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24 Aprile 2025Analisi del racconto “L’alba del commendatore” di Giovannino Guareschi
“L’alba del commendatore” è un tipico racconto di Giovannino Guareschi che mescola sapientemente l’umorismo bonario, la critica sociale e una riflessione profonda sui valori e sulla contrapposizione tra il mondo cinico degli adulti e la purezza disarmante dell’infanzia.
1. La Trama in Sintesi: Il racconto narra la vicenda del Commendatore, un uomo d’affari affermato e pragmatico, la cui routine domenicale viene sconvolta da un fracasso. Scopre che il responsabile è il figlio dodicenne, Bobi, precipitato dalla libreria nel tentativo di riporre un binocolo usato per osservare l’alba dal terrazzo, necessario per un tema scolastico. Il Commendatore, irritato e incapace di comprendere la necessità di un’esperienza diretta per un compito così “ovvio”, s’infuria con il figlio e il professore. Dopo un secondo tentativo di Bobi di cercare l’alba in bicicletta, che causa ulteriore agitazione familiare, il Commendatore decide di risolvere la questione a modo suo. Scopre che il professore è lo stesso che, trent’anni prima, lo aveva bocciato su un tema identico, giudicandolo disonesto. Dopo una riflessione sulla propria “onestà” nel mondo degli affari, il Commendatore rapisce” letteralmente Bobi (sfuggendo alla moglie impegnata in preparativi mondani) e lo porta in montagna per fargli vedere l’alba. Tornati a casa, scoprono che il professore ha dato a Bobi un ottimo voto (Nove), definendolo “piccolo scrittore” per aver descritto l’alba “per contatto diretto con la realtà”. Questo porta il Commendatore a una personale, tardiva, realizzazione: l’alba non è affatto una cosa ovvia.
2. I Personaggi Principali:
- Il Commendatore: È il protagonista e incarna l’uomo moderno, concentrato sugli affari, pragmatico fino al cinismo, convinto che molte cose siano “ovvie” e non necessitino di esperienza diretta. Inizialmente è infastidito dall’idealismo del figlio e rivede nel professore una vecchia frustrazione. Tuttavia, nel corso del racconto, compie un percorso che lo porta a una (seppur parziale e ironica) comprensione del valore dell’esperienza e della “onestà” intesa come fedeltà alla realtà osservata. La sua figura è tratteggiata con umorismo, evidenziando le sue ipocrisie (la giustificazione dell’onestà commerciale, il disprezzo per le mondanità della moglie contrapposto alla sua stessa fuga).
- Bobi: Il figlio dodicenne, puro e tenace nel suo desiderio di osservare l’alba per svolgere onestamente il suo compito. Rappresenta l’infanzia con la sua logica semplice e diretta, non ancora corrotta dal compromesso o dal cinismo del mondo adulto. La sua ostinazione è la molla che innesca l’azione e il cambiamento (interiore) del padre.
- La Signora: La moglie del Commendatore, figura più tradizionale, preoccupata per il figlio in modo più emotivo e meno concettuale del marito. Incarna anche un certo tipo di mondanità borghese (i preparativi per la festa, il vestito, l’isteria) che fa da contrasto ironico alla “missione” del marito. La sua reazione finale (ridere per il destino del vestito) stempera la tensione accumulata.
- Il Professore: Compare solo brevemente ma è cruciale. Rappresenta un’idea di educazione che valuta l’esperienza diretta e l’onestà intellettuale. È la figura che lega il passato del Commendatore al presente di Bobi e, attraverso il suo giudizio finale, convalida la “onestà” di Bobi e, indirettamente, l’esperienza vissuta dal padre.
3. Temi Principali:
- L’Obvio vs. L’Esperienza: È il nucleo tematico del racconto. Il Commendatore ritiene l’alba “una cosa ovvia”, qualcosa che si sa per sentito dire o per pura deduzione logica (come il fatto che si muore cadendo da tremila metri). Bobi, spinto dal professore o da una sua innata onestà, sente il bisogno di vedere l’alba. Il racconto dimostra come molte verità apparentemente “ovvie” acquistino profondità e significato solo attraverso l’esperienza diretta, trasformando la conoscenza nozionistica in consapevolezza vissuta. La battuta finale del Commendatore (“l’alba non è una cosa ovvia”) sigilla questa lezione.
- Critica al Sistema Educativo e alla Società: Guareschi critica implicitamente sia un tipo di compito scolastico (i “temi di fantasia”) che può apparire astratto se non stimola l’osservazione reale, sia soprattutto il mondo adulto che ha perso la capacità di meravigliarsi e valorizza l’astuzia e il compromesso (l’onestà “commerciale”) più dell’integrità e della ricerca autentica.
