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28 Dicembre 2019
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28 Dicembre 2019Turno Irrompe nel Campo Troiano: L’aristia del Nemico nell’Eneide di Virgilio
Il nono libro dell’Eneide di Virgilio è un capitolo di intensa azione e drammaticità, che si svolge mentre il protagonista, Enea, è assente dal campo troiano, impegnato a cercare alleati. Questa assenza crea una situazione di estrema vulnerabilità per i Troiani, che vengono assediati dai Rutuli e dai loro alleati, guidati dal feroce Turno. L’episodio dell’irruzione di Turno nel campo troiano è uno dei momenti più significativi del libro, una vera e propria aristia (momento di eccellenza guerriera) del principale antagonista di Enea, che ne rivela la formidabile potenza e la furia distruttiva.
1. Il Contesto: L’Assenza di Enea e l’Assedio
Dopo l’arrivo dei Troiani nel Lazio e l’inizio del conflitto con le popolazioni indigene, Enea si è allontanato dal campo per stringere alleanze vitali con Evandro e gli Etruschi. Questa mossa strategica, necessaria per bilanciare le forze, lascia però i Troiani sotto la guida del giovane Ascanio, vulnerabili agli attacchi. Turno, il valoroso ma impulsivo capo dei Rutuli, lancia un assalto massiccio contro il campo fortificato dei Troiani.
2. L’Apertura delle Porte e la Furia di Turno
Il brano si apre con un atto di eccessiva fiducia da parte di due giovani guerrieri troiani, Pandaro e Bizia, che decidono di aprire una delle porte del campo per affrontare il nemico a viso aperto:
Pandaro e Bizia, nati da Alcànore Idèo, che la silvestre Iera allevò nel bosco di Giove giovani simili ai patrii abeti ed ai monti, aprono la porta, affidata loro per ordine di Enea, fidando nell’armi, e provocano il nemico alle mura. (vv. 673-676)
Questa audacia, tuttavia, si rivela un errore fatale. Mentre Turno sta già infuriando altrove nel campo di battaglia, gli giunge notizia di questa inaspettata apertura:
Mentre il condottiero Turno infuria in una parte diversa e travolge guerrieri, gli giunge notizia che il nemico ferve di nuova strage e offre le porte aperte. Abbandona l’impresa, e spinto da un’ira tremenda corre alla porta dardania e contro i due fratelli superbi. (vv. 691-695)
3. L’Irruzione nel Campo: L’aristia di Turno
Una volta giunto alla porta, Turno scatena la sua aristia, un momento di eccellenza guerriera che lo vede protagonista di un massacro:
- Massacro Indiscriminato: Turno inizia a falciare i guerrieri troiani con una ferocia inaudita. Tra le sue prime vittime c’è Antifate:
Prima lanciando un giavellotto abbatte Antifate (egli avanzava per primo), figlio bastardo di madre tebana e del grande Sarpedone; vola l’italico corniolo per la tenera aria, e infisso nello stomaco affonda nel profondo del petto; dalla cavità della nera ferita sgorga un fiotto schiumoso, e il ferro intiepidisce nel polmone trafitto. (vv. 696-702)
Poi è la volta di Bizia, il fratello di Pandaro, colpito da una falarica con una forza tale da essere paragonabile a un fulmine:
Poi abbatte Merope e Erimanto, e Afidno, poi Bizia ardente negli occhi e fremente nell’animo, ma non con un dardo (per un dardo egli non avrebbe perduto la vita). Avventata con sibilo orrendo, venne una falarica, a guisa di fulmine; né le due terga taurine, né la lorica, servizievole per la duplice squama d’oro, poterono sostenerla: crollano di schianto le enormi membra, geme la terra; e sopra l’enorme scudo rimbomba. (vv. 702-709)
La caduta di Bizia è paragonata da Virgilio al crollo di un imponente pilone in mare, a sottolineare la vastità dell’impatto:
Così sulla riva euboica di Baia cade talvolta un pilone di pietre; lo fabbricano con grandi macigni e poi lo gettano nel mare: inclinato, esso precipita e giace inserito sul fondo dei flutti; si rimescolano le acque e si solleva la nera sabbia; allora l’alta Procida trema per il rombo, e Ischia, duro giaciglio imposto a Tifeo per ordine di Giove. (vv. 709-715)
- La Trappola di Pandaro: Vedendo il fratello caduto, Pandaro, in un gesto disperato, decide di chiudere la porta, ma commette l’errore fatale di non accorgersi che Turno è già entrato:
