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28 Dicembre 2019
Lo stile nella narrazione
28 Dicembre 2019Parafrasi, analisi e commento dei primi versi del Sesto Canto del Paradiso.
Testo di Dante
«Poscia che Costantin l’aquila volse
contr’ al corso del ciel, ch’ella seguio dietro a l’antico che Lavina tolse, 3cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio ne lo stremo d’Europa si ritenne, vicino a’ monti de’ quai prima uscìo; 6e sotto l’ombra de le sacre penne governò ’l mondo lì di mano in mano, e, sì cangiando, in su la mia pervenne. 9Cesare fui e son Iustinïano, che, per voler del primo amor ch’i’ sento, d’entro le leggi trassi il troppo e ‘l vano. 12E prima ch’io a l’ovra fossi attento, una natura in Cristo esser, non piùe, credea, e di tal fede era contento; 15 ma ’l benedetto Agapito, che fue Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era, Tosto che con la Chiesa mossi i piedi, e al mio Belisar commendai l’armi, Or qui a la question prima s’appunta perché tu veggi con quanta ragione Vedi quanta virtù l’ha fatto degno Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora E sai ch’el fé dal mal de le Sabine Sai quel ch’el fé portato da li egregi onde Torquato e Quinzio, che dal cirro Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi Sott’ esso giovanetti trïunfaro Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle E quel che fé da Varo infino a Reno, Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo, Antandro e Simoenta, onde si mosse, Da indi scese folgorando a Iuba; Di quel che fé col baiulo seguente, |
PARAFRASIDopo che Costantino spostò l’aquila imperiale per più di cento anni l’aquila di Dio E sotto la protezione delle sue sacre ali, Io fui Cesare e sono Giustiniano, E prima di dedicarmi a questa impresa, Ma il beato Agapito, che fu sommo pontefice, Io gli credetti; e ora vedo chiaramente Non appena iniziai a collaborare con la Chiesa, Affidai quindi le armi al mio generale Belisario, Ora la mia risposta si ricollega alla tua prima domanda, perché tu possa capire con quanta giustizia Guarda quanta virtù lo ha reso degno Tu sai che l’aquila (cioè il potere di Roma) fece la sua dimora in Alba Longa, per più di trecento anni, fino a quando i tre Orazi e i tre Curiazi E sai che l’aquila regnò da Rapimento delle Sabine Sai bene quello che fece, guidata dai grandi Romani, Per merito suo, Torquato e Quinzio (detto Cincinnato, per i suoi capelli trascurati), i due Deci e i Fabi Essa (l’aquila romana) abbatté l’orgoglio degli Arabi, Sotto di essa (l’aquila imperiale), da giovani, ottennero grandi vittorie Poi, quando il cielo volle riportare E quello che fece Cesare da Varo fino al fiume Reno, Quello che fece poi, dopo essere partito da Ravenna Egli rivolse il suo esercito verso la Spagna, Rivide Antandro e il Simoenta (luoghi legati alla fuga di Enea da Troia), Da lì scese come un fulmine su Giuba, Per quello che fece con il suo successore (Ottaviano Augusto), |
ANALISI
Questo passo iniziale del canto presenta l’Impero Romano come voluto da Dio, attraverso la voce di Giustiniano, che narra la storia della sua ascesa e del suo ruolo nella storia universale.
- La figura di Giustiniano: L’imperatore si presenta con un anacronismo tipicamente dantesco: “Cesare fui e son Giustiniano”, identificandosi direttamente con il titolo imperiale. Egli è il riformatore del diritto, colui che ha “ripulito” le leggi romane, eliminando gli elementi superflui per rendere più giusto l’ordinamento giuridico dell’Impero.
- L’errore religioso e la conversione: Giustiniano confessa di aver inizialmente aderito all’eresia monofisita (che sosteneva l’unicità della natura divina di Cristo, negando quella umana), ma viene ricondotto alla fede ortodossa dal papa Agapito I. Questo passaggio serve a dimostrare come la giustizia imperiale debba essere anche guidata dalla verità religiosa.
- Il rapporto tra Impero e Chiesa: Dante afferma che l’Impero ha una funzione provvidenziale e che il suo scopo è garantire l’ordine e la giustizia nel mondo. Tuttavia, esso deve operare in armonia con la Chiesa, e non in opposizione ad essa.
- L’affidamento delle armi a Belisario: Giustiniano non combatte direttamente, ma delega la difesa dell’Impero al suo generale Belisario, mentre lui si dedica al miglioramento delle leggi.
COMMENTO
Il discorso di Giustiniano è centrale nella visione politica di Dante: egli vede l’Impero come una forza necessaria per garantire la pace e l’ordine nel mondo. Tuttavia, denuncia la degenerazione del potere politico del suo tempo, criticando sia chi cerca di appropriarsi indebitamente dell’aquila imperiale (i guelfi che sostengono il potere temporale della Chiesa) sia chi la combatte (i ghibellini che vogliono separare il potere imperiale da quello spirituale).
Giustiniano non si limita a raccontare il suo operato, ma inserisce la sua storia nella lunga tradizione dell’Impero Romano, descrivendo la sua funzione provvidenziale nella storia. L’aquila, simbolo dell’Impero, ha attraversato epoche e guerre, dimostrando il suo valore e la sua legittimità.
Questi versi pongono quindi le basi per una riflessione più ampia sulla decadenza della politica medievale e sulla necessità di un ritorno all’ideale imperiale, che secondo Dante è l’unico strumento in grado di garantire la giustizia sulla Terra.