- Il Rapporto Padre-Figlio: Il conflitto iniziale si trasforma in un’alleanza, una complicità inaspettata. Il padre, pur agendo con i suoi metodi poco ortodossi, finisce per mettersi al servizio del figlio e, nel farlo, riscopre (o scopre per la prima volta) il valore di ciò che il figlio cerca. La condivisione dell’esperienza dell’alba li unisce in un modo che le dinamiche quotidiane non permettevano.
- La Redenzione (laica e ironica): Il Commendatore vede il Nove di Bobi come un “abbiamo rimediato”, un riscatto non solo per il figlio ma anche per sé stesso, per quella macchia sul suo passato scolastico e, forse, sulla sua “onestà” di uomo.
4. Stile e Tono:
Guareschi utilizza un linguaggio chiaro e scorrevole, ricco di dialoghi vivaci che delineano i personaggi e le loro interazioni. L’ironia è una cifra stilistica costante, presente nelle descrizioni (la moglie “straziata dalle schegge d’una bomba”), nelle riflessioni del Commendatore (sull’onestà, sulla città sommersa), e nelle situazioni paradossali (la ricerca dell’est a Milano, la fuga in macchina). L’umorismo non è mai fine a sé stesso ma serve a veicolare la critica sociale e la riflessione sui temi del racconto. La struttura è lineare, ma arricchita da flashback (la vicenda della bocciatura) e da scene ben costruite (il caos in casa, l’osservazione dell’alba in montagna).
5. Significato e Conclusione:
“L’alba del commendatore” è un racconto che invita a guardare oltre la superficie delle cose, a non dare per scontato ciò che apparentemente è “ovvio”, e a riscoprire il valore dell’esperienza diretta e dell’onestà intellettuale, qualità che spesso il mondo adulto, preso dalla fretta e dal pragmatismo, tende a dimenticare, ma che possono essere risvegliate dal contatto con la purezza e la tenacia dell’infanzia. Il viaggio del Commendatore non è solo fisico verso l’alba, ma è un viaggio interiore verso una consapevolezza diversa, seppur mediata dal suo carattere e dal suo passato. La risata finale della moglie suggerisce un ritorno a una normalità familiare, forse leggermente alterata dall’avventura vissuta.
Testo del racconto L’alba del commendatore di Giovannino Guareschi di Giovannino Guareschi
Svegliatosi di soprassalto, il Commendatore guardò la sveglia e prese mentalmente nota: “La bomba è scoppiata alle sei e cinquantadue”.
In quell’istante, dalla stanza attigua, giunse un urlo straziante. “La bomba è scoppiata di là”, pensò il Commendatore inorridito, mentre schizzava fuori dal letto e si precipitava verso la porticina di comunicazione, “Chissà cosa troverò!”. Nell’altra stanza trovò la signora seduta sul letto, con gli occhi sbarrati e con le mani disperatamente aggrappate ai capelli scomposti. In quelle condizioni, la signora perdeva molto del suo abituale fascino: però era ben lungi dal dare l’idea d’una creatura straziata dalle schegge d’una bomba.
Deve essere scoppiato qualcosa in cucina — ansimò la signora. — La stufa a gas, il frigorifero, la lavatrice elettrica.
Non fu necessario al Commendatore cercare, nella lontana cucina, la spiegazione del mistero: la trovò in biblioteca. E l’ordigno che aveva originato il cataclisma era lì, tremante di paura addossato al muro.
Bobi! — gridò il Commendatore stupito e indignato.
Volevo rimettere a posto il binocolo grosso sul ripiano alto della libreria — balbettò il nominato Bobi. La signora era sopraggiunta.
Guardalo! — gemette dopo aver considerato sbalordita il piccolo sciagurato. — Guarda come s’è conciato! E come ha conciato il tappeto! Ma cos’hai fatto?
In verità, la situazione non era chiara: alle sei e cinquanta di una domenica di febbraio, egli aveva sentito il bisogno di rimettere a posto il binocolo di cui s’era, per qualche ragione, servito.
Accostando due sedie in modo che ne potessero reggere una terza, il nominato Bobi s’era trovato a disporre d’una piramide, salendo sul vertice della quale poteva raggiungere la quota voluta. Una volta arrivato lassù, la terza sedia gli era sgusciata di sotto i piedi e il temerario, precipitando, s’era aggrappato a un considerevole busto di bronzo alloggiato su un alto trespolo di legno stazionante nei paraggi della libreria. Prima di toccar terra, il busto bronzeo aveva disintegrato un tavolino stracarico di preziose cianfrusaglie. Fino a qui, tutto chiaro.
Stranissimo, invece, il fatto che il nominato Bobi avesse voluto compiere la sua impresa col cappotto infilato sul pigiama. E che fosse riuscito a tingersi di nero in modo tale da insudiciare orrendamente tutto ciò che era venuto a contatto coi suoi piedi, con le sue mani e coi suoi indumenti.