Quando Pandaro vede il fratello col corpo abbattuto, e scorge dove sia la fortuna, qual sorte governi gli eventi, sospinge e chiude la porta con grande forza, girando il cardine e premendo con le larghe spalle, e lascia molti dei suoi esclusi dalle mura nella dura battaglia; ma rinchiude altri con sé e li riceve mentre corrono dentro, folle!, che non vide in mezzo alla schiera il rutulo re che irrompeva, e lo rinchiuse nella città, come una tigre feroce tra pecore imbelli. (vv. 722-729)
Una volta all’interno, Turno si presenta ai Troiani con un’aura terrificante:
Subito un nuovo bagliore gli rifulse negli occhi, e le armi strepitarono orrende; tremano sul capo i pennacchi sanguigni, e irradia dallo scudo fulmini guizzanti. (vv. 730-733)
- Il Duello con Pandaro: Pandaro, accecato dal dolore per la morte del fratello, sfida Turno, che risponde con sprezzante calma e una provocazione beffarda:
Allora Pandaro enorme balza, e ardente d’ira per la morte del fratello parla: questa non è la reggia dotale di Amata; né Ardea protegge Turno con le patrie mura. Vedi il campo nemico; non puoi uscirne. A lui sorridendo con calmo petto Turno: Comincia, se hai valore nell’animo, e incrocia la destra; narrerai a Priamo che anche qui hai trovato un Achille». (vv. 734-742)
La risposta di Turno è seguita da un’azione immediata e decisiva:
Così disse. Quegli scaglia con somma violenza l’asta rozza di nodi e di ruvida corteccia; la accolsero i venti; la saturnia Giunone sviò il colpo in arrivo, e l’asta s’infisse nella porta. Ma non sfuggirai a quest’arma che la mia destra maneggia con forza; infatti non è come te l’autore del colpo. Così dice Turno, e balza in alto levando la spada, e gli fende a metà la fronte tra le tempie, e le imberbi mascelle con una vasta ferita. Si leva un rombo; la terra è percossa dal peso enorme; morendo Pandaro distese a terra in un crollo le membra e le armi insanguinate di cervello; in parti uguali la testa ricadde di qua e di là dall’una e dall’altra spalla. (vv. 743-755)
Virgilio sottolinea l’occasione mancata da Turno, che avrebbe potuto porre fine alla guerra se avesse pensato a far entrare i suoi compagni invece di concentrarsi sulla strage:
e se subito nel vincitore fosse penetrato il pensiero d’infrangere le sbarre e d’introdurre i compagni nelle porte, quello sarebbe stato l’ultimo giorno della guerra e del popolo. Ma il furore e un folle desiderio di strage lo spinsero ardente contro i nemici. (vv. 756-760)
4. La Trappola e la Drammatica Fuga
Nonostante la sua furia, Turno si trova presto in una situazione di svantaggio, circondato dai Troiani che si riorganizzano. A poco a poco, è costretto a ritirarsi:
A poco a poco Turno si ritrae dalla lotta, e cerca il fiume e la parte circondata dall’onda; e più ardentemente i Teucri incombono con grande clamor e serrano le file. (vv. 788-792)
La sua ritirata è descritta con un’altra potente similitudine, quella di un leone braccato:
Come una turba incalza con armi ostili un feroce leone; quello, sgomento, furioso, guardando torvo, arretra; L’ira e il valore non tollerano di volgere le spalle, ma non può, benché lo desideri scagliarsi tra le armi e gli uomini: così dubbioso Turno arretra con lenti passi, e l’animo ribolle d’ira. (vv. 792-798)
La situazione di Turno diventa critica, e solo un intervento divino, su ordine di Giove tramite Iride, spinge Giunone a non infondergli più forze, costringendolo a lasciare il campo:
e la saturnia Giunone non osa infondergli forze per resistere; infatti Giove mandò dal cielo l’aerea Iride, a portare alla sorella duri ordini, se Turno non si allontani dalle alte mura dei Teucri. (vv. 802-805)
Infine, Turno compie un gesto spettacolare per salvarsi, gettandosi nel Tevere:
Infine, balzando a precipizio, si tuffò con tutte le armi nel fiume, che col biondo gorgo lo accolse e lo sorresse con molli onde, e lieto lo rese ai compagni, purificandolo di ogni strage. (vv. 814-818)
5. Significato e Rilevanza dell’Episodio
L’irruzione di Turno nel campo troiano è un episodio cruciale per diversi motivi:
- Caratterizzazione di Turno: È il momento in cui Turno si rivela in tutta la sua potenza come guerriero. La sua aristia lo dipinge come un avversario formidabile, degno di Enea, ma anche come un personaggio dominato dalla passione e dalla furia, che lo portano a gesti di grande coraggio ma anche di impulsività.
