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28 Dicembre 2019Analisi e testo della poesia Lo steddazzu di Cesare Pavese tratta dall’originale raccolta poeticai Lavorare stanca, scritta in stile narrativo
La poesia “Lo steddazzu” è un componimento emblematico della raccolta “Lavorare stanca” di Cesare Pavese, pubblicata per la prima volta nel 1936 (anche se la versione definitiva è del 1943).
Il titolo deriva dal termine calabrese “steddazzu”, che significa “stella” (in particolare, la stella del mattino o l’ultima stella che si vede all’alba).
Questa scelta linguistica non è casuale: Pavese visse un periodo di confino a Brancaleone Calabro nel 1935, un’esperienza che influenzò profondamente la sua poetica, arricchendola di riferimenti a paesaggi e linguaggi del Sud Italia.
Questa raccolta segna una svolta nella poesia italiana, introducendo uno stile e una sensibilità profondamente originali.
1. Caratteristiche Generali di “Lavorare stanca”
Come giustamente evidenziato, la poetica di “Lavorare stanca” si distingue per alcuni tratti innovativi:
- Poesia-racconto (o poesia narrativa): I componimenti non sono liriche pure, ma vere e proprie “storie” o “quadri” che presentano personaggi, situazioni, ambienti e a volte dialoghi. C’è una dimensione narrativa forte, quasi prosastica.
- Andamento prosastico, senza rime: Pavese abbandona la rima e adotta un verso libero che si avvicina al ritmo della prosa parlata, rendendo la poesia più diretta e colloquiale.
- Lunghezza dei versi: I versi sono spesso lunghi, spezzati da enjambement, e seguono il ritmo del pensiero o del racconto.
- Prevalenza di frasi coordinate e non subordinate: La sintassi è paratattica, semplice e lineare, contribuendo all’impressione di immediatezza e concretezza.
- Poche figure retoriche: L’uso di metafore e similitudini è parco e funzionale, evitando gli eccessi retorici e privilegiando un linguaggio asciutto e essenziale.
- Ambienti popolari e quotidiani: Le poesie sono spesso ambientate in contesti rurali, urbani o marginali, con personaggi che riflettono la gente comune, le loro vite semplici e le loro fatiche.
- Spesso sono presenti dialoghi: L’introduzione del dialogo diretto o indiretto conferisce ulteriore realismo e drammaticità alle situazioni.
“Lo steddazzu” incarna perfettamente molte di queste caratteristiche, offrendo un esempio lampante della “poesia-racconto” pavesiana.
2. Analisi della Poesia “Lo steddazzu”
Il componimento descrive un’alba solitaria, un momento di attesa e di profonda riflessione esistenziale.
- L’Ambientazione e il Tempo:
- La scena si apre in un’atmosfera sospesa e primordiale: “il mare è ancor buio / e le stelle vacillano”. È l’ora che precede l’alba, un momento di transizione tra la notte e il giorno, che Pavese carica di un senso di sospensione e malinconia.
- Il “tepore di fiato” che sale dalla riva suggerisce una presenza quasi animale del mare, un respiro primordiale che addolcisce l’aria.
- L’ora è definita “in cui nulla può accadere”, un tempo immobile, quasi fuori dalla dimensione umana dell’azione.
- Il Protagonista: L’Uomo Solo:
- La figura centrale è un “uomo solo”, un archetipo dell’individuo pavesiano, spesso isolato e in attesa, confrontato con la natura e con i propri pensieri.
- Il suo gesto di accendere un “gran fuoco di rami” è l’unica azione concreta, un tentativo di dare un senso o un calore a un’esistenza che si percepisce vuota. Il fuoco, che “arrossa il terreno”, anticipa il colore dell’alba, creando un legame simbolico tra l’azione umana e il ciclo naturale.
- Il Tema dell’Inutilità e dell’Attesa:
- I versi 10-11 (“Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno / in cui nulla accadrà. Non c’è cosa più amara / che l’inutilità.”) esprimono il cuore del messaggio. È la consapevolezza di un’esistenza priva di eventi significativi, di un’attesa vana, che genera un senso di profonda amarezza e futilità. Questa è una delle cifre stilistiche e tematiche più riconoscibili di Pavese: la solitudine esistenziale e l’incapacità di agire.
- La “lentezza dell’ora è spietata, per chi non aspetta più nulla” (vv. 17-18) rafforza questo senso di vuoto. Il tempo non è più un’opportunità, ma una tortura per chi ha perso speranza e aspettative.
- La Stella (Lo Steddazzu) e il Suo Simbolismo:
- La “stella verdognola, sorpresa dall’alba” (vv. 12-13) è l’elemento che dà il titolo alla poesia e ne incarna il significato più profondo. È un’immagine di grande suggestione: l’ultima stella che resiste al sopraggiungere del giorno, quasi un simbolo di una speranza che si spegne o di un ideale che svanisce di fronte alla cruda realtà. La stella “vede” l’uomo e il suo fuoco, e poi “cade dal sonno tra le fosche montagne”. La sua caduta, lenta e ineluttabile, accentua il senso di piccolezza e caducità dell’esistenza umana di fronte all’immensità e all’indifferenza del cosmo.
