Omaggio a Fabrizio De Andre’ – seconda parte classe 2C
28 Dicembre 2019Canzoni sulla storia e su Dante – Luigi Gaudio
28 Dicembre 2019Ci sono cose che gli storici possono anche non vedere, ma che un narratore può (e perfino deve) illuminare, rappresentare, perché in quel tempo e in quel luogo c’erano degli uomini, e quegli uomini sono stati svuotati proprio dalla storia e dai suoi concreti, reali e realistici accadimenti. (Joseph Roth)
Allora si viveva di ricordi come al giorno d’oggi si vive della capacità di dimenticare in fretta e con determinazione. (Joseph Roth)
L’autore
Di famiglia ebraica, non ha conosciuto il padre (e ne ha sempre sentito la mancanza) e ha sposato una donna poi ammalatasi e internata. Joseph Roth era un nostalgico dell’impero, ma molto ironico e consapevole delle sue contraddizioni. Scrisse «Amavo quella patria», «mi permetteva di essere al tempo stesso patriota e cittadino del mondo, di essere anche tedesco tra tutte le genti austriache. Amavo i meriti e le virtù di quella patria e, oggi che è morta e sepolta, ne amo perfino i difetti e le debolezze». Infine, Roth era un ebreo non praticante, e forse, secondo alcuni, un convertito al cristianesimo, anche se nel suo intimo, non pubblicamente.
Il titolo
Poco prima della pubblicazione nel 1932, Joseph Roth quasi casualmente ha un’illuminazione sul titolo del romanzo: la Marcia di Radetzky, op. 228 (1848), di Johann Strauss Sr. (1804-1849), onora il feldmaresciallo austriaco Joseph Radetzky von Radetz (1766-1858), esaltando la repressione e la restaurazione austriaca dopo le cinque giornata nel 1848.. È una composizione musicale simbolica che chiude il concerto di capodanno a Vienna ogni anno. Nel romanzo uno dei tanti rituali dell’impero in declino è proprio l’esecuzione di questa marcia, anche ad opera di piccole bande di paese. In realtà il titolo è profondamente ironico, perché questa marcia è stata composta dopo la riconquista di Milano nel 1848, ma il romanzo parte dalla sconfitta austriaca a Solferino nel 1859.
Introduzione
La marcia di Radetzky è l’opera più nota di Joseph Roth. Fu acclamata dalla critica dopo essere stata pubblicata per la prima volta in tedesco nel 1932 e poi tradotta in inglese nel 1933. Nel 2003, il critico letterario tedesco Marcel Reich-Ranicki l’ ha inserita in Der Kanon (“Il canone”) dei più importanti romanzi letterari di lingua tedesca. È un romanzo che affronta con ironia e umorismo il declino e la caduta di una famiglia e di un impero; l’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria-Ungheria rimane all’oscuro delle conseguenze negative e non volute di un premio dato all’eroe di Solferino, che ha alimentato l’eccessiva generosità del figlio, il capitano distrettuale.
Protagonisti
A parte ovviamente i tre “baroni” von Trotta, il primo, Joseph, l’eroe di Solferino, e in particolare i due più in contrasto fra loro, il secondo, il capitano distrettuale, fedele devoto ai rituali militari, e il terzo, suo figlio Carl-Joseph, il ribelle non all’altezza della tradizione familiare, si potrebbe dire che il vero protagonista del romanzo è proprio l’impero asburgico stesso. Difatti l’imperatore Francesco Giuseppe, unico collante di un edificio in sfacelo, è presente significativamente all’inizio e alla fine del romanzo, a chiudere la parabola discendente dell’impero. Insomma questo romanzo è forse lo strumento più prezioso in nostro possesso per comprendere l’impero austro-ungarico dal suo interno, immedesimandosi nelle sue anime stanche.
Riassunto
La marcia di Radetzky racconta le storie di tre generazioni della famiglia Trotta, soldati professionisti austro-ungarici il primo e il terzo, e burocrati di carriera, come il secondo, di origine slovena, dal loro zenit durante l’impero al nadir e alla disgregazione di quel mondo prima e durante la prima guerra mondiale. Nel 1859, l’Impero austriaco (1804-1867) stava combattendo la seconda guerra d’indipendenza italiana (29 aprile – 11 luglio 1859), contro i belligeranti francesi e italiani: Napoleone III di Francia, l’imperatore dei francesi e il Regno di Piemonte -Sardegna.
Nell’Italia settentrionale, durante la battaglia di Solferino (24 giugno 1859), l’allora giovane imperatore Francesco Giuseppe I, ben intenzionato, ma goffo, viene quasi ucciso. Per contrastare i cecchini, il sotto-tenente di fanteria Trotta fa cadere l’imperatore da cavallo, e lo salva da morte certa, ma viene colpito alla spalla dalla pallottola destinata a Francesco Giuseppe. L’Imperatore conferisce al tenente Trotta l’Ordine di Maria Teresa e lo nobilita. L’elevazione alla nobiltà alla fine porta alla rovina della famiglia Trotta, parallelamente al crollo imperiale dell’Austria-Ungheria nel 1918.
