Gabriele D’Annunzio. Vita e opere
28 Dicembre 2019X Agosto di Giovanni Pascoli
28 Dicembre 2019La poesia “Al Riso, e Sguardo di Bella Donna” di Gabriello Chiabrera è un’opera che appartiene alla lirica barocca, caratterizzata da una forte carica emotiva e da una raffinatezza formale.
La poesia esprime un gioco tra amore e sofferenza, tipico del modello petrarchesco, con un’intensa rappresentazione degli effetti del riso e dello sguardo di una donna amata sull’animo del poeta. Il tema centrale è l’ambiguità dell’amore, che, attraverso gli occhi e il sorriso della donna, può essere allo stesso tempo fonte di vita e di tormento.
Analisi del testo
Prima sezione (Strofe I-VIII)
Nella prima parte della poesia, il poeta sviluppa una serie di domande retoriche che descrivono l’influenza contraddittoria degli occhi e del sorriso della donna amata sul suo cuore. La struttura è simmetrica e ripetitiva, costruita attorno a queste domande che rafforzano l’idea della duplicità degli effetti amorosi.
Versi 1-4
Chi nudrisce tua speme,
Cor mio, chi fiamma cresce a’ tuoi desiri?
Duo begli occhi lucenti.
In questi versi, il poeta introduce il tema della speranza e del desiderio, elementi alimentati dai “due begli occhi lucenti” della donna amata. Il cuore del poeta è in balia dello sguardo della donna, che accende e nutre i suoi desideri amorosi.
Versi 5-8
Chi raddolcisce il fiel de’ tuoi martiri?
Pur duo begli occhi ardenti.
E chi ti doppia, e chi t’inaspra i guai?
Di duo begli occhi i rai.
Lo sguardo della donna ha un potere ambivalente: da una parte, raddolcisce le sofferenze amorose del poeta, ma dall’altra intensifica il suo tormento. Qui Chiabrera gioca sul contrasto tra dolcezza e amarezza, un tema tipico della poesia amorosa del periodo, dove l’amore è descritto come una forza sia benefica che distruttiva.
Versi 9-12
Ma chi t’ancide, e chi t’avviva anciso?
Di duo begli occhi il riso.
Il culmine della prima parte si trova nella constatazione finale: non solo lo sguardo della donna, ma soprattutto il riso è la forza che uccide e al tempo stesso rivitalizza il poeta. Questo motivo dell’amore che uccide e risuscita è ricorrente nella poesia barocca e rappresenta il paradosso della passione amorosa.
Seconda sezione (Strofe IX)
La seconda parte del componimento si sviluppa in forma di riflessione più ampia, dove l’amore del poeta diventa causa di tormento, anche quando non vi sono evidenti motivi di conflitto o disapprovazione da parte della donna.
Versi 1-3
Son fonti di gioir gli occhi ond’io vivo,
Pur s’io vi miro intento
Io veggio cosa in loro, onde ho tormento.
Gli occhi della donna sono per il poeta fonte di gioia e vita. Tuttavia, il tormento sorge dalla loro bellezza stessa. Il poeta suggerisce che, nonostante lo sguardo amorevole, avverte un’inquietudine indefinita che gli causa sofferenza.
Versi 4-9
Non che nebbia di sdegno
Osi giammai turbarne il bel sereno,
Od apparisca segno,
Che pietate d’Amor venga in lor meno;
Raggio non han, che altrui scenda nel seno
Mai per istraggimento,
Nè mai di pena altrui fan suo contento.
In questi versi, il poeta rassicura che non c’è alcuna ombra di disdegno o malizia negli occhi della donna; anzi, il loro splendore è puro e sereno, mai oscurato da sentimenti negativi. Gli occhi non causano dolore per il semplice piacere di far soffrire. Tuttavia, rimane un contrasto: la loro bellezza perfetta e serena porta comunque il poeta a una sofferenza che sembra derivare dall’intensità stessa della passione.
Versi 10-15
Infinito diletto
A quelle ciglia intorno si raggira,
E trapassa nel petto
Infinito conforto a chi vi mira:
Or quale è cosa in lor, che mi martíra,
Sicchè perir mi sento?
