
Taci anima mia di Camillo Sbarbaro
28 Dicembre 2019
Capitolo trentatreesimo dei Promessi Sposi
28 Dicembre 2019Dante Alighieri – Purgatorio, Canto I (Ultima Parte): La Purificazione e la Rinascita
Il Canto I del Purgatorio di Dante Alighieri segna il passaggio dall’oscurità e dalla disperazione dell’Inferno alla speranza e alla luce del secondo regno ultraterreno. Dopo l’incontro con Catone l’Uticense, guardiano del Purgatorio, e la spiegazione delle regole per l’accesso, l’ultima parte del canto si concentra sulla purificazione di Dante e sulla sua simbolica rinascita, sotto la guida di Virgilio.
Il Cammino Verso la Luce Nascente
Virgilio, con l’autorità di maestro e padre, esorta Dante a seguirlo: “Figliuol, segui i miei passi: / volgianci in dietro, ché di qua dichina / questa pianura a’ suoi termini bassi”. Il loro percorso li conduce verso il litorale, mentre l’alba avanza, sconfiggendo le ultime ombre della notte. Dante percepisce da lontano il “tremolar de la marina”, un’immagine di luce e speranza che contrasta con le tenebre infernali appena lasciate.
Il cammino è lento e incerto, come quello di “om che torna a la perduta strada, / che ’nfino ad essa li pare ire in vano”. Questa similitudine esprime il senso di smarrimento e la fatica del pellegrino che, pur sapendo di essere sulla via della salvezza, non ne percepisce ancora pienamente i benefici. È un cammino solitario, ma non privo di significato, poiché conduce alla purificazione.
La Purificazione e la Rinascita Simbolica
Giunti in un luogo “là ’ve la rugiada / pugna col sole, per essere in parte / dove, ad orezza, poco si dirada” (un’area dove la rugiada resiste più a lungo al sole per l’ombra e la frescura), Virgilio compie un gesto di profondo significato. Con “ambo le mani in su l’erbetta sparte / soavemente”, il maestro raccoglie la rugiada. Dante, “accorto di sua arte”, gli porge le “guance lagrimose”.
Virgilio, con la rugiada, gli deterge il viso, liberandolo da quel “color che l’inferno mi nascose”, ovvero la sporcizia e la fuliggine infernale che avevano oscurato il suo volto. Questo gesto è una vera e propria purificazione simbolica, che lava via le scorie del peccato e della disperazione, preparando Dante a ricevere la luce divina.
Il rito della purificazione prosegue sul “lito diserto”, una spiaggia che “mai non vide navicar sue acque / omo, che di tornar sia poscia esperto”, a sottolineare l’unicità del percorso purgatoriale e l’impossibilità di tornare indietro una volta intrapreso il cammino della redenzione.
Qui, Virgilio cinge Dante con un giunco, “sì com’altrui piacque” (secondo il comando di Catone). Il giunco, pianta umile e flessibile, è il simbolo dell’umiltà, virtù indispensabile per affrontare il Purgatorio. La meraviglia di Dante è grande nel vedere che “qual elli scelse / l’umile pianta, cotal si rinacque / subitamente là onde l’avelse”. Il giunco, strappato, rinasce immediatamente nello stesso punto, simboleggiando la rigenerazione e la capacità dell’anima di rinnovarsi attraverso la penitenza e l’umiltà.
Conclusione
L’ultima parte del Canto I del Purgatorio è un inno alla speranza e alla rinascita. Dante, purificato dalle scorie infernali e cinto dal giunco dell’umiltà, è ora pronto per affrontare il lungo e faticoso cammino della redenzione. La figura di Virgilio, da guida severa dell’Inferno, si trasforma in un padre amorevole e premuroso, che accompagna il discepolo verso la luce. Il canto si chiude con un’immagine di rigenerazione, che anticipa la promessa di salvezza e la bellezza del percorso purgatoriale.
Testo degli ultimi versi del Canto I del Purgatorio (dal verso 112 al 136)
volgianci in dietro, ché di qua dichina
questa pianura a’ suoi termini bassi”. 114
L’alba vinceva l’ora mattutina
che fuggia innanzi, sì che di lontano
conobbi il tremolar de la marina. 117
Noi andavam per lo solingo piano
com’om che torna a la perduta strada,
che ’nfino ad essa li pare ire in vano. 120
Quando noi fummo là ’ve la rugiada
pugna col sole, per essere in parte
dove, ad orezza, poco si dirada, 123
ambo le mani in su l’erbetta sparte
soavemente ’l mio maestro pose:
ond’io, che fui accorto di sua arte, 126
porsi ver’ lui le guance lagrimose;
ivi mi fece tutto discoverto
quel color che l’inferno mi nascose. 129
Venimmo poi in sul lito diserto,
che mai non vide navicar sue acque
omo, che di tornar sia poscia esperto. 132
Quivi mi cinse sì com’altrui piacque:
oh maraviglia! ché qual elli scelse
l’umile pianta, cotal si rinacque 135
subitamente là onde l’avelse. 136