Dopo la sua elevazione sociale, il tenente Trotta, ora barone von Trotta, è considerato dalla sua famiglia – compreso suo padre – come un uomo di qualità superiore. Sebbene non assuma arie altezzose, tutti lo considerano come una persona cambiata, come un nobile. Le percezioni e le aspettative della società alla fine vincono le sue riluttanze, integrandolo nell’aristocrazia, una classe nella quale lui, figlio di un contadino sloveno, si sente caratterialmente a disagio.
Per inciso, il cognome von Trotta fa venire in mente Margarethe von Trotta, la famosa regista tedesca nata nel 1942.
Comunque Joseph, il primo “barone” von Trotta è disgustato dalla retorica imperiale che il sistema scolastico nazionale sta imponendo alla generazione di suo figlio. Il libro di letture della scuola presenta come realtà una leggenda sul salvataggio dell’Imperatore sul campo di battaglia. Trova particolarmente irritante il particolare falso che il tenente di fanteria Trotta fosse un ufficiale di cavalleria.
Il barone chiede all’imperatore di correggere il libro di scuola. L’imperatore ritiene tuttavia che una tale verità produrrebbe una storia banale, pedestre, inutile al patriottismo austro-ungarico. Pertanto, indipendentemente dal fatto che i libri di storia riportino o meno l’eroismo sul campo di battaglia del tenente di fanteria Trotta come leggenda o come fatto, ordina che questo racconto venga cancellato dalla storia ufficiale dell’Austria-Ungheria. Il barone allora lascia l’esercito e si ritira in Slovenia per tornare a fare il contadino, come il padre. Le successive generazioni della famiglia Trotta fraintendono la venerazione per la leggenda del tenente Trotta che salva la vita dell’imperatore e si considerano aristocratici legittimi.
Affermazione dei nazionalismi
E il mondo non era quello che era stato. Era alla fine.
Questa era non ci vuole più! Questa era vuole creare stati-nazione indipendenti! La gente non crede più in Dio. La nuova religione è il nazionalismo. Le nazioni non vanno più in chiesa. Vanno alle associazioni nazionali. La Monarchia, la nostra Monarchia, è fondata sulla pietà, sulla fede che Dio ha scelto gli Asburgo per regnare su così e tanti popoli cristiani. Il nostro Imperatore è un fratello secolare del Papa, è Sua Maestà Imperiale e Reale Apostolica; nessun altro è così apostolico, nessun’altra maestà in Europa è così dipendente dalla grazia di Dio e dalla fede dei popoli nella grazia di Dio… L’imperatore d’Austria-Ungheria non deve essere abbandonato da Dio.
Il disilluso primo barone Trotta si oppone alle aspirazioni del figlio alla carriera militare, insistendo affinché si prepari a diventare un funzionario del governo, la seconda carriera più rispettata nell’impero austriaco; per consuetudine, il figlio doveva obbedire. Il figlio alla fine diventa così un amministratore distrettuale in una città della Moravia. Come padre, il secondo barone Trotta (ancora ignaro del motivo per cui suo padre eroe di guerra ha vanificato le sue ambizioni militari) riversa sul figlio i suoi desideri militareschi, e manda il proprio figlio a diventare ufficiale di cavalleria; la leggenda del nonno determina la vita del nipote. La carriera dell’ufficiale di cavalleria del terzo barone Trotta comprende incarichi in tutto l’impero austro-ungarico e una vita dissipata tra vino, alcol (in particolar modo l’acquavite, chiamata all’epoca 90 gradi, donne, canzoni, gioco d’azzardo e duelli, insomma tutto quello che sta degradando la classe degli ufficiali militari in tempo di pace.
Della sua vincita il sottotenente conservava ancora settecento corone. Non aveva più osato entrare in una sala da gioco; non solo per paura di incontrare quello sconosciuto maggiore — magari incaricato dal comando del presidio di sorvegliare i giovani ufficiali —, ma anche per lo spiacevole ricordo della sua patetica fuga. Ah! Sapeva bene che per altre cento volte non avrebbe esitato ad abbandonare qualsiasi sala da gioco per ubbidire al desiderio e al consiglio di un superiore. E come un bambino che si abbandona alla malattia, Trotta accolse con un certo sollievo l’amara constatazione di non essere in grado di forzare la fortuna. Si commiserava oltremodo. E in quel momento gli faceva bene commiserarsi. Bevve qualche bicchierino di acquavite. E subito si sentì a casa nel suo essere impotente. E come una persona che si trova agli arresti o in convento, il sottotenente trovò opprimenti e superflui i soldi che portava con sé. Decise allora di spenderli tutti in una volta. Andò in quel negozio in cui suo padre gli aveva comprato il portasigarette d’argento e acquistò una collana di perle per la sua arnica.