Dove sei stato? — domandò con voce dura il Commendatore.
Sul terrazzo — rispose Bobi.
Sul terrazzo? — gridò la signora. — E a fare cosa?
A vedere l’alba — spiegò Bobi. — Per questo mi occorreva il binocolo.
Il Commendatore, preso alla sprovvista, ripiegò su un‘argomentazione generica, di fortuna: – Questi maledettissimi giornali a fumetti! — gridò. — Eccitano la fantasia dei ragazzini e li spingono a commettere sciocchezze.
Si sentì sbattere una porta: qualcuno stava avvicinandosi canterellando e la signora riconobbe la voce della cameriera più giovane. Così, ancora agitata dal risveglio improvviso, coi capelli scomposti e il viso non ancora “trattato”, la signora dimostrava i suoi quarant’anni: e, siccome non ne aveva che quarantadue, le seccava farsi vedere in quelle condizioni da una pettegola di vent’anni.
Adesso vatti a cambiare e a fare il bagno — intimò la signora a Bobi. — Ne riparleremo a colazione.
Ne riparleremo a colazione — fece eco il Commendatore che, ancora in pigiama, portava validamente i suoi quarantatré anni, ma cui seccava di farsi vedere dalla servitù in camicione da notte.
Bobi, un paio d’ore dopo, si presentò accuratamente ripulito a ricevere la sua spettanza di caffelatte, crostini, burro e marmellata. Fu accolto con molta freddezza e lo si ignorò fino a quando la cameriera non ebbe sgombrata la tavola dei resti della colazione. Il Commendatore e la signora si astenevano, presente la servitù, da ogni discussione.
Quello che tu hai fatto stamattina — disse il Commendatore a Bobi una volta liberato il campo — è ingiustificabile e merita una severa punizione.
Non l’ho fatto apposta — si giustificò Bobi. — Quando avevo preso il binocolo le sedie non erano cadute. È stata una disgrazia.
Si può perdonare la disgrazia — replicò duramente il commendatore. — Non si può perdonare la stupida idea di scappare di casa nel cuore della notte per salire fin sul terrazzo del sedicesimo piano!
Non era notte — rispose Bobi. — Sono salito alle sei.
Dunque sei rimasto su quasi un’ora! — esclamò il Commendatore. — E a quale scopo?
Allo scopo di rischiare una polmonite come uno spazzacamino, di far morire di spavento sua madre, di fracassare una quantità di belle cose correndo anche il pericolo di fracassarsi la testa! — aggiunse aspra la signora.
Io volevo vedere l’alba — balbettò Bobi.
L’alba! — urlò il Commendatore. — Si deve sentire ancora una stupidaggine di questo genere? Cosa te ne fai dell’alba?
Mi serviva per il compito — spiegò Bobi. — Nel componimento mensile dobbiamo descrivere l’alba.
Il Commendatore rise fragorosamente: – Straordinario! E tu, per descrivere l’alba, hai bisogno di salire alle sei della mattina sul terrazzo!
Dalle nostre finestre non si vede l’alba — mormorò avvilito Bobi. — Mi sono alzato presto tante mattine e ho guardato da tutte le finestre, ma non si vedono altro che case. Allora sono andato sulla terrazza. Ma, a est, c’è il grattacielo. E poi la nebbia copre tutto, in lontananza.
Il Commendatore faticava a credere alle sue orecchie: – Giulietta — disse alla signora — noi abbiamo un figlio cretino.
Bobi, che aveva battagliato duramente fino a quel momento, cedette e si mise a piangere. Allora il Commendatore riprese il controllo dei suoi sentimenti. – Bobi, non è il caso di drammatizzare. Si tratta di ragionare. Hai già dodici anni e, quindi, sei in grado di farlo. Se il professore ti assegna il tema: <Raccontate una bella passeggiata>, tu hai bisogno di fare una bella passeggiata per poterla descrivere?
Di passeggiate ne ho fatte — piagnucolò Bobi. — L’alba, invece, non l’ho mai vista.
E che cosa c’entra? — ridacchiò sarcastico il Commendatore. — L’alba è una cosa ovvia! Bobi lo guardò perplesso. Evidentemente non capiva cosa significasse “una cosa ovvia”. Il Commendatore cercò di spiegarsi con un esempio: – Tu hai mai visto un uomo cadere da tremila metri?
No.
Quindi tu non sei in grado di immaginare cosa succede a un tizio se cade, senza paracadute, da un aereo che viaggia a tremila metri d’altezza.
Muore — rispose il bambino.
