
Aggettivi e Pronomi Possessivi
28 Dicembre 2019
Dai Ciconi al paese dei Lotofagi Odissea IX 39-104
28 Dicembre 2019Lettura guidata del racconto “Un destino da pollo” di Tommaso Landolfi 🐔 con analisi🧠, temi, stile e commento, seguita dal 📘 testo del racconto 😊✨
📖 ANALISI DEL TESTO
🧩 Trama essenziale
Due allevatori, Ted e Joe, discutono sull’effetto degli ormoni somministrati ai polli. Ted è inquieto: i polli sembrano più intelligenti, quasi consapevoli del proprio destino, forse addirittura organizzati. La situazione degenera in una scena surreale e disturbante in cui i protagonisti sono attirati da un suono misterioso e terrificante… 🌀
🎯 TEMI PRINCIPALI
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🧬 Manipolazione genetica e artificiale della natura
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Gli ormoni danno vita a polli “diversi”, potenzialmente coscienti, forse più umani di quanto si creda.
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🧠 Coscienza animale / Antropomorfizzazione
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Ted osserva espressioni nei volti dei polli, comportamenti strategici, fughe organizzate…
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😨 Paura dell’ignoto / Paranoia
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L’inquietudine cresce fino a un finale apocalittico, in cui i polli sembrano superare i loro allevatori.
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💀 Destino e ribellione
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Titolo emblematico: i polli sono vittime di un destino crudele, ma forse ora si ribellano.
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🖋️ STILE E LINGUAGGIO
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Dialoghi vivaci e realistici, pieni di espressioni colloquiali, che creano contrasto con la crescente tensione surreale.
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Lo stile passa dal comico-rurale al gotico moderno, con un crescendo di mistero e inquietudine.
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Uso sapiente dell’ironia, della sospensione, e infine del non detto: il finale resta aperto e fortemente simbolico.
📚 COMMENTO
Un racconto che parte come commedia rustica e si trasforma in un thriller metafisico. Landolfi ci porta da una stalla a un incubo, con polli senzienti che potrebbero rappresentare la rivolta del creato contro l’uomo, ma anche la coscienza umana che teme le conseguenze delle sue azioni.
La genialità di Landolfi sta nel farci ridere e poi rabbrividire, ponendoci domande su etica, tecnologia, controllo… e sulle creature che crediamo inferiori.
🐔✨🔊 SCHEMA RIASSUNTIVO DI RIPASSO DELLE PAROLE CHIAVE
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🧠 Polli intelligenti?
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🐓 Controllo genetico
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📈 Crescita innaturale
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❗ Fughe misteriose
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🌀 Suono ipnotico = richiamo?
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⚠️ Ribellione degli animali
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💥 Riflessione sul potere umano
📘Testo del racconto “Un destino da pollo” di Tommaso Landolfi
— Beh, — brontolò Ted grattandosi la testa e poi cacciandosi la grossa mano fra la maglia e la schiena per grattarsi anche questa, — io non voglio dir nulla, ma insomma da quando gli diamo questa dannata roba da mangiare, ormoni! o sa il diavolo, non è più la stessa cosa, uhm no, proprio no.
— Lo credo che non è la stessa cosa: vengono su meglio e più alla svelta — replicò Joe sbadigliando, — e noi si piglia un po’più di grana.
— Già, non c’è discussione, ma però… Hai visto per esempio come è diventato difficile acchiapparli? Pare lo sappiano, dove vanno a finire; ci tocca giocare d’astuzia e qualche volta corrergli dietro, a uno, per mezzo chilometro…
— Bah, quando mai gli è garbato? a un pollastro di farsi tirare il collo?
— Va bene, scherza pure, ma qui è diverso. Hai visto anche come son diventati grossi?
— E che c’entra? Ossia, tanto meglio.
— Eh no, qui c’è qualcosa… qualcosa che non va.
— Ma insomma che vuoi dire?
— E che ne so io!… Guarda, guarda quello che fa capolino di lì dietro: non sembra che ci stia spiando?
— Si accomodi.
— Ma no, non lo vedi con che faccia ci guarda?
— Faccia, questa è buona! Un pollo non ha faccia.
— Già, lo credevo anch’io fino a poco tempo fa; e invece ora ce l’hanno, e quando ne pigli finalmente uno ti guarda con un’espressione…
— Anche l’espressione ci vedi?
— Piantala, Joe; sì, ti guarda in un modo… da far venire i brividi, qualche volta.
— Di’ un po’, Ted, non avrai mica bisogno d’un buon caffè?
— E tu, grand’uomo, ci hai mai creduto nell’intelligenza dei polli?
— Io no: si dice perfino «cervello di gallina».
— Beh, e invece ora… non dico che siano diventati intelligenti, ma insomma sembra proprio che facciano tutto a ragion veduta, se anche poi ci rimettono lo stesso le penne.
— Uff, mi vuoi prendere per fesso?
— Pensala come ti piace, ma io ci sto più a contatto di te e ho potuto osservarli.
— E cosa hai osservato? Le prove?
— Tutto e niente, tante e nessuna, si capisce.
— Sicché sta’ buono e lascia fare a Dio.
— E allora perché se ne vanno?
— Se ne vanno? Chi?
— Loro. Non lo posso giurare, mas mi sembra che ne manchino parecchi.
— E dove vanno, Signor Veditutto?
— E che ne so io!
— E come farebbero poi ad andarsene se c’è la rete tutt’intorno?
— E che ne so io cosa hanno inventato: avranno trovato una maniera. Del resto da quanto tempo non l’hai controllata la rete, là in mezzo alla boscaglia?