- Contrasto con Enea: La furia di Turno contrasta con l’eroismo più misurato e pius di Enea. Mentre Enea è guidato dal destino e dalla volontà divina, Turno è spesso mosso da un’ira incontrollabile.
- Vulnerabilità Troiana: L’episodio sottolinea la precarietà della situazione dei Troiani in assenza del loro capo. La loro sopravvivenza è appesa a un filo, e la loro capacità di resistere è messa a dura prova.
- Tensione Narrativa: La scena è ricca di tensione e suspense, tenendo il lettore col fiato sospeso per la sorte dei Troiani e per la sorte dello stesso Turno.
- Foreshadowing (prefigurazione): La sua capacità di sfuggire alla morte in questo frangente preannuncia la sua resilienza e il fatto che sarà un avversario temibile, fino però allo scontro finale con Enea.
- Il Lato Oscuro dell’Eroismo: Sebbene Turno mostri coraggio, la sua azione è anche un’esplosione di violenza distruttiva, che mette in luce il lato oscuro dell’eroismo guerriero quando non è temperato dalla ragione o dalla pietà.
Conclusione
L’episodio dell’irruzione di Turno nel campo troiano nel nono libro dell’Eneide è un capolavoro di narrazione epica. Virgilio dipinge un ritratto vivido di un guerriero formidabile, la cui furia e audacia lo rendono un avversario degno di nota. La sua aristia e la sua drammatica fuga nel Tevere non solo aumentano la tensione narrativa, ma consolidano la sua immagine di eroe tragico, destinato a scontrarsi con il fato e con l’eroe pius Enea, in una battaglia che deciderà le sorti di Roma.

Testo del brano Turno irrompe nel campo troiano tratto da Eneide, IX, vv. 675-761 e 789-815,
Pandaro e Bizia, nati da Alcànore Idèo,
che la silvestre Iera allevò nel bosco di Giove
giovani simili ai patrii abeti ed ai monti,
aprono la porta, affidata loro per ordine di Enea, 675
fidando nell’armi, e provocano il nemico alle mura.
All’interno, simili a torri, a destra e a sinistra,
si ergono armati di ferro, e ondeggianti
di pennacchi le alte teste: come due aeree querce
che sollevano al cielo il capo fronzuto e oscillano 680
con altissima cima intorno alle limpide correnti,
sulle rive del Po o lungo l’Adige ameno.
I Rutuli irrompono, appena vedono il varco aperto:
subito Quercente e Aquicolo bello nell’armi
e Tmaro impetuoso d’animo e il marzio Emone 685
con tutte le squadre volsero le spalle fuggendo,
o lasciarono la vita sullo stesso limitare della porta.
Allora divampano di più nei cuori discordi le ire;
e già i Troiani si raccolgono e s’addensano nel medesimo
luogo, e osano venire allo scontro e slanciarsi avanti. 690
Mentre il condottiero Turno infuria in una parte diversa
e travolge guerrieri, gli giunge notizia che il nemico
ferve di nuova strage e offre le porte aperte.
Abbandona l’impresa, e spinto da un’ira tremenda
corre alla porta dardania e contro i due fratelli superbi. 695
Prima lanciando un giavellotto abbatte Antifate
(egli avanzava per primo), figlio bastardo di madre tebana
e del grande Sarpedone; vola l’italico corniolo
per la tenera aria, e infisso nello stomaco affonda
nel profondo del petto; dalla cavità della nera ferita 700
sgorga un fiotto schiumoso, e il ferro intiepidisce nel
polmone trafitto. Poi abbatte Merope e Erimanto, e Afidno,
poi Bizia ardente negli occhi e fremente nell’animo,
ma non con un dardo (per un dardo egli non avrebbe
perduto la vita). Avventata con sibilo orrendo, venne 705
una falarica, a guisa di fulmine; né le due terga taurine,
né la lorica, servizievole per la duplice squama d’oro,
poterono sostenerla: crollano di schianto le enormi membra,
geme la terra; e sopra l’enorme scudo rimbomba.
Così sulla riva euboica di Baia cade talvolta 710
un pilone di pietre; lo fabbricano con grandi macigni
e poi lo gettano nel mare: inclinato,
esso precipita e giace inserito sul fondo dei flutti;
si rimescolano le acque e si solleva la nera sabbia;
allora l’alta Procida trema per il rombo, e Ischia, 715
duro giaciglio imposto a Tifeo per ordine di Giove.