Ecco — concluse soddisfatto il Commendatore. — Il fatto che un uomo, cadendo per terra da tremila metri, muoia, è una cosa ovvia. Una cosa che tutti sanno anche se non l’hanno mai vista.
Bobi non era convinto e il Commendatore se ne accorse. – È inconcepibile — esclamò seccatissimo. — Con tante cose interessanti e utili da far osservare ai ragazzi, ci sono degli insegnanti che ancora assegnano i famigerati “temi di fantasia” che usavano ai tempi di mio nonno! Perché costringere i bambini a scrivere cose di maniera e a riempire pagine di stucchevoli luoghi comuni? eccetera eccetera. Ecco quello che vogliono.
Il professore non vuole queste cose — spiegò Bobi. — Il tema ce lo dà un mese per l’altro così uno ha il tempo per osservare.
Un mese per osservare l’alba! — sghignazzò il Commendatore. — Fortuna che la scuola è stata messa su un campo eminentemente pratico!
La signora, che si annoiava mortalmente, intervenne: – Invece di discutere i sistemi d’insegnamento — affermò — non sarebbe meglio se tu aiutassi il ragazzo?
Già, con tutte le cose che ho per la testa! Comunque vediamo; quando scade il termine?
Il giovedì seguente ci fu vacanza e Bobi ne approfittò per vedere di sistemare la questione dell’alba. Questo lo si scoperse alle sette e tre quarti, mentre il Commendatore si apprestava a uscire. Bobi non era, come si credeva, nella sua stanza: il letto era vuoto e, sul tavolino, stava un laconico messaggio: <Cara mamma vado in bicicletta incontro all’alba. Tornerò subito>.
Il pensiero di Bobi partito in bicicletta, col buio, verso l’ignoto, riempì di terrore la signora. E anche il Commendatore si preoccupò. La giornata era grigia, sorda, con una leggera nebbia a mezz‘aria che non prometteva niente di buono.
La signora fu pronta rapidamente e, quando apparve già in completo assetto di viaggio, disse con estrema decisione: – Andiamo.
Il Commendatore rinunciò all’autista e, assieme alla moglie, salì in macchina e partì. Poi, fatto un centinaio di metri, gli venne spontanea una domanda: – Da che parte andiamo? Milano non è un paesello e un ragazzino che passa in bicicletta difficilmente può essere notato. Di qui la necessità di porsi una domanda: – Da che parte sarà andato Bobi?
Lo ha lasciato scritto sul biglietto. <Vado in bicicletta incontro all’alba>. Si è diretto verso est. Era addirittura una cosa ovvia, ma, immediatamente, una terza domanda dovette essere formulata dal Commendatore: – Da che parte è l’est? Il Commendatore, nella sua vita, si era occupato e preoccupato di mille cose; però non s’era mai posto il problema dei punti cardinali. In una città come Milano, i punti cardinali hanno scarsissima importanza. La gente non ha tempo di occuparsi del giro del sole. Il sole interessa solo i vecchi che passano le loro giornate in casa: per essi un raggio di sole significa qualcosa. Comunque fosse, il Commendatore, sprovvisto di carte, non poteva accettare l’idea di fermare un passante per domandargli informazioni da che parte nascesse il sole.
Un vigile gli ricordò un libro di terza elementare e la famosa figura del ragazzo che, con le braccia tese all’infuori, insegna la regola dei punti cardinali. Ripensò all’orientamento delle carte geografiche e concluse: – Se io mi metto dirimpetto al Nord, alle spalle ho il Sud, a sinistra ho l’Ovest e a destra ho l’Est. Tutto bene: però occorreva un punto di riferimento.
Piazza del Duomo, portici settentrionali, – suggerì la signora. Andarono in piazza del Duomo, si orientarono e presero la strada dell’Est. Appena fuori dalla città trovarono una pioggerella minuta che li rese ancora più nervosi. Arrivarono fino a Brescia.
Qui telefonarono a casa e seppero che Bobi era appena tornato. Il Commendatore non se la prese con Bobi: sorpreso dalla pioggia, Bobi aveva dovuto interrompere la sua marcia verso oriente e, rientrato alla base bagnato fradicio, era stato messo a letto. Il Commendatore se la prese col professore: – Vado a dirgliene quattro io, a quel disgraziato! — gridò.
La signora tentò debolmente di calmarlo, ma il Commendatore respinse ogni obiezione: – Faccia quello che crede: se è pazzo lui, non è ammissibile che porti alla pazzia mio figlio. Dov’è la scuola di Bobi?
La signora ne aveva una vaga idea. Ignorava però, del tutto, il nome del professore d‘italiano. Sapeva, in compenso, che Bobi frequentava la seconda classe sezione C.
