Pronomi determinativi idem e ipse
2 Agosto 2019Lettura e commento di due poesie di Leopardi: La quiete dopo la tempesta e Il saba…
2 Agosto 2019Figure retoriche, stile e metrica della poesia “La quiete dopo la tempesta” di Giacomo Leopardi
Nella poesia “La quiete dopo la tempesta” di Giacomo Leopardi sono presenti diverse figure retoriche che arricchiscono il testo e ne potenziano il significato. Di seguito, vengono elencate alcune delle principali figure retoriche presenti nel testo:
Ecco l’analisi delle figure retoriche nel testo “La quiete dopo la tempesta” di Giacomo Leopardi:
- Allitterazione
- Verso 1: “Passata è la tempesta” → Ripetizione del suono t, che rafforza il ritmo del verso, evocando il momento di calma dopo la tempesta.
- Onomatopea
- Verso 9: “risorge il romorio” → La parola “romorio” imita il suono dei piccoli rumori e il chiacchiericcio che riprendono dopo la tempesta.
- Personificazione
- Verso 19: “Ecco il sol che ritorna, ecco sorride” → Il Sole è personificato con l’azione del “sorridere”, dandogli qualità umane per indicare il ritorno della serenità.
- Anafora
- Verso 19: “Ecco il sol che ritorna, ecco sorride” → Ripetizione di “Ecco” per sottolineare il ritorno della luce e della vita dopo il buio della tempesta.
- Antitesi
- Verso 32-33: “Piacer figlio d’affanno; gioia vana” → Contrapposizione tra “piacer” e “affanno”, riflettendo la filosofia leopardiana per cui il piacere deriva dalla fine della sofferenza, e tra “gioia” e “vana”, che evidenzia la transitorietà della felicità.
- Climax
- Versi 38-39: “Fredde, tacite, smorte, sudâr le genti e palpitâr” → Progressione di termini che descrivono lo stato di sofferenza crescente delle persone durante la tempesta, culminando nel verbo “palpitâr” che suggerisce il culmine della paura.
- Chiasmo
- Verso 5: “rompe lá da ponente, alla montagna” → Struttura incrociata tra il soggetto e i complementi di luogo che crea un effetto di bilanciamento e movimento.
- Similitudine
- Verso 32: “Piacer figlio d’affanno” → Similitudine implicita che paragona il piacere a un figlio, nato dall’affanno, per enfatizzare l’origine dolorosa della felicità.
- Metafora
- Verso 45-46: “Uscir di pena è diletto fra noi” → La vita è vista come una condizione di dolore, da cui uscire momentaneamente genera piacere.
- Anastrofe
- Verso 14: “Vien fuor la femminetta a côr dell’acqua” → L’ordine inverso di “Vien fuor” (invece di “fuor vien”) serve a enfatizzare l’azione della ragazza che si affretta a uscire di casa dopo la pioggia.
- Sinestesia
- Verso 38: “fredde, tacite, smorte” → Fusione di sensazioni uditive (“tacite”) e visive (“smorte”), che descrivono la condizione di sofferenza delle persone.
- Antonomasia
- Verso 50-51: “Umana prole cara agli eterni” → Con “eterna” si fa riferimento agli dèi o al destino, usando una perifrasi per indicare le forze superiori e divine.
Leopardi usa queste figure retoriche per esprimere la riflessione filosofica sul ciclo di sofferenza e momentaneo piacere nella vita umana, creando un’atmosfera malinconica e riflessiva.
Stile
Lo stile della poesia è caratterizzato da un linguaggio semplice, ma ricco di immagini concrete. Leopardi descrive dettagliatamente il paesaggio naturale e le attività quotidiane degli abitanti del villaggio, usando figure retoriche (come personificazioni, metafore e antitesi) per rendere più suggestiva la narrazione. Questo stile descrittivo e concreto si sposa però con un registro più elevato e filosofico quando il poeta passa a riflettere sul senso della vita e sulla condizione umana, creando un contrasto tra l’idillio iniziale e la successiva meditazione sul dolore.
Il tono della poesia “La quiete dopo la tempesta” di Giacomo Leopardi è duplice e varia nel corso del componimento. Inizialmente, è sereno e positivo, riflettendo la calma e la gioia che seguono la fine della tempesta. C’è una descrizione vivida della natura che si riprende, della vita quotidiana che torna alla normalità, e della gioia collettiva del villaggio. Tuttavia, questa serenità apparente è solo temporanea. Man mano che la poesia avanza, il tono diventa riflessivo e amaro, quando Leopardi introduce la sua visione pessimistica della vita. La riflessione sulla brevità del piacere e la sua illusorietà introduce un tono disilluso e melanconico, con il poeta che denuncia l’indifferenza della natura verso le sofferenze umane.
In sintesi, il tono della poesia è sereno e gioioso nella prima parte, mentre diventa pessimista e filosofico nella seconda. Lo stile combina una descrizione realistica e concreta con una riflessione astratta e esistenziale.
“La quiete dopo la tempesta” è una poesia di Giacomo Leopardi e può essere analizzata nel seguente modo:
Tipologia del testo poetico
- Tipo di testo: si tratta di un testo lirico, precisamente una canzone leopardiana, o canto pisano-recanatese, che esplora sentimenti di malinconia e riflessione, tipici della poetica leopardiana.
Struttura e denominazione dei versi
La poesia è composta da tre strofe, ognuna con un numero variabile di versi. In generale, la metrica di Leopardi è caratterizzata da:
- Versi settenari ed endecasillabi: La maggior parte dei versi sono settenari, 33 e gli altri sono endecasillabi 21.
- Rime: La rima è presente, ma in modo occasionale e libero, senza seguire uno schema di rime fisse.
Analisi dei versi
- Prima strofa: Introduce il tema della tempesta, evidenziando la serenità che sopraggiunge quando è finita.
- Seconda strofa: Descrive la calma che segue, evidenziando i sentimenti contrastanti dell’uomo.
- Terza strofa: Riflessione più profonda sulla condizione umana e sulla transitorietà della vita, e sulla brevità della felicità.
Analisi del testo La quiete dopo la tempesta di Leopardi
Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;5
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato. 10
L’artigiano a mirar l’umido cielo,
Con l’opra in man, cantando,
Fassi in su l’uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell’acqua
Della novella piova; 15
E l’erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,20
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passeggier che il suo cammin ripiglia.
Si rallegra ogni core. 25
Sì dolce, sì gradita
Quand’è, com’or, la vita?
Quando con tanto amore
L’uomo a’ suoi studi intende?
O torna all’opre? o cosa nova imprende? 30
Quando de’ mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d’affanno;
Gioia vana, ch’è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte35
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese 40
Folgori, nembi e vento.
O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena45
E’diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana 50
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D’alcun dolor: beata
Se te d’ogni dolor morte risana.