Nonostante il conforto e il piacere infinito che lo sguardo della donna offre, il poeta è ancora martoriato da una sofferenza inspiegabile. La bellezza degli occhi penetra il cuore con un conforto divino, ma questo porta anche a una sofferenza amorosa che il poeta non riesce a spiegare.
Verso 16
Vaghezza d’amoroso tradimento.
La conclusione del poeta è che la causa del suo tormento è la vaghezza d’amoroso tradimento. Questo verso introduce l’idea di un tradimento implicito, una paura immotivata o forse una proiezione del poeta stesso. Non vi è tradimento reale, ma l’innamorato proietta sulla donna i suoi timori, rendendo l’amore una fonte di ansia e tormento, nonostante l’apparente perfezione della donna.
Terza sezione (Strofa X)
L’ultima parte della poesia è un’invocazione diretta agli occhi della donna affinché portino aiuto al poeta sofferente, che si trova in battaglia contro i suoi martìri d’amore.
Versi 1-4
Schiera d’aspri martìri
Dà battaglia di morte alla mia vita:
Lume di duo begli occhi aita, aita.
La schiera d’aspri martìri rappresenta la sofferenza d’amore che attacca l’animo del poeta, come in una battaglia mortale. In questo contesto bellico, il poeta implora il lume degli occhi della donna per trovare sollievo. L’invocazione finale “aita, aita” (aiuto) sottolinea l’urgenza del soccorso richiesto.
Commento
La poesia di Chiabrera esplora in modo tipicamente barocco i contrasti dell’amore. Gli occhi e il sorriso della donna amata sono il fulcro di una tensione tra piacere e dolore, tra dolcezza e tormento. Il poeta costruisce un’immagine della donna idealizzata e perfetta, ma al tempo stesso irraggiungibile e portatrice di sofferenza.
In particolare, il tema del tradimento immaginato introduce un elemento psicologico: l’amore stesso diventa fonte di angoscia non per i fatti reali, ma per le paure e le ansie proiettate dal poeta. Questo riflette il clima dell’epoca, in cui la concezione dell’amore barocco è segnata dall’instabilità emotiva e dalla consapevolezza della fragilità dei sentimenti umani.
La lirica risente della tradizione petrarchesca, ma con uno stile più elaborato e concentrato su metafore sensoriali (gli occhi, il riso) e su temi che giocano con l’ambivalenza dei sentimenti. Chiabrera, spesso considerato uno dei poeti barocchi più rappresentativi, è abile nel trasmettere queste contraddizioni, mantenendo un’eleganza formale che ben si adatta al tono malinconico della poesia.
Conclusione
“Al Riso, e Sguardo di Bella Donna” è un raffinato esempio di poesia amorosa barocca, in cui Chiabrera esplora la dualità dell’amore: fonte di vita e di morte, di gioia e di dolore. Gli occhi e il sorriso della donna diventano simboli di questa contraddizione, esaltati dal linguaggio ricercato e dalle immagini di grande suggestione.
Solo testo della poesia
Al Riso, e Sguardo di Bella Donna.
Chi nudrisce tua speme,
Cor mio, chi fiamma cresce a’ tuoi desiri?
Duo begli occhi lucenti.
Chi raddolcisce il fiel de’ tuoi martiri?
Pur duo begli occhi ardenti.
E chi ti doppia, e chi t’inaspra i guai?
Di duo begli occhi i rai.
Ma chi t’ancide, e chi t’avviva anciso?
Di duo begli occhi il riso.
IX
Teme tradimento.
Son fonti di gioir gli occhi ond’io vivo,
Pur s’io vi miro intento
Io veggio cosa in loro, onde ho tormento.
Non che nebbia di sdegno
Osi giammai turbarne il bel sereno,
Od apparisca segno,
Che pietate d’Amor venga in lor meno;
Raggio non han, che altrui scenda nel seno
Mai per istraggimento,
Nè mai di pena altrui fan suo contento.
Infinito diletto
A quelle ciglia intorno si raggira,
E trapassa nel petto
Infinito conforto a chi vi mira:
Or quale è cosa in lor, che mi martíra,
Sicchè perir mi sento?
Vaghezza d’amoroso tradimento.
X
Chiama gli occhi a confortare le sue pene amorose.
Schiera d’aspri martìri
Dà battaglia di morte alla mia vita:
Lume di duo begli occhi aita, aita.