Qui Marte, signore della guerra, aggiunse coraggio
e forze ai Latini, e volse loro nel petto aspri stimoli.
Mandò la Fuga tra i Teucri e il fosco timore.
Si radunano da tutte le parti: ora che è offerta battaglia, 720
e il dio guerriero invade gli animi.
Quando Pandaro vede il fratello col corpo abbattuto,
e scorge dove sia la fortuna, qual sorte governi gli eventi,
sospinge e chiude la porta con grande forza, girando
il cardine e premendo con le larghe spalle, e lascia molti 725
dei suoi esclusi dalle mura nella dura battaglia;
ma rinchiude altri con sé e li riceve mentre corrono dentro,
folle!, che non vide in mezzo alla schiera il rutulo
re che irrompeva, e lo rinchiuse nella città,
come una tigre feroce tra pecore imbelli. 730
Subito un nuovo bagliore gli rifulse negli occhi, e le armi
strepitarono orrende; tremano sul capo i pennacchi
sanguigni, e irradia dallo scudo fulmini guizzanti.
Riconoscono l’odiato aspetto e le membra immani,
subito sconvolti gli Eneadi. Allora Pandaro enorme 735
balza, e ardente d’ira per la morte del fratello
parla: questa non è la reggia dotale di Amata;
né Ardea protegge Turno con le patrie mura.
Vedi il campo nemico; non puoi uscirne.
A lui sorridendo con calmo petto Turno: 740
Comincia, se hai valore nell’animo, e incrocia la destra;
narrerai a Priamo che anche qui hai trovato un Achille».
Così disse. Quegli scaglia con somma violenza
l’asta rozza di nodi e di ruvida corteccia;
la accolsero i venti; la saturnia Giunone sviò 745
il colpo in arrivo, e l’asta s’infisse nella porta.
Ma non sfuggirai a quest’arma che la mia destra maneggia
con forza; infatti non è come te l’autore del colpo.
Così dice Turno, e balza in alto levando la spada,
e gli fende a metà la fronte tra le tempie, 750
e le imberbi mascelle con una vasta ferita.
Si leva un rombo; la terra è percossa dal peso enorme;
morendo Pandaro distese a terra in un crollo le membra
e le armi insanguinate di cervello; in parti uguali
la testa ricadde di qua e di là dall’una e dall’altra spalla. 755
I Troiani si voltano e fuggono con tremante terrore:
e se subito nel vincitore fosse penetrato il pensiero
d’infrangere le sbarre e d’introdurre i compagni nelle porte,
quello sarebbe stato l’ultimo giorno della guerra e del popolo.
Ma il furore e un folle desiderio di strage lo spinsero 760
ardente contro i nemici.
[…]
Accesi da tali parole s’arrestano, e si dispongono
in fitta schiera. A poco a poco Turno si ritrae dalla lotta,
e cerca il fiume e la parte circondata dall’onda; 790
e più ardentemente i Teucri incombono con grande clamor
e serrano le file. Come una turba incalza
con armi ostili un feroce leone; quello, sgomento,
furioso, guardando torvo, arretra; L’ira e il valore
non tollerano di volgere le spalle, ma non può, 795
benché lo desideri scagliarsi tra le armi
e gli uomini: così dubbioso Turno arretra
con lenti passi, e lanimo ribolle d’ira.
Si slancia due volte in mezzo ai nemici, e due volte
li respinge lungo i muri in fuga disordinata; 800
dal campo si stringe insieme veloce tutta la gente,
e la saturnia Giunone non osa infondergli forze
per resistere; infatti Giove mandò dal cielo l’aerea
Iride, a portare alla sorella duri ordini,
se Turno non si allontani dalle alte mura dei Teucri. 805
Ormai il giovane non riesce a far fronte né con lo scudo
né col braccio; ed è avvolto dai dardi lanciati da tutte
le parti. Strepita l’elmo con assiduo tinnire intorno
alle cave tempie, s’incrina il solido bronzo sotto le pietre;
i pennacchi sono sbalzati dal capo; lo scudo non regge 810
ai colpi; i Troiani raddoppiano con le aste, e sopra tutti
per veloce impeto Mnesteo. Allora per tutto il corpo
gronda il sudore e scorre (gli manca il respiro)
come un fiume di pece; un doloroso ansito scuote
le membra stanche. Infine, balzando a precipizio, si tuffò 815
con tutte le armi nel fiume, che col biondo gorgo
lo accolse e lo sorresse con molli onde,
e lieto lo rese ai compagni, purificandolo di ogni strage.