
Un vecchio innamorato da una commedia di Plauto
28 Dicembre 2019
Metateatro, musica, stile e lingua in Plauto
28 Dicembre 2019“La sera del dì di festa” di Giacomo Leopardi, è un capolavoro della poesia italiana e una delle composizioni più intense del ciclo dei Canti (pubblicato nel 1835).
“La sera del dì di festa” fa parte del gruppo di liriche che vengono spesso definite come espressione del “pessimismo cosmico” leopardiano, dove l’autore riflette su temi universali come la caducità dell’esistenza, la solitudine e la delusione nei confronti della vita.
Questa poesia si inserisce nella scia della riflessione esistenziale leopardiana, in cui si intrecciano malinconia, tristezza e il fascino per la bellezza effimera del mondo. L’ambientazione serale e il tono meditativo creano una cornice perfetta per il suo pensiero disincantato.
Analisi della poesia:
Il titolo stesso, “La sera del dì di festa”, ci offre un’indicazione chiara. Il “dì di festa” evoca un momento gioioso, di celebrazione, ma la sera, simbolo della fine, introduce un tono malinconico. La sera porta riflessioni e bilanci, dove il poeta si immerge in una sorta di meditazione intima.
Nei versi della poesia, Leopardi osserva come la sera, il momento conclusivo di un giorno di festa, acuisce il contrasto tra la gioia collettiva e la solitudine personale. La festività pubblica, vissuta dagli altri, amplifica il sentimento di estraneità del poeta, un sentimento di isolamento che diviene metafora dell’esistenza umana.
Alcuni punti centrali:
- L’illusione della felicità: Leopardi esplora come la felicità sia effimera e, spesso, soltanto una percezione momentanea. La sera, che segue la festa, porta con sé il ritorno alla realtà della sofferenza e della solitudine.
- La natura indifferente: Un tema costante nella poetica di Leopardi è la natura, che non si cura delle vicende umane. Nella poesia, la sera e il paesaggio sembrano bellissimi ma indifferenti al dolore umano, suggerendo l’idea che l’universo sia estraneo ai sentimenti degli individui.
- La malinconia del ricordo: Nel finale, il ricordo del passato e delle illusioni perdute intensifica la malinconia del poeta, che si sente schiacciato dal peso del tempo e dal fallimento delle sue aspirazioni.
Leopardi, in questo testo, manifesta tutto il suo pessimismo, sostenendo l’inutilità degli sforzi umani in un universo che non offre alcuna consolazione o significato.
Ecco il primo verso della poesia, che introduce immediatamente il tono riflessivo:
“Dolce e chiara è la notte e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna.”
Come si può notare, Leopardi dipinge un quadro notturno, sereno e affascinante, che tuttavia non può nascondere la profonda malinconia che esso suscita nell’animo del poeta.
Testo de “La sera del di’ di festa” di Giacomo Leopardi
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna. O donna mia,
giá tace ogni sentiero, e pei balconi 5
rara traluce la notturna lampa:
tu dormi, che t’accolse agevol sonno
nelle tue chete stanze; e non ti morde
cura nessuna; e giá non sai né pensi
quanta piaga m’apristi in mezzo al petto. 10
Tu dormi: io questo ciel, che sí benigno
appare in vista, a salutar m’affaccio,
e l’antica natura onnipossente,
che mi fece all’affanno. A te la speme
nego, mi disse, anche la speme; e d’altro 15
non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dí fu solenne: or da’ trastulli
prendi riposo; e forse ti rimembra
in sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
piacquero a te: non io, non giá, ch’io speri, 20
al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
quanto a viver mi resti, e qui per terra
mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
in cosí verde etate! Ahi, per la via
odo non lunge il solitario canto 25
dell’artigian, che riede a tarda notte,
dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
e fieramente mi si stringe il core,
a pensar come tutto al mondo passa,
e quasi orma non lascia. Ecco è fuggito 30
il dí festivo, ed al festivo il giorno
volgar succede, e se ne porta il tempo
ogni umano accidente. Or dov’è il suono
di que’ popoli antichi? or dov’è il grido
de’ nostri avi famosi, e il grande impero 35
di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
che n’andò per la terra e l’oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
il mondo, e piú di lor non si ragiona.
Nella mia prima etá, quando s’aspetta 40
bramosamente il dí festivo, or poscia
ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
premea le piume; ed alla tarda notte
un canto che s’udia per li sentieri
lontanando morire a poco a poco, 45
giá similmente mi stringeva il core.