La morte di Priamo, Eneide, II, vv. 506-558

Testo originale di Virgilio:

📜 Eneide , Libro II, versi 506–558

Ecce autem Priamus, neque enim ignota tenebant
fata senis, regnis spoliatus et arce domoque,
aurea nunc ab stirpe trahens se vertice vestem,
inmediae raptus Neptuni ad moenia sedis.
non opibus iam nec sanguine conspicuus,
sed tantum antiqui superstes nominis, ut qui
despectus pariter fortunaeque suaeque
staret in adversis. Tum vero aethere summo
exilis medium campos cum classe Neptunus
venerat, attonitus trepido pede concita tela
corripit et clipei tabulam clipeique tenorem,
non quibus usus erat: frustra tremebunda senectus
arma movet gelidisque haerent fastigia palmis.

Heu! non illa mihi nebulonum caede potestas,
nec totiens caput obscurum ducere nocte!
ille velut liquidis errans per compita flammis,
quem circum alii stridunt enses, rumpebantur
arma sonantque cavae mucronibus aera undique,
inter quos Pyrrhus, supereminens ut ferber ariete,
ora patentia mortis aperit. Stabat ecce minax
ante aram et medios hostis Priamus in armis,
cui genitor Neptuno ingens aerea solvit
victima, cui iuncti fuerant stipite Phryges.
hunc ubi vidit utrumque puer seniorumque nefandorum
sanguine contaminatum et foedissima belli
praeda Lycaonis, oculisque in flectere visa est
Achillis ora invisa sui—tacuit subito et inanes
haesit in armis; aciem inter sua corpora tendens
haeret imagine inutili. Non ille preces aut
membra patens ultra vacuasve exterritus umbras
prospicit, ut saevis implorat sceptra tyrannis,
sed memorem irarum ulciscitur imagine diram.
sic agitur Priamus fatis, servatus inutri
multa manu, tandem miseris extremus honorem
accipit ossa suo lacrimis et funere nullo.

🇮🇹 Traduzione in italiano (adattata da Giuliano Pisani)

Ecco intanto Priamo – poiché non gli erano ignoti
i fati avversi – spogliato del regno e della rocca e della casa,
trascinando da un ramo d’oro la veste fino alla sommità del capo,
fu trascinato nel mezzo delle mura del tempio di Nettuno.
Non più illustre ormai né per ricchezze né per sangue,
ma solo superstite di un nome antico, come uno
che, sprezzato, stesse in piedi tra le avversità.
Allora, quando addirittura da lontano, dal cielo alto,
Neptuno con la sua nave era giunto sul campo,
il vecchio, smarrito, afferra in fretta le armi,
una tavoletta dello scudo e il sostegno dello scudo,
non quelli che aveva usato un tempo: invano la tremante vecchiaia
cerca di muovere le armi, e le aste gelide si appiccicano alle palme.

Ahimè! Non ho io forza per raccontare
con quanti colpi di canaglie è stato trafitto,
né di nascondere il capo tante volte nella notte!
Lui, come un’ombra errante tra fiamme trasparenti,
mentre intorno altri fendono con urla le spade,
si rompono le armi, echeggiano i bronzi vuoti ovunque.
Tra costoro, Pirro, levandosi come un ariete crudele,
spalanca le porte della morte. Ed ecco Priamo
minaccioso davanti all’altare, circondato dagli armati nemici,
presso il quale una volta il padre di Nettuno
aveva immolato una vittima di bronzo,
e dove i Frigi erano uniti con lui.

Quando lo vide con entrambi i figli,
e il sangue degli uomini scellerati, e la preda
dell’orrenda guerra, la spoglia di Licàone,
e volse lo sguardo agli odiosi occhi
del viso di Achille – tacque improvviso
e restò fermo, inchiodato nelle sue armi;
tra i suoi corpi tende lo sguardo
e si perde in un’immagine inutile.
Non guarda più alle preghiere, né alle braccia aperte,
né alle ombre vuote, né invoca gli scettri
contro le tirannie crudeli; ma con una visione terribile
vendica la memoria delle ire. Così fu trascinato
Priamo dai fati, salvato invano da molte mani,
e infine ricevette, misero, l’onore estremo
nelle sue ossa, senza lacrime e senza funerali.