— Ma ti rendi conto che in nessun posto starebbero meglio che qui, dove hanno da mangiare a crepapancia e tutto il resto? Perciò è impossibile che scappino.
— Ecco, non è forse che scappino così per scappare; forse vanno in qualche determinato luogo con qualche scopo determinato.
— Ah, ma allora stai proprio parlando sul serio? Via, via, mi par chiaro che la debolezza ti dà le traveggole: andiamo a cena.
— Non mi fare imbestialire, Joe. Io non affermo nulla positivamente, io sospetto soltanto; ma tu, come fai a essere così sicuro?
— Diavolo…
— Rispondi a me: quanti sono in tutto?
— Ma… un millecinquecento, credo.
— Lo vedi, tu dici «credo»: non lo sappiamo neppure con precisione, quanti sono, sicché come faresti a dimostrare che non se ne sono andati? Ma ad ogni modo sappiamo di sicuro che meno di millecinquecento non sono, cioè non dovrebbero essere.
E adesso guardati un po’ intorno, così a occhio: ti paiono millecinquecento polli quelli che si vedono? E sai, a quest’ora dovrebbero essere tutti tornati a casa.
Vuoi che li contiamo?
— Ma che ti salta in mente: troveremmo mezzanotte.
— E allora fidati di quello che ti dico, cioè dei miei sospetti.
— Questa è nuova; e sai, se fosse vero sarebbe anche un bel lavoro: portarci via il meglio dei nostri guadagni!
— Fosse questo il male!
— Eh, che c’è ancora?
— Uhm, c’è che… c’è qualcosa che non va, te lo dicevo in principio; qualcosa che non va, a parte i guadagni.
— Ecco che ricominci a dir fesserie, scusa la franchezza.
Domani se è il caso ci daremo da fare; via, via, ora andiamo a cena.
— E se… e se un pericolo ci minacciasse?
— Anche il pericolo! Per la miseria, Ted, vuoi farla finita?
— Ma sì, io sento come qualcosa nell’aria.
— Senti la fame, pivello.
Andiamo.
— Ascolta, Joe, lo capisco che sono sciocco, ma… Ma, vuoi che te la dica tutta? Ho come l’idea che stiano macchinando qualcosa, qualcosa magari ai nostri danni, magari non soltanto ai nostri danni…
— I polli, eh? Va bene, va bene, ragazzo, ma qualunque cosa stiano «macchinando» io ci mangio sopra.
E allora, ti decidi a venire sì o no?
— Joe!
— Che c’è? — urlò destandosi di soprassalto e balzando a sedere sul suo giaciglio.
— Ascolta.
— Non sento nulla.
— È strano: eppure m’era sembrato…
— Che t’era sembrato, che t’era sembrato, me lo dici?
— Non so, m’era sembrato come…
— E dagli coi «non so» e i «come», tanto è buona la luna! Accidenti, i tipi come te dovrebbero andare in giro con un campanello alla punta del naso.
— Ecco, ecco, ricomincia.
Difatto da qualche parte si levò un suono lacerante, lontanamente simile a quello che può emettere una macchina a vapore o una sirena d’opificio; si levò e in pochi istanti raggiunse un’intensità quasi intollerabile.
Ma era singolare che, come non se ne capiva, in quel deserto, la natura, non si riuscisse neppure a focalizzarne la fonte.
Esso empiva l’aria e pareva provenire al tempo stesso da tutti i punti dell’orizzonte; a tratti scemava appena, ma per riprendere subito con rinnovato vigore, quasi seguendo un suo ritmo, che era piuttosto una sorta di implacabile martellamento.
I vetri della baracca principiarono a tintinnare, a ogni ripresa del suono i due si sentivano svellere il cuore dal petto.
— Ma che diavolo è?
— È quello che ti domando.
Ad ogni modo tutto si poteva fare fuorché non far nulla e restar lì; si infilarono in fretta i pantaloni e si precipitarono fuori.
La notte era buia e umida; lì il rumore era ancora più forte, da portar via le parole.
Ma non c’era nulla e non si vedeva nulla, tutto pareva al proprio posto, c’era soltanto quel suono.
Corsero davanti a sé per breve tratto, come se sapessero dove andare; si fermarono bruscamente di comune accordo.
— E dove stiamo andando poi?
— Eh non so, sarà forse laggiù.
— Ma no, dico perché ci stiamo andando, dovunque sia?
— Come perché: ma forse che è possibile resistere? La testa mi va via; bisogna andare a vedere, farli tacere.
— Chi?
— Ci sarà pure qualcuno che si diverte in qualche dannata maniera, e per la miseria ora mi sentirà! Perché, tu cosa hai di meglio?
— Io invece me ne andrei dalla parte opposta: ci potrebbe essere qualcosa… qualche pericolo.
— Non ricominciare a fare il fesso coi pericoli.
Eppoi, bravo, e qual è la parte opposta? Vieni, vieni.
Corsero da una parte: il suono non aumentava né diminuiva.
Corsero da un’altra parte, e fu lo stesso.
Alla fine parve loro di capire che il centro o epicentro del terribile frastuono fosse verso un colle buio e boscoso che sorgeva a mezzo miglio di lì: storditi e come accecati si lanciarono in quella direzione, e veramente, dopo cento metri di corsa, il suono sembrò aumentare, se possibile, d’intensità e farsi più distinto.
Ora somigliava piuttosto a un ululo, a un lamento o singulto, che magari si sarebbe potuto attribuire a un uomo o a un animale, se però fosse stato possibile immaginare un essere tanto gigantesco o di voce così tonante.
Ed aveva poi una curiosa forza attrattiva o magnetica; ecco, era come un lungo, irresistibile richiamo.
E se tale era, essi accorrevano al richiamo…