Mi basta — affermò il Commendatore, che conosceva la potenza della mancia. La scuola era chiusa, ma il Commendatore ottenne con estrema facilità quanto gli interessava: nome, cognome e indirizzo con l’indicazione precisa del piano e del colore della porta. Venti minuti dopo suonava all’uscio del professore.
Il Commendatore, strada facendo, aveva preparato un discorso da levare la pelle e scoppiava dalla voglia di sfogarsi: ma, quando, dopo la vecchia e striminzita signora venuta ad aprirgli, si trovò davanti il professore, il Commendatore dimenticò di colpo tutto il suo discorso, riuscendo a malapena a farfugliare il proprio nome.
Mio figlio — spiegò poi faticosamente — è a letto… Ha preso un’infreddatura e dovrà rimanere assente da scuola per qualche giorno. Il professore di Bobi era un vecchio alto, secco come un baccalà. Lineamenti molto segnati ed un‘aria assai poco cordiale.
È spiacevole — rispose. — Speriamo sia cosa da poco.
Lo spero anche io — disse il Commendatore. — Il fatto è che Bobi si preoccupa molto per il componimento mensile che dovrebbe presentare lunedì prossimo. Se potesse ottenere una proroga, ciò lo tranquillizzerebbe e faciliterebbe la sua guarigione.
Il vecchio ci pensò su un poco, poi borbottò di malumore: – Gli concedo una settimana di proroga. Il Commendatore si rese conto che doveva considerare terminata l’udienza.
In macchina, durante il ritorno, il Commendatore continuava a rigirare fra le mani il foglietto sul quale il bidello gli aveva scritto nome e indirizzo del professore. Sì, l’aveva letto quel nome, prima di bussare alla porta del professore, ma l’eccitazione gli aveva evidentemente impedito di prenderlo nella dovuta considerazione. E, così, era stato colto di sorpresa, completamente impreparato.
“Trent’anni”, pensò. “E, dopo trent’anni, ancora lo stesso muso duro e le stesse maniere di villano malgarbato.” Dovette confessare, con vergogna, che lui, Commendatore potentissimo di anni quarantatré, davanti a quel vecchio male in arnese s’era trovato intimorito come quando aveva dodici anni. L’età di Bobi.
Il Commendatore era un uomo preciso e, siccome sapeva navigare nel mare infido degli affari, sapeva che non bisogna mai buttar via neppure un pezzetto di carta scritta, si trattasse magari della nota della lavandaia. Ogni pezzo di carta scritta è un documento e può servire; il suo archivio personale era, perciò, vasto e perfettamente organizzato.
Appena arrivato a casa si appartò nel suo studio e consultò la rubrica generale. La voce che l’interessava era segnata in quattro maniere: sotto la lettera (G), sotto la lettera (U), sotto la lettera (A) e sotto la lettera (<Ginnasio>). Due interi cassetti d’una delle cartelliere metalliche erano riservati all’argomento in questione e racchiudevano tutti i documenti scolastici del Commendatore: quaderni, libri, pagelle, attestati, fotografie di gruppi e ricordi di gite. Nel reparto della seconda ginnasiale, il Commendatore trovò il famoso quadernone con copertina nera intestato <Componimenti mensili per casa>. Il quarto componimento aveva per tema: <Descrivete l’alba>. Il Commendatore non lesse lo svolgimento: se lo ricordava ancora. Giro le pagine fino alla nota finale in inchiostro rosso: <Tre. Meriterebbe zero perché l’alunno si è limitato a raccogliere, in uno spregevole polpettone, i più stucchevoli e consunti luoghi comuni rivelando totale mancanza di buon gusto, buon senso e dignità e onestà, comportandosi alla pari del fruttivendolo che raccatta mele fradice nei mondezzai e cerca di venderle come buone. Meriterebbe meno di zero: si concede il tre per non togliergli la possibilità di rimediare e di riabilitarsi>.
Il Commendatore arrossì: non era mai riuscito a rimediare e a riabilitarsi. Bocciato all’esame di luglio, aveva arraffato la promozione a ottobre grazie a trucchi e a interventi inconfessabili. Una faccenda tanto sporca che non aveva trovato il coraggio di affrontare ancora il professore di seconda e s’era fatto cambiare di sezione, passando alla B.
Il Commendatore rilesse la nota in inchiostro rosso e rise: “Vecchio stupido”, pensò. “In commercio, il fruttivendolo che sa vendere le mele fradice come buone è un dritto! Con le tue chiacchiere tu, dopo trent’anni, ti trovi alla vigilia di esser cacciato via con quattro soldi di pensione, mentre io mi trovo con un capitale di due miliardi, guadagnati onestamente.”