Gli ufficiali andavano in giro come gli sconcertanti seguaci di una divinità remota e crudele, che li lanciava simultaneamente come animali sacrificali coloratissimi e magnificamente addobbati. La gente li guardava e scuoteva la testa. Si sentivano perfino dispiaciuti per loro. Hanno molti vantaggi, così diceva la gente. Possono andare in giro con le spade, le donne se ne innamorano e l’Imperatore si prende cura di loro in persona, come se fossero i suoi figli. Ma poi, in un batter d’occhio, prima che tu te ne accorga, uno di loro è riuscito a offendere un altro, e l’offesa deve essere lavata via con il sangue rosso!…
A seguito di un duello fatale, il giovane Trotta si trasferisce dagli Ulani, socialmente d’élite, a un reggimento Jäger meno prestigioso. L’unità di fanteria del terzo barone Trotta sopprime poi uno sciopero industriale in una città di guarnigione. La consapevolezza delle conseguenze della sua brutalità professionale alimenta la disillusione del tenente Trotta per l’impero.
Nostalgia di un tempo in cui non era ancora diventato indifferente se un uomo viveva o moriva
In quei giorni prima della Grande Guerra, quando avvenivano gli eventi narrati in questo libro, non era ancora diventato indifferente se un uomo viveva o moriva. Quando uno dei vivi si era spento, un altro non prendeva subito il suo posto per cancellarlo: c’era un vuoto dove era stato, e testimoni vicini e lontani della sua scomparsa tacevano ogni volta che si accorgevano del suo vuoto. Quando il fuoco aveva divorato una casa dalla fila di altre in una strada, lo spazio bruciato rimaneva a lungo vuoto. I costruttori di lapidi lavoravano lentamente e con cautela. Vicini stretti e passanti occasionali, quando videro lo spazio vuoto, ricordarono l’aspetto e le pareti della casa scomparsa. Così stavano le cose allora. Tutto ciò che è cresciuto ha richiesto tempo per crescere e tutto ciò che è stato distrutto ha impiegato molto tempo per essere dimenticato. E tutto ciò che un tempo era esistito ha lasciato le sue tracce così che a quei tempi le persone vivevano di ricordi, così come ora vivono della capacità di dimenticare velocemente e completamente.
Comunque, il giovane nipote, come altri giovani ufficiali suoi amici, si rovina con i debiti di gioco: deve 7250 corone a Kapturak, il viscido strozzino che si è arricchito prestando ad usura.
Kapturak
In molti romanzi di Roth, il nome Kapturak si associa a personaggi infidi, approfittatori, possono essere, come in questo caso, usurai oppure trafficoni, come il Kapturak di Giobbe, l’altro bellissimo romanzo di Roth che abbiamo letto e commentato su youtube, o contrabbandieri russi, esempio comunque di una umanità degradata che si adatta ai tempi per trarne il massimo profitto.
Una volta venuto a conoscenza dei debiti del figlio, il padre cerca di salvare Carl-Joseph, e la sua famiglia, dal disonore, chiedendo all’Imperatore in persona, che aiuti il nipote del suo salvatore, l’eroe di Solferino, e Francesco Giuseppe scagiona il giovane sottotenente dalle accuse di aver disonorato l’esercito, e mette in prigione il suo usurario Kapturak, anche se …
Era abbastanza evidente, era, come si dice, chiaro come il sole, che il tenente Trotta, nipote dell’eroe di Solferino, stava in parte provocando la sventura di altri, in parte trascinato sotto da coloro che stavano per precipitare, e, in ogni caso, che era uno di quegli esseri infelici su cui un potere malvagio aveva gettato il suo malocchio
Infine scoppia la prima guerra mondiale, e l’attentato al principe ereditario è la conferma che quel mondo è ormai al termine. I militari di frontiera ne vengono a conoscenza durante una loro festa in una residenza di campagna, non a caso turbata da un temporale. Sembra che anche la natura faccia presagire la sfacelo.
Significativamente il giovane sottotenente viene ucciso, coraggiosamente ma inutilmente, in una piccola scaramuccia con le truppe russe durante i primi giorni della prima guerra mondiale. Il suo padre solitario e addolorato, il commissario distrettuale, muore quasi subito dopo Francesco Giuseppe, due anni dopo (gli fu così simile in tutto, nel fisico e anche nella sorte).
Due persone in lutto al funerale concludono che né il secondo von Trotta né il vecchio imperatore avrebbero potuto sopravvivere all’impero morente.