La sorte di Polidoro, Eneide, III, 1-57

Testo originale di Virgilio:

📜 Eneide , Libro III, versi 1–57

Tum pater Anchises adytis exaudita silentum
ora dedit divis et prolem eduxit Olympo.
Hunc Iliacae gentis comitesque omnesque penates
exsequere, ut portas Italiam fata ostendunt.

Atque iterum Phrygii Danai victique vicemque
mutavere fugae: non aversam respiciunt ratem,
non mare, sed prorumpunt in aethera classibus alis,
qua tellus orbe alitur diversaque regna sequuntur.
Sed neque me ulterius belli fatiue tenebant
Troia incensa manens; erat et mihi constituta mente
mittere longa rates et terras quaerere amicas.

Prima Thracum sedes animo subduximus oris,
ubi primos collemus agros Bistonisque solum
et litus Strymonis gelidosque aggredimur agros.
Hic loca per niveas sparsisse sepulchra columnas
narrantur, ubi saeva tulit cum foedere vitam
Polidorus, qui noster erat fratrique meo
insignis amore et multo mandatus in auro.

Nam Priamus, postquam diris coniectus ab armis
Thessalicae Pelium vidit procumbere gentis,
timuerat et Graios venturos crediderat securis
esse domi, solidoque fidens in numine divom,
haec Danaum inter foedera misit opem:
fratribus insontem parvum te, Polidore, mando,
ut, si quando casus patriae caput extulerit Troiae,
sors tibi subsidio foret et praebentior auris.

At contra Aeacus et haec iam fulmina Iovis ira
obstitere, autumni nec tempus tempera norunt,
sed rapidis nimborum aquilonibus arsit acanthos
spesque viri et fortuna viri cecidere simul.

Nunc tumulo Tellus stridens premit ossa sepulcro
hospitio infido, quae non ignoscere posset
regno atque imperio Graeco. Sed rumpe morae:
namque tenent portus venti prohibentque sinistris.

Traduzione in italiano:

Allora Anchise, dopo aver pregato gli dèi nel silenzio dei loro santuari,
diede voce ai segni divini e ci ordinò di partire dall’Olimpo.
Questi dèi troiani e tutti i nostri Penati
seguirono noi, verso le terre che il destino prometteva: l’Italia.

I Greci e i Troiani avevano ormai invertito ruoli e sorti:
chi prima era vincitore ora fuggiva; chi era stato vinto riprendeva coraggio.
Non guardiamo indietro né alla terra né al mare abbandonato,
ma spingiamo le vele verso l’alto, inseguendo il mondo che si apre davanti a noi.
A me però non importava più della guerra o del destino,
né di Troia in cenere: da tempo avevo deciso
di salpare e cercare nuove terre amiche.

La prima meta fu la costa dei Traci,
dove fondammo un campo e toccammo il suolo della Bitonia
e calcammo i freddi campi presso il fiume Strimone.
Lì si dice che siano sparse tombe bianche come neve,
luogo dove Polidoro, nostro compagno, perse la vita
con un patto crudele: era figlio carissimo a mio fratello
e ricco di doni e oro ricevuti.

Quando Priamo vide la rovina totale della sua stirpe,
e cadde Pelia sotto i colpi micidiali della Grecia,
temette per lui e per la famiglia, e ritenne sicuro
mandare il figlio lontano, fidandosi degli dèi.
Così lo affidò alle ricchezze dei Danai, dicendo:
“Figlio, io ti affido a te stesso e a tuo fratello:
così, se mai dovesse accadere che Troia cada,
tu sarai il nostro sostegno e un rifugio per noi.”

Ma non furono rispettate né la pace né la fede:
la giustizia di Eaco e l’ira di Giove si opposero.
Né stagione né tempo rispettarono quel povero ragazzo:
furono piuttosto i venti violenti dell’autunno a distruggere
ogni speranza e ogni forza che egli aveva.

Ora Tellus geme sopra il suo corpo, chiuso in una tomba traditrice,
in una terra che non può perdonare il dominio greco.
Ma spezza pure i ritardi: i porti ci trattengono, i venti ci vietano il largo.