Il Commendatore amava la precisione e, perciò, sentì il dovere di puntualizzare la situazione: “L’onestà in senso assoluto esiste soltanto teoricamente e funziona soltanto nei libri. Esiste, in ogni campo, una onestà specifica: l’onestà commerciale, l’onestà industriale, l’onestà politica, l’onestà scientifica e via discorrendo. Una azione che, compiuta da un cittadino qualsiasi, sarebbe disonesta, compiuta dallo Stato è onesta. Per il professore è disonestà il fatto che un allievo se ne infischi dell’alba e descriva l’alba per sentito dire. Ma, per l’allievo che si sente portato verso l’attività commerciale, è onesto non perdere tempo ed energie per preoccuparsi di cose che non l’interessano e mai potranno interessarlo”.
Pensò a Bobi che era salito sulla terrazza e s’era poi infradiciato di pioggia per andare a vedere l’alba e descriverla secondo quanto fissato dal tema, ma trovò una soddisfacente giustificazione: “Bobi è mio figlio e non può essere un cretino. Si vede che non è naturalmente portato al commercio, bensì ad un’altra attività: letteratura, pittura. Agisce così perché gli interessa ai fini della sua attività futura”.
Gli venne, in un secondo tempo, un sospetto: “E se Bobi non si sentisse portato a nessuna attività specifica, ma agisse semplicemente per onestà generica?”. Rinunciò a trarre delle conclusioni su un’ipotesi. Si propose semplicemente di sorvegliare Bobi. Fino a quel momento si era occupato troppo superficialmente di Bobi. Un brivido, però, percorse la schiena del Commendatore: dimenticò il Bobi che cercava stupidamente l’alba per meditare e ripiegò sul Bobi che la cercava cocciutamente.
Anzi: tenacemente. “In fondo”, convenne il Commendatore, “sotto un certo punto di vista, si potrebbe anche dire che Bobi la cerca eroicamente.” Però era meglio non dirlo. Ripose il quaderno dalla copertina nera e richiuse il cassetto della cartelliera. Pratica esaurita.
Bobi rimase a letto soltanto un paio di giorni. Al sabato avrebbe anche potuto tornare a scuola, ma il Commendatore non lo permise. Anzi, siccome Bobi s’era già vestito, il Commendatore uscì di casa con un quarto d’ora di ritardo perché volle sincerarsi di persona che Bobi si svestisse e si rimettesse a letto. – Ti alzerai alle undici — stabilì. — Hai già combinato troppi guai. Vedi di non combinarne altri. Ti sei messo su una strada che non mi piace. E, per oggi e domani, niente libri!
Il componimento mensile… — azzardò Bobi.
Il professore ti ha concesso una settimana di proroga. Hai tutto il tempo che occorre per fare non uno ma cinque componimenti.
Il Commendatore, quella mattina, risultò particolarmente intrattabile e maltrattò un sacco di gente. Non c’era, in verità, nessuna ragione particolare che giustificasse questo suo nervosismo: che sentisse il tempo? Il Commendatore non s’era mai preoccupato della stagione. Il suo tipo di attività commerciale non risentiva flessioni stagionali e cose del genere. Però, quel sabato mattina, la nebbia milanese lo innervosiva.
Ma non viene mai il sole in questa maledetta città? — fu sorpreso a esclamare, con malumore, dal direttore amministrativo. E il fatto venne giudicato molto singolare. Non aveva voglia di tornare a casa e mangiò al ristorante. Tornò subito in ufficio più nero di prima e, fino alle quattro del pomeriggio, niente sopravvenne a migliorare la situazione.
Il miracolo accadde pochi minuti dopo le quattro: la nebbia scomparve d’improvviso e apparve un cielo da cartellone di propaganda turistica. Un raggio di sole fece scintillare il piano di cristallo della scrivania del Commendatore. E il Commendatore, come se il cervello gli si fosse illuminato, ebbe un‘idea fulminante.
Fece una lunga telefonata interurbana e, quando rimise giù il cornetto, pareva molto soddisfatto. Chiamò a raccolta lo stato maggiore: – Vediamo di sistemare tutto. Alle cinque debbo andarmene.
Il Commendatore rincasò alle cinque e un quarto e trovò la rivoluzione. Donne che andavano e venivano, donne che telefonavano. Donne che il Commendatore non aveva mai visto: e tutte indaffaratissime. Nel salone c’era la scena madre: la signora, attorniata da un piccolo esercito di donne, stava provandosi un favoloso abito da sera. Era eccitatissima: ogni tanto urlava che lei lo sapeva che sarebbe andata a finire così e che il difetto della spallina sarebbe rimasto, e che la piega sul fianco non sarebbe scomparsa e roba del genere. Poi s’interrompeva per domandare, in nome di Dio, se il calzolaio avesse o no mandato quelle maledettissime scarpe; e se il gioielliere, e se la manicure, e se la pettinatrice, e se la pellicciaia… Il Commendatore non si aspettava una fiera del genere e domandò cosa succedesse. – Succede che sono le cinque e venti e siamo ancora in alto mare. Così non si capisce come, stasera, potremo essere alla festa dei Rodacci… Spero che anche tu non mi farai impazzire preparandoti all’ultimo minuto… E la macchina, è tornata dalla carrozzeria?