- Il Dubbio Esistenziale e la Ripetizione:
- “Val la pena che il sole si levi dal mare / e la lunga giornata cominci? Domani / tornerà l’alba tiepida con la diafana luce / e sarà come ieri e mai nulla accadrà.” (vv. 19-22)
- Questi versi pongono un interrogativo esistenziale radicale sulla validità stessa dell’esistenza quotidiana, se essa è destinata a ripetersi in un ciclo di “nulla accadrà”. È il senso di una vita condannata alla ripetizione e all’assenza di significato.
- Il Gesto Finale: Rassegnazione e Routine:
- “L’uomo solo vorrebbe soltanto dormire.” (v. 23) È il desiderio di evasione, di annullamento, di sfuggire alla consapevolezza di questa inutilità.
- “Quando l’ultima stella si spegne nel cielo, / l’uomo adagio prepara la pipa e l’accende.” (vv. 24-25) Il gesto finale, semplice e quotidiano, non è un atto di ribellione, ma di rassegnazione. Accendere la pipa è una piccola routine che scandisce il tempo, un modo per affrontare l’alba e la giornata che si preannuncia vuota. È un gesto che, pur nella sua concretezza, sottolinea l’assenza di prospettive.
3. Caratteristiche Stilistiche Specifiche nel Brano
- Andamento prosastico e verso libero: La poesia si legge quasi come un brano in prosa, senza schemi di rima o metrici rigidi. I versi sono lunghi e fluidi.
- Sintassi paratattica: Prevalgono le frasi coordinate (“e le stelle vacillano”, “e lo guarda arrossare il terreno”), che contribuiscono a un tono descrittivo e riflessivo, senza complesse subordinazioni.
- Poche figure retoriche evidenti: La forza della poesia non risiede in metafore complesse o artifici, ma nella nuda e diretta espressione di un sentimento. Le immagini sono concrete (“fuoco di rami”, “stella verdognola”).
- Linguaggio essenziale: Il lessico è semplice, quotidiano, privo di preziosismi, ma capace di evocare atmosfere profonde.
- Monologo interiore: Sebbene non sia un dialogo, la poesia è un monologo interiore dell’uomo solo, che esprime i suoi pensieri e le sue sensazioni.
Conclusione
“Lo steddazzu” è una poesia che incarna la malinconia esistenziale e il senso di futilità, temi ricorrenti nell’opera di Cesare Pavese. Attraverso uno stile asciutto e narrativo, il poeta descrive un’alba che non porta speranza, ma la conferma di un’esistenza votata alla ripetizione e all’assenza di significato. L’uomo, solo di fronte all’immensità della natura, cerca un futile calore nel fuoco, mentre la “steddazzu”, l’ultima stella, si spegne, simboleggiando la fine di ogni illusione. Il suo desiderio più profondo è solo quello di dormire, di sfuggire alla consapevolezza di un tempo che scorre senza portare nulla di nuovo. È un ritratto toccante dell’alienazione e della rassegnazione, tipico della grande poesia pavesiana.
Schema delle caratteristiche della raccolta poetica “Lavorare stanca”
- Poesia-racconto, ad andamento prosastico, senza rime
- Notevole lunghezza dei versi
- Prevalenza di frasi coordinate e non subordinate
- Poche figure retoriche
- Ambienti popolari
- Spesso sono presenti dialoghi
Testo della poesia Lo steddazzu di Cesare Pavese tratta da Lavorare stanca
L’uomo solo si leva che il mare è ancor buio
e le stelle vacillano. Un tepore di fiato
sale su dalla riva, dov’è il letto del mare,
e addolcisce il respiro. Quest’è l’ora in cui nulla
può accadere. Perfino la pipa tra i denti 5
pende spenta. Notturno è il sommesso sciacquìo.
L’uomo solo ha già acceso un gran fuoco di rami
e lo guarda arrossare il terreno. Anche il mare
tra non molto sarà come il fuoco, avvampante.
Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno 10
in cui nulla accadrà. Non c’è cosa più amara
che l’inutilità. Pende stanca nel cielo
una stella verdognola, sorpresa dall’alba.
Vede il mare ancor buio e la macchia di fuoco
a cui l’uomo, per fare qualcosa, si scalda; 15
vede, e cade dal sonno tra le fosche montagne
dov’è un letto di neve. La lentezza dell’ora
è spietata, per chi non aspetta più nulla.
Val la pena che il sole si levi dal mare
e la lunga giornata cominci? Domani 20
tornerà l’alba tiepida con la diafana luce
e sarà come ieri e mai nulla accadrà.
L’uomo solo vorrebbe soltanto dormire.
Quando l’ultima stella si spegne nel cielo,
l’uomo adagio prepara la pipa e l’accende. 25