le spire squamose,
e lo sovrastano col capo e con le alte creste.

Egli tenta, con le mani, di strappare quei nodi,
mentre è coperto di bava e di veleno nero,
e alza orribili grida fino alle stelle:
come un toro ferito che fugge l’altare,
scuotendo dalla nuca la scure incerta.

Ma i due serpenti si dileguano strisciando
e cercano il tempio della crudele Tritonide (Minerva),
e si nascondono sotto i piedi della dea
e sotto il suo scudo.

Allora un nuovo terrore si insinua
nei cuori tremanti di tutti,
e si dice che Laocoonte ha pagato la sua colpa,
per aver colpito con la lancia il legno sacro
e lanciato contro il fianco del cavallo un’arma empia.

Gridano che bisogna condurre il simulacro nel tempio
e propiziare la dea con preghiere.

Apriamo le mura e spalanchiamo la città.

Tutti si mettono all’opera, e sotto i piedi del cavallo
sistemano rulli, e stringono funi
di canapa al collo della macchina.

Quella macchina fatale supera le mura,
gravida di armi.

Intorno i ragazzi e le fanciulle
cantano inni sacri, e toccano con gioia le funi;
il cavallo avanza e minaccioso scivola
nel cuore della città.

O patria, o sacra casa degli dèi, o Ilium,
mura famose in guerra!

Quattro volte si arrestò sul limitare della porta,
e quattro volte le armi risonarono nel suo ventre;

ma noi, ciechi e folli, insistiamo,
e portiamo nella nostra rocca il funesto mostro consacrato.