Quale macchina?
La Cadillac. Non ti ricordi che l’abbiamo mandata in carrozzeria per ripassare quel parafango?
Il Commendatore non se ne ricordava. Oltre al resto, detestava quell’enorme salone a ruote ed evitava accuratamente di usarlo. Si ricordò invece che, quel sabato sera, avrebbe dovuto portare la moglie alla festa dei Rodacci. Pensò con enorme fastidio al ballo che sarebbe finito non prima delle tre del mattino. Azzardò un tentativo: – Questa sera avrei da fare: se potessi evitare…
La signora lanciò un urlo straziante che raggelò il sangue al commendatore: – Spero di non aver capito — esclamò con orrore la signora. — Spero di non aver capito che tu penseresti di mandarmi sola alla festa.
Non dicevo questo — borbottò il Commendatore. Non aggiunse che, la sua idea, sarebbe stata quella di convincere la signora a non andare alla festa. Si ritirò discretamente nel suo studio e rimase lì a meditare sulla angosciosa situazione: ma non riusciva a trovare il coraggio di affrontare la signora.
Alle sette chiamò la cameriera vecchia, quella di completa fiducia, che da trent’anni era in casa sua: – Adesso cosa sta succedendo, di là?
È arrivato il parrucchiere.
È una cosa che durerà molto?
Almeno un’ora e mezzo. Il Commendatore impartì delle precise direttive che la donna accettò senza discutere. – Fra mezz’ora tutto dev’essere pronto — concluse il Commendatore.
Mezz’ora dopo, il commendatore uscì, inosservato. Ogni cosa si svolse secondo i piani prestabiliti: il tassì lo portò fino a un certo piazzale solitario, al margine della periferia. Qui era ad attenderlo l’autista con la piccola decappottabile. Il Commendatore scese dal tassì e, mentre l’autista prendeva il suo posto nel tassì, andava a insediarsi al volante della decappottabile.
Tutto a posto? — domandò il Commendatore tirando il pomello d’avviamento.
Sì papà — rispose Bobi che stava lì, al fianco del Commendatore.
Ci vollero due ore buone, per arrivare a destinazione; il buio era sopravvenuto e si sa come sono le strade di montagna. Tutto era a posto: ogni cosa corrispondeva a quanto aveva telefonato l’albergatore: un cielo limpido, pieno di stelle, due stanze comunicanti magnifiche, con grandi finestre dalle quali l’occhio poteva spaziare sui monti e sulla conca del lago.
Bobi e il Commendatore cenarono con appetito e, alle nove, già erano a letto. – Domattina, sveglia alle cinque, – aveva intimato il Commendatore al portiere. Ma non ci fu bisogno di nessuna sveglia: alle cinque, Bobi, completamente vestito, se ne stava col naso appiccicato al cristallo del suo finestrone. E aspettava con fede.
Il Commendatore lo trovò così e Bobi, appena lo vide comparire, esclamò eccitatissimo: – Ecco, babbo: il cielo sta diventando color lapis copiativo. Il mare è bello, ma fa un po’ paura.
Non è il mare — spiegò il Commendatore. — Sembra un mare in burrasca, con le onde che si rompono spumeggiando contro gli scogli. Ma quella non è acqua: sono nuvole basse, che coprono tutto il fondo della conca del lago. E gli scogli sono le punte delle montagne fra le quali il lago si insinua. In verità lo spettacolo si faceva tanto più suggestivo quanto più il cielo, dietro la montagna blu spolverata di neve, si rischiarava. Bobi guardava incantato: ma il Commendatore, pure essendo eccitato, non aveva perso la calma e, mentre faceva notare a Bobi questo o quel particolare, non mancava di prendere diligentemente appunti.
La conca del lago, verso sud, aveva una grande breccia e si vedeva l’oceano di nebbia che copriva il piano lombardo. – Laggiù c’è la città sommersa — spiegò il Commendatore. — E, sul fondo, fra i relitti del colossale naufragio, giace il nuovo abito da sera di tua madre.
Bobi guardò perplesso il Commendatore. – Non ti preoccupare — lo rassicurò. — L’abito da sera di tua madre non ha niente a che vedere col tema. Non è pertinente. Ad ogni modo, stasera io ti porterò fino alla porta di casa: tu salirai e io andrò a dormire all’albergo. Mi rifarò vivo martedì o mercoledì. Ti darò il mio numero e tu, ogni tanto, mi telefonerai spiegandomi la situazione.
Finito lo spettacolo, il Commendatore e Bobi si misero subito al lavoro: il Commendatore rilesse i suoi appunti e Bobi ne prese diligentemente nota su un quadernetto: l’alba era inquadrata. Nel tardo pomeriggio, Bobi venne depositato alla porta di casa. Poi il Commendatore si avviò verso l’esilio.
Alle dieci di sera, il Commendatore ricevette il primo messaggio telefonico di Bobi: – È meglio che non esci neanche dall’albergo.
Il vestito?
L’ha rotto tutto a pezzettini, con i denti.
Se l’è presa con te?
Ha detto che non mi vuol più vedere perché non sono più suo figlio.
Le telefonate del lunedì, del martedì e del mercoledì furono sullo stesso tono. La telefonata del giovedì risultò meno deprimente: – Dice che cercherà di dimenticarti.
Al venerdì Bobi era angosciato: – È venuto l’ingegner Listelli: voleva parlare con te. <Chi è?>, gli ha domandato la mamma. <Sono Listelli>, ha spiegato l’ingegnere. <Non lo conosco>, ha risposto la mamma.
Va bene — borbottò il Commendatore. — Se non mi conosce più, domani posso venire a casa come un estraneo. Il Commendatore tornò la sera seguente, all’ora di cena, approfittando del fatto che, alla presenza della servitù, la signora non ammetteva discussioni.
Vedendolo comparire, la signora fece però un’eccezione: – È il nuovo autista? — domandò alla cameriera che era giovane e piuttosto stupida.
No, signora, è il signore, – rispose la ragazza.
Peccato! — commentò sarcastica la signora.
Il Commendatore passò la domenica in ufficio: aveva un sacco di cose da mettere a posto. Tornò a notte alta e si buttò subito a letto. Il lunedì lo dedicò tutto all’ufficio: anche per dimenticare che la signora lo ignorava con tanta intensità da rendergli angosciosa la vita.
Al martedì sera rincasò animato da una ferrea decisione: “Parlerò io per primo. Succeda quel che Dio vuole”. A casa trovò Bobi che l’aspettava al varco. Appena lo vide, gli mise tra le mani un quaderno dalla copertina nera.
Il professore — ansimò — ha corretto il componimento sull’alba. Il Commendatore aperse cautamente il quaderno e cercò la dannatissima nota in inchiostro rosso. La trovò: <Nove. L’alunno (il piccolo scrittore) ha finalmente abbandonato i luoghi comuni e ha descritto l’alba per contatto diretto con la realtà. Si vedrà più avanti se la sua onestà di scrittore è soltanto episodica o se (come è da augurarsi) fa parte del suo patrimonio morale. Comunque, la nota è nove>.
Il Commendatore rilesse la nota: c’era qualcosa di singolare e ne era sicuro, ma non riusciva a scoprirlo. Poi lo scoperse: il professore, parlando di Bobi, lo aveva chiamato <il piccolo scrittore>. Un lapsus calami, evidentemente. Però con un certo significato: <Si concede il nove…>. “Tre più nove, dodici. Dodici diviso due fa sei. Ho rimediato!”, pensò il Commendatore. “Abbiamo rimediato”, rettificò mentalmente. “Abbiamo raggiunto la sufficienza”, si sentì quasi autorizzato ad aggiungere, ché, a quarantatré anni, aveva finalmente visto un’alba, e s’era reso conto che l’alba non è una cosa ovvia.
La signora, ignara, lo aspettava, in piedi nel bel mezzo della sala di soggiorno, fiera in volto, corrucciata e sdegnosa come una imperatrice crudelmente offesa.
Ehilà! — sghignazzò il Commendatore passando a fianco della signora ed allentando una gran pacca a quel sedere di ghiaccio. La signora rimase sbalordita un istante, poi spalancò la saracinesca e, incominciando col dire che lei non sapeva di aver sposato un facchino, continuò a parlare fin che non le si seccò la gola.
Favorisci ripetere, non ho sentito, – disse a questo punto il Commendatore. E non fu una battuta di spirito perché, effettivamente, il Commendatore aveva continuato per tutto quel tempo a ripensare alla nota in inchiostro rosso e non aveva sentito niente di niente. Fu un bene: la signora, infatti, non trovandosi il fiato per bissare la sua filippica, rispose con voce metallica: – Sta bene, ma me la pagherai! La qual cosa, detta da una donna, significa che il conto è già stato saldato ampiamente. Preoccupanti sono le minacce che le donne dicono soltanto a se stesse. Tanto è vero che, quando il Commendatore lesse ad alta voce il componimento di Bobi e si arrivò al particolare della città sommersa e dell’abito giacente nel fondo, alla signora